Promozione della globalizzazione e contrasto al cambiamento climatico. Valorizzazione dei benefici delle migrazioni e sostegno alla quarta rivoluzione industriale. E poi ancora, denuclearizzazione della penisola coreana e stabilizzazione della regione medio-orientale. E un principio, che attraversa e insieme diventa preponderante per tutte queste sfide: considerare le donne come categoria da valorizzare, il genere femminile come risorsa per il mondo, l’equità dei sessi come principio basilare.
Nella mattinata di martedì 16 gennaio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dettato l’agenda alla comunità internazionale per il 2018. Lo ha fatto prima con un intervento, pacato nei modi e chiaro nei toni, in Assemblea Generale. Mostrandosi tra l’altro, sul principio delle donne come risposta positiva alle sfide del mondo (visto quanto successo con il movimento #MeToo e le accuse di sexual harassment che hanno scosso cinema e politica), inconsapevole precursore nel suo discorso di insediamento come Segretario Generale ONU nel 2017. Oltre che in Assemblea, Guterres ha ribadito i valori del suo discorso, poi, in una conferenza stampa con i giornalisti al Palazzo di Vetro di New York. E ha posto l’accento su dodici aree per le quali il lavoro da fare è ancora tanto: alle sei sopra citate, anche il rafforzamento della partnership con l’Unione Africana, il sostegno all’Europa contro i conflitti che la paralizzano, la lotta al terrorismo, il valore delle missioni di pace ONU, il supporto all’esodo dal Myanmar dei rohingya e la gestione del rapporto tra diritti umani e sovranità nazionale. Ad ammettere che la strada sia in salita è lo stesso Guterres: “Abbiamo bisogno che la pace rimanga un obiettivo stabile: nell’affrontare le sfide di oggi, il mondo ha bisogno di una leadership forte – ha dichiarato. Abbiamo bisogno però di meno odio e di più dialogo e cooperazione internazionale: grazie all’unità, possiamo rendere questo 2018 un anno decisivo per porre il mondo in una fase migliore della sua storia”. Parole consapevoli, quindi, su questioni spinose, ancora in bilico. Questioni che fermandosi un attimo bene a leggerle, si legano tutte in modo piuttosto diretto a un nome e a un cognome preciso: Donald J. Trump, la cui ombra è presente in ognuna delle priorità del Segretario, come una spada di Damocle pronta ad agire.

La figura del Presidente degli Stati Uniti, al netto di quale sia il suo nome e di quali siano le sue idee, assume da sempre, a prescindere, un ruolo istituzionale fondamentale nelle sfide del mondo. Quindi nell’ascoltare le 12 priorità di Guterres sarebbe riecheggiato alla mente qualsiasi nome di qualsiasi altro presidente: da Barack Obama a George W. Bush, fino a Bill Clinton. È normale. Ma in questo periodo storico in particolare, la posizione del Presidente Trump, proprio sui temi che il Segretario ha considerato come prioritari in assoluto, assumono un peso specifico ben preciso. Diverso, maggiore. Più scomodo. E spesso in pieno contrasto con quello del Segretario Generale.

Basti guardare i primi tre punti, del resto. A partire dalla globalizzazione (nemica di The Donald, ma “opportunità positiva” per impreziosire le culture, secondo Guterres). Passando per il cambiamento climatico, che per Trump nemmeno esiste, mentre per il Segretario Generale è, e lo ha ribadito elogiando in conferenza stampa il lavoro fatto in Cina dal governo Xi Jinping, “una delle sfide cruciali per il futuro del pianeta”. Finendo con il tema delle immigrazioni: “Si deve avere rispetto per i migranti così come per la diversità, che sia etnica, religiosa e culturale”, ha chiosato Guterres in conferenza stampa. Lo ha fatto però nei giorni e nelle ore in cui risuona ancora forte il “shithole countries” pronunciato da Trump, dedicato ad alcuni Paesi africani da cui provengono una parte degli immigrati negli USA. Una frase, quella, che per quanto smentita il giorno dopo dal Presidente Trump (che ha anche precisato: “Non sono razzista”), ha sdegnato la comunità internazionale. Compresa quell’Unione Africana che gli ha chiesto scuse formali e con la quale, secondo Guterres nel settimo punto del suo discorso, si devono rinsaldare i rapporti internazionali. E che lo stesso Guterres incontrerà a fine gennaio ad Addis Adaba, per l’African Union Summit.

