Un “Presidential Statement” per provare a trovare la quadra. È questa la strada intrapresa dalle Nazioni Unite in risposta ai tre missili lanciati dalla Corea del Nord, che lunedì 28 agosto hanno sorvolato sul Giappone facendo ripiombare la comunità internazionale nella paura. Nel gergo ONU, per “Presidential Statement” si intende una dichiarazione unanime votata dal Consiglio di Sicurezza, uno strumento meno “forte” di una risoluzione. Quindi, se ve lo state chiedendo, sì: quella sensazione di deja-vu che si era provata fino al Consiglio di Sicurezza del 5 agosto – che decretò pesanti sanzioni alla Corea del Nord per 2 miliardi di dollari – è tornata. E le Nazioni Unite, nella loro condanna compatta, si mostrano nuovamente impotenti.
All’ONU non sono state ore semplici. Da una parte, nel silenzio del mondo, l’Iran ha ufficializzato il suo “no” alla richiesta degli Stati Uniti d’America – e dell’ambasciatrice Nikki Haley – di inviare un ispettore per controllare i siti militari iraniani e per verificare il rispetto degli accordi nucleari sanciti dalla risoluzione 2231. Dall’altra parte, invece, l’interesse di tutti si è rivolto alla Nord Corea, i cui missili lanciati lunedì hanno portato il primo ministro Abe Azu e la missione giapponese all’ONU a richiedere con urgenza un Consiglio di Sicurezza. Consiglio di Sicurezza che alla fine c’è stato, seppur calendarizzato all’ultimo e svoltosi nel tardo pomeriggio di martedì, in due fasi: a ceneri “bagnate” e chiuso al pubblico prima, senza dare grosse risposte e aperto al pubblico poi. Il voto sul Presidential Statement è arrivato infatti al termine di più di due ore di consultazioni a porte chiuse, e la sua approvazione è giunta dopo il meeting pubblico, a sera inoltrata. Un documento che è stato, come ovvio, votato all’unanimità e nel quale è stata espressa piena condanna rispetto al lancio di missili dal Nord Corea, così come la necessità di far rispettare le sanzioni che già ci sono.

Ma la condanna a parole dalla comunità internazionale non può più bastare e il tema delle sanzioni, della cui utilità dietro le quinte si inizia a dibattere con insistenza, rimane attuale. L’ambasciatore italiano all’ONU, Sebastiano Cardi, ha evidenziato in questo contesto la necessità di dare una “risposta ferma e determinata da parte del Consiglio di Sicurezza”. Per questo l’Italia è “pronta a lavorare con i nostri partner per l’applicazione di ulteriori pressioni diplomatiche ed economiche sul regime nordcoreano, tenendo presente che le sanzioni devono rimanere uno strumento per una strategia più ampia, mirata a una soluzione pacifica e definitiva per la penisola coreana e per la regione nel suo complesso”. Un impegno ancora più forte, che viene da Cardi in qualità di presidente del Comitato 1718, che si focalizza proprio sul rispetto delle sanzioni decretate dall’ONU: “Siamo pronti a proseguire i nostri sforzi per garantire la piena attuazione del regime sanzionatorio da parte dell’intera nazione delle Nazioni Unite”, un aspetto ritenuto indispensabile “per far capire alla Corea del Nord il prezzo della sua sfida alla comunità internazionale e per riportarla ai tavoli negoziali”.
Ma far rispettare le sanzioni, non è facile. Anzi, sembra essere più difficile che farle approvare dal Consiglio di Sicurezza stesso. Ed è questo paradosso a far crescere grossi interrogativi sul futuro ruolo futuro delle Nazioni Unite, soprattutto sul fronte nord-coreano: perché se da una parte è difficile far rispettare le sanzioni già approvate, dall’altro non è chiaro se serva o meno che ce ne siano di nuove, magari attraverso un’ulteriore risoluzione. Di certo, a riguardo, c’è già chi ha detto no. La prospettiva di nuove sanzioni infatti non piace ad esempio alla Russia, che attraverso il vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov aveva dichiarato a poche ore dal Consiglio di Sicurezza ONU che “l’opzione delle sanzioni alla Corea del Nord si è ormai esaurita: ora l’Onu deve passare una risoluzione che dica chiaramente no alla soluzione militare e no a sanzioni unilaterali al di fuori di quelle approvate dal Consiglio di Sicurezza”.

Il termine “nuove sanzioni” non piace nemmeno al Regno Unito, che nel pomeriggio di martedì aveva reso noto attraverso il vice-ambasciatore Jonathan Allen: “Non ho sentito parlare di nessuno che proponga nuove sanzioni a questo punto”. E forse, l’opzione nuove sanzioni inizia a sembrare inutile persino al presidente USA Donald Trump, che a poche ore dal lancio dei nuovi missili aveva evidenziato come “tutte le opzioni” fossero “sul tavolo”. Mentre la sua ambasciatrice Nikki Haley, qualche ora dopo durante il Consiglio di Sicurezza, avrebbe puntato il dito sulla necessità di perseverare sulle sanzioni già approvate e di “farlo tutti insieme”. Così come “insieme” del resto è arrivata anche “l’ennesima condanna all’operato della Corea del Nord”. Un Paese formalmente solo, ma che da solo riesce ancora a costringere il Palazzo di Vetro di New York a stare sveglio fino a tardi, per approvare un documento che in realtà non cambia nulla.