Lo scorso 26 gennaio, con un ordine esecutivo, Joe Biden ha obbligato il dipartimento di Giustizia a non rinnovare i contratti a 12 prigioni private per detenuti federali. La decisione, sulle orme di Obama, segna un dietrofront rispetto alle politiche portate avanti da Donald Trump durante il suo mandato. Il provvedimento, però, non tocca gli accordi stipulati fra i singoli stati e aziende private. Il Presidente, nel suo ordine esecutivo, ha suggerito che “per abbassare i livelli di incarcerazione, dobbiamo ridurre gli incentivi monetari ad incarcerare”.
Il “Gruppo di lavoro sull’impiego dei mercenari” dell’Onu si è detto soddisfatto riguardo questo provvedimento dell’amministrazione Biden. “Terminare la dipendenza dalle prigioni a gestione privata per i detenuti federali è un passo incoraggiante”, ha affermato Jelena Aprac, a capo del gruppo di lavoro, sollecitando però il governo a prendere provvedimenti sulle procedure di appalto dei centri di detenzione per migranti e richiedenti asilo.
Negli Stati Uniti, paese con una popolazione carceraria da record, i detenuti nei centri privati rappresentano il 7% di tutti i carcerati statali ed il 16% di quelli federali. Tuttavia, l’ordine esecutivo non prevede la scarcerazione dei 27,400 detenuti federali nelle strutture private. “Questa decisione beneficerà soltanto una piccola percentuale di detenuti nelle prigioni private ed esclude specificamente le persone più vulnerabili tenute nei centri per migranti e richiedenti asilo, che sono particolarmente a rischio di violazioni serie dei diritti umani”, continuano gli specialisti dell’ONU.
Fra le violazioni descritte in un report del gruppo di lavoro si contano le sterilizzazioni involontarie, le detenzioni in isolamento e la negazione del diritto alla salute. “Eliminate tutte le strutture di detenzione a scopo di lucro” è stato il monito degli esperti Onu al governo degli Stati Uniti, “i detenuti non devono diventare soggetti su cui lucrare”.