Non è però sull’immigrazione, nonostante le posizioni distanti, che il Segretario Generale ha mostrato le unghie. Anzi. Guterres ha seguito, sulla polemica degli “shithole countries”, la stessa posizione di sempre: “Il Presidente statunitense ha già smentito”. Dove invece Guterres, in conferenza stampa, ha mostrato più rigidità, è stato sul conflitto israelo-palestinese, riaccesosi dopo la decisione di Trump nel dicembre 2017 di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele e dopo le frizioni in Assemblea Generale. Per il Segretario Generale continua a non esistere alternativa alla “soluzione a due Stati”, in una regione nella quale Gerusalemme “non deve essere di nessuna delle due parti come esclusiva”. E in questo contesto, dopo aver espresso nuovamente “piena disponibilità da parte delle Nazioni Unite nel ruolo di mediatore”, la notizia che proprio gli Stati Uniti dimezzeranno la prima tranche di fondi destinati all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ha destato in lui “molta preoccupazione”: “Questa agenzia provvede mezzi di sostentamento a migliaia di persone ed è un aspetto fondamentale per la stabilità della regione: non solo secondo me, ma anche secondo molti osservatori israeliani”, ha detto Guterres. Una decisione, quella statunitense, che ha però trovato proprio nelle ore in cui il Segretario Generale ha espresso le sue preoccupazioni, pieno supporto da parte dell’ambasciatore israeliano Danny Danon: “È il momento di porre fine a questa assurdità. L’agenzia UNRWA incoraggia odio, le scuole UNRWA negano l’esistenza di Israele e i fondi è giusto che vengano destinati altrove”, ha detto.

Globalizzazione, climate change, immigrazione. Sono quindi queste le priorità del Segretario Generale. Ma subito dopo vengono due fronti ancora aperti e decisamente in bilico: Corea del Nord e Middle East. La prima, per la quale Guterres ha evidenziato che “bisogna far leva sui segnali positivi di speranza delle ultime settimane, c’è una finestra di opportunità che non va persa ma va tenuta aperta”. La seconda, con gli squarci diplomatici in Libano (“Preserviamo la sovranità e la stabilità del Paese”), Yemen (“È giunto il momento per le parti di intraprendere un processo di negoziazione per porre fine alla catastrofe umanitaria”) e Siria (“Proseguire con le negoziazioni di Ginevra”). Due fronti su cui, seppur indirettamente, il Segretario Generale continua a sperare nella capacità di mediazione da parte dell’ambasciatrice statunitense Nikki Haley, menzionata in più di un passaggio e vista, forse, come ultima spiaggia per addolcire gli spigoli diplomatici del Presidente Trump. Trump al quale Guterres, e lo ha precisato nel rispondere a una domanda sul Daca a microfoni spenti, non può dire come gestire l’immigrazione (“Le politiche dei singoli Paesi vanno rispettate, anche se io posso non essere d’accordo nel merito di quelle politiche”). Ma con il quale dovrà essere costantemente in grado di rapportarsi, per riavvicinare le distanze tra le parti e per far sì che le Nazioni Unite continuino a operare a regime, al netto dei tagli di budget di oggi e di domani.
Con l’obiettivo, magari, di mostrare al mondo un volto più concreto delle Nazioni Unite. Perché a La Voce di New York, in conferenza stampa la domanda non è stata concessa. Ma di risposte ai giornalisti il Segretario Generale ne ha date. E quando gli è stato chiesto da Richard Roth della CNN (min 31 del video integrale, qui sopra), di dire una cosa concreta, esplicitamente utile, scioccante (disruptive, si direbbe nell’universo digital di oggi) fatta nel primo anno come Segretario Generale delle Nazioni Unite, lo stesso Guterres è stato vago. Non ha saputo incidere. Non ha convinto. E forse, è proprio facendo leva su questa incertezza, su questo sentore di astrattismo che veleggia attorno al Palazzo di Vetro di New York, che Trump sta continuando a usare la sua spada di Damocle per fare il bello e il cattivo tempo. Con l’ONU, così come con l’intera comunità internazionale.