Un embargo petrolifero a metà e nessun blocco degli asset finanziari: alla fine, contro la Corea del Nord, l’elefante ONU potrebbe aver partorito l’ennesimo topolino. Un topolino che però, più grande di così, non potrà proprio essere. Perché dopo una settimana e mezza di voci, sussurri e “fire and fury” (a parole) da parte degli Stati Uniti, il Consiglio di Sicurezza ha approvato lunedì 11 settembre nuove sanzioni al regime di Pyongyang. Le più forti mai adottate contro un Paese del mondo. Le più forti, forse, che la comunità internazionale potrà mai imporre alla Nord Corea. Ma queste sanzioni non basteranno a risolvere la crisi, se non dovessero essere rispettate da tutti i Paesi che le hanno votate, e soprattutto se non verranno affiancate da un percorso diplomatico che riporti il dittatore Kim Jong Un ai tavoli delle trattative.
Il nuovo testo, votato nel tardo pomeriggio di lunedì 11, prevede il taglio dell’importazione di petrolio “in una percentuale tale da essere esclusivamente utilizzata a scopo di sussistenza dei cittadini”, e “non destinabile ai programmi missilistici nucleari o balistici o ad altre attività già vietate dalle risoluzioni 1718, 1874, 2087, 2094, 2270, 2321, 2356 e 2371”, quelle che dal 2006 l’ONU ha imposto al regime di Pyongyang. Tradotto, si attaccano fortemente le importazioni dell’oro nero della Nord Corea, ma in una quantità tale (-30% rispetto a oggi, tradotto in 2 milioni di barili all’anno) da non far ricadere le conseguenze del divieto sul sostentamento della popolazione nordcoreana, considerata dall’Italia prima che da altri Paesi del Consiglio di Sicurezza una “vittima del regime”. Non solo: il nuovo testo vieta al 100% l’export di tessili della Nord Corea, e decreta che Pyongyang non possa più importare nei suoi confini gas naturale. Con le nuove sanzioni, insomma, il regime nordcoreano è isolato dal mondo. O, usando le parole dell’ambasciatrice Haley, “solo, oscuro e destinato a diventare sempre più oscuro”. Nei fatti, però, fa ancora paura.

Proprio l’ambasciatrice statunitense Nikki Haley, nell’ultima settimana e mezzo, ha usato una strategia diplomatica a corrente alternata. È stata furba nel richiedere esplicitamente, alla fine del Consiglio di Sicurezza ONU d’emergenza di lunedì 4 settembre, che venisse votata una nuova risoluzione contro la Corea del Nord entro lunedì 11, costringendo Cina e Russia a non prolungare i tempi. Ha poi utilizzato la “mossa del palazzinaro” di trumpiana memoria, alzando la posta in gioco all’inizio delle trattative (quando si parlava di un taglio delle importazioni di petrolio per la Nord Corea al 100%), per poi accettare e ascoltare quanto proposto dalla missione cinese – con cui il lavoro sembra sia stato proficuo. Infine, durante il Consiglio di Sicurezza che ha decretato le nuove sanzioni, ha dichiarato che “nessuno è alla ricerca della guerra” e che la Nord Corea “non ha ancora superato il limite”, per poi elogiare il lavoro congiunto con la Cina: “Questa risoluzione è stata possibile anche grazie agli ottimi rapporti tra il presidente Trump e il presidente cinese Xi”, le sue parole.
Cina e Russia hanno votato senza indugio e con spirito di collaborazione a favore della nuova risoluzione. Anche se l’ambasciatore russo Vasilly Nebenzia, una frecciatina agli Stati Uniti (vedi video: min. 48) se l’è concessa. Perché secondo lui Cina e Russia avevano già tracciato negli scorsi mesi “una road map per la de-escalation nella regione coreana, fatta di sanzioni da una parte e di sforzi per un ritorno alle negoziazioni dall’altra” ed è stato “un errore da parte del Consiglio di Sicurezza (tradotto, degli Stati Uniti, ndr) sottovalutarla: rimane sul tavolo e la riproporremo in futuro”. Una road map che, fa capire senza dirlo Nebenzia, si può ritrovare proprio nella nuova risoluzione ed è esprimibile forse nei punti 29 e 30 del testo, quando si dice che il Consiglio di Sicurezza preme per “un ulteriore lavoro diplomatico per ridurre la tensione” e nell’imperativo “di raggiungere l’obiettivo di una completa, verificabile e irreversibile denuclearizzazione della penisola coreana in modo pacifico”.

Intanto, mentre il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres celebra l’ultima giornata della 71esima Assemblea Generale e le Nazioni Unite si preparano all’inizio della 72esima, il mondo rimane in allerta e attende le prossime mosse di Jim Jong-Un. Con l’Italia, che presiede la commissione 1718 ONU sul rispetto delle sanzioni, che nelle parole dell’ambasciatore Sebastiano Cardi ha elogiato la risoluzione votata all’unanimità. “Un testo equilibrato, che decreta un pacchetto completo e ampio di misure restrittive”, e che tuttavia “traccia anche la via attraverso cui la Corea del Nord, se vuole, può tornare alla legalità internazionale e a un diverso schema di relazioni con la comunità internazionale”. Non solo, con la risoluzione si rispettano “le preoccupazioni sulla situazione umanitaria nel Paese: non dobbiamo dimenticare – ha precisato Cardi – che i popoli della Corea del Nord sono vittime innocenti delle ambizioni autodistruttive del regime di Pyongyang”.
Gli equilibri, però, nonostante la risoluzione rimangono fragili. Con la Russia e la Cina che continuano a camminare a braccetto. Con gli Stati Uniti che fanno l’occhiolino alla Cina, ma potrebbero cambiare – presto e nuovamente – idea, forti del supporto del Regno Unito e della Francia. E con la Svezia, silenziosa e a sorpresa, che nel Consiglio di Sicurezza di lunedì 11 settembre ha modificato parzialmente la sua posizione: “Parallelamente alle sanzioni più severe, dobbiamo urgentemente instaurare intensificati e nuovi sforzi diplomatici per ridurre rapidamente le tensioni, aumentare la fiducia e prevenire l’escalation, aprendo il dialogo su una soluzione pacifica e completa”, ha detto l’ambasciatore Olof Skoog. Una posizione che si pone a metà tra Cina e Russia da una parte e USA dall’altra, e che potrebbe scompigliare le carte in tavola nell’immediato futuro. Lancio di nuovi missili, permettendo.