“Su Nord Corea tutte le azioni sono sul tavolo”. “America First, but not America alone”. E un attacco a Venezuela e Iran. Al Consiglio di Sicurezza di mercoledì 20 settembre, formalmente dedicato alla riforma delle missioni di pace dei caschi blu ONU, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno offerto il bis. Perché il vero motivo della riunione, la votazione della risoluzione per riformare l’opera di pace nelle Nazioni Unite nelle regioni delicate del mondo, è in realtà stata solo un pretesto per parlare d’altro. E davanti al primo ministro italiano Paolo Gentiloni, al presidente francese Emmanuel Macron e alla prima ministra inglese Theresa May, l’amministrazione USA ha ribadito le sue posizioni sui fronti più caldi, questa volta attraverso le parole del vice presidente Mike Pence.
Utilizzare il Palazzo di Vetro per veicolare chiari – e talvolta violenti, almeno a parole – messaggi all’esterno, sembra essere sempre di più la strategia di alcuni capi di stato e di alcuni governi. Di certo, è stata quella esplorata dall’amministrazione Trump a New York, durante la 72esima Assemblea Generale. Con Mike Pence che non a caso ha regalato il bis del suo “superiore”: “Siamo grati per le due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e crediamo si debba continuare con la pressione diplomatica, ma l’ONU deve fare di più, molto di più”, ha detto ad esempio Pence sulla Corea del Nord, ribadendo come “gli Stati Uniti abbiano pazienza e forza di volontà” (stessa frase usata da Trump), ma che questa potrebbe non bastare e che “tutte le azioni sono sul tavolo: se necessario useremo la forza militare”. Nel suo intervento, cadenzato e dal tono più istituzionale, durato una decina di minuti, Pence ha citato prima il discorso che Harry Truman pronunciò il 25 aprile 1945 alle Nazioni Unite, a San Francisco (in particolare il passaggio “We must not continue to sacrifice the flower of our youth merely to check madmen, those who in every age plan world domination. The sacrifices of our youth today must lead, through your efforts, to the building for tomorrow of a mighty combination of nations founded upon justice–on peace”). Poi ha citato Donald Trump e l’importanza del suo “America First”, precisando però che questo non significherà mai “America alone, perché saremo sempre al fianco dei nostri alleati”, ma solo la necessità di mantenere la sovranità del proprio Paese come prima priorità.
Nella seconda parte del suo intervento, invece, Pence ha iniziato con gli attacchi frontali. Al regime nord-coreano di Pyongyang, certo. Ma anche al Venezuela, definito ancora una volta una “dittatura socialista”. O all’Iran, per il quale Pence ha chiesto di tornare a discutere “dell’accordo sul nucleare, che come ha definito ieri il presidente Trump è imbarazzante per gli Stati Uniti”. Infine, una frecciata anche alla Russia, colpevole di “compromettere la pace in est Europa e in Ucraina forzando i confini”. Nel mezzo, le preoccupazioni per “un mondo nel caos”, altro passaggio citato dal discorso di Trump in Assemblea Generale, e una frase ripetuta in tre occasioni distinte: “Keeping the peace requires more than peacekeeping”. Tradotto, “mantenere la pace richiede più delle missioni di pace ONU”. Nonostante la risoluzione in Consiglio di Sicurezza, passata all’unanimità, sia stata accolta con favore anche dallo stesso Pence (“onorato di averla votata”, ha detto), questa non può bastare: per il vice presidente servono infatti “riforme, azioni, coraggio e dedizione”.
E Pence non è stato l’unico a non attenersi all’argomento della riunione. Perché sullo sfondo di Nord Corea, Venezuela e Iran, uno degli interventi più duri è stato quello del presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko, che ha attaccato apertamente la Russia di Vladimir Putin, “l’unica ad avere conflitti, in corso o congelati, con quasi tutti i Paesi a cui è confinata”. Un Paese considerato pericoloso per gli equilibri in Crimea, nei territori di confine con l’Ucraina e per la pace in Donbass, “una regione in cui i diritti umani sono venuti meno, con migliaia di persone uccise: si può essere uccisi solo perché si parla la lingua sbagliata, o si prega nella chiesa sbagliata. Dobbiamo intervenire al più presto possibile e nel modo migliore possibile”. Che per Poroshenko è attraverso “l’intervento dei caschi blu e di un’operazione ONU nelle zone di guerra”, un passo in avanti contro “le provocazioni continue compiute dalla Russia”.
In questo contesto, il contenuto della riforma delle missioni di pace ONU è passato in secondo piano. E tra i pochi a parlarne con interesse sono stati il Segretario Antonio Guterres (che ha evidenziato la necessità di colmare “il gap tecnologico per migliorare l’equipaggiamento e la mobilità dei caschi blu e per permettere loro di svolgere un lavoro migliore e coinvolgendo meno membri”) e il primo ministro italiano Paolo Gentiloni. Il quale ha sottolineato nel suo discorso l’importanza delle organizzazioni regionali (“le Nazioni Unite devono riconoscere l’importanza di garantire risorse per sostenere soluzioni locali per problemi locali”) e del recente accordo tra il Segretario Generale ONU e il presidente della African Union Commission, “che ha costituito un significativo passo in avanti” nel perseguire un approccio che consideri “i problemi dell’Africa, problemi di tutti noi”.