A quattro giorni dal colpo di stato in Myanmar, i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno finalmente rilasciato una dichiarazione in cui ribadiscono la scarcerazione immediata di tutti i detenuti e sottolineano “la necessità di sostenere istituzioni e processi democratici, di astenersi dalla violenza e rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto”.
All’indomani del golpe, durante la riunione a porte chiuse del 2 febbraio, il Consiglio di Sicurezza non era stato in grado di concordare una dichiarazione, in quanto il membro permanente della Cina ne avrebbe bloccato la formulazione. Nella mattinata di giovedì, prima del quotidiano briefing con la stampa, la Missione cinese all’ONU, in un comunicato ai giornalisti inviato via email, ha dichiarato che le informazioni erano trapelate ai media “ancor prima che i membri del Consiglio avessero avuto l’opportunità di discuterne”, e che pertanto il fatto che la Cina avesse bloccato il comunicato stampa corrispondeva al falso. “Siamo rimasti scioccati e sconcertati dalla fuga di notizie – ha scritto la Missione permanente cinese all’ONU – le voci irresponsabili hanno creato difficoltà agli sforzi collettivi del Consiglio. Ciò non dovrà accadere di nuovo”. Quando abbiamo chiesto a Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario Generale dell’ONU, cosa ne pensasse Antonio Guterres delle lamentele cinesi sulle informazioni trapelate ai giornalisti che, secondo la Cina, impedivano il corretto funzionamento dei lavori del Consiglio di Sicurezza, ci è stato risposto che l’argomento era più per una “tavola rotonda ad una scuola di giornalismo“.

La dichiarazione del Consiglio ribadisce anche la necessità di affrontare “la crisi nello Stato di Rakhine”, che ha visto centinaia di migliaia di Rohingya, principalmente musulmani, fuggire per salvarsi la vita a seguito di una brutale repressione militare nel 2017.
Intanto, secondo quanto riferito, mercoledì i governanti militari del Myanmar hanno bloccato in tutto il paese l’accesso Facebook, utilizzato da circa la metà della popolazione come fonte primaria di informazioni. Il social media ha rilasciato una dichiarazione in cui esorta le autorità a ripristinarne la connettività. La mossa ha ulteriormente fomentato le proteste, che già da giorni crescono e si susseguono dopo che il governo, uscito vincitore dalle elezioni dell’8 novembre, è stato cacciato. La giunta militare ha infatti accusato il governo democraticamente eletto di non aver indagato sulle accuse di frode degli elettori durante le elezioni che hanno conferito alla Lega nazionale per la democrazia la vittoria con l’82% dei seggi. Il 1° febbraio, l’esercito birmano ha preso il potere con un colpo di stato guidato dal generale Min Aung Hlaing, che ha poi assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale, Myint Swe, è stato nominato presidente ad interim.

Inoltre, mercoledì, Aung San Suu Kyi è stata accusata per aver “importato illegalmente” dei walkie-talkie. Per questo motivo la leaeder della Lega nazionale della democrazia rischia fino a 2 anni di carcere.
Il 3 febbraio, durante una discussione online tenuta dal Washington Post, il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha affermato che le Nazioni Unite lavoreranno per mobilitare la comunità internazionale e “assicurarsi che questo colpo di stato fallisca“. “È assolutamente inaccettabile invertire il risultato delle elezioni e la volontà popolare“. “Spero che la democrazia possa fare di nuovo progressi in Myanmar“, ha detto il capo dell’ONU, “l’ordine costituzionale deve essere ristabilito“.