Più di 8 mila morti, quasi 45mila feriti, circa tre milioni di sfollati (dati di marzo). Famiglie divise, redditi in affanno, un’emergenza umanitaria che non sembra arrestarsi. La disperazione silenziosa dello Yemen, il Paese arabo dimenticato dal mondo e di cui nessuno parla, continua a preoccupare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che martedì ha analizzato la situazione ascoltando la relazione dell’inviato speciale, Ismail Ould Cheikh Ahmed.
Dopo poco più di due anni dall’inizio della guerra civile, infatti, la crisi non si è ancora arrestata e il Paese è diviso. Da una parte il presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dalla coalizione araba e tornato nello Yemen, ad Aden, dove presiede un governo riconosciuto a livello internazionale, dopo essere stato cacciato dalla capitale Sanaa. Dall’altra i ribelli houthi, un gruppo armato sciita nato nel 1992, capace di spodestare dopo due anni di tensioni e manifestazioni nel 2015, il governo presieduto da Hadi, accusato di corruzione e infedeltà. Nel mezzo i bombardamenti dell’operazione “Decisive Storm” che, nel marzo del 2015, diedero ufficialmente il via al conflitto armato con il coinvolgimento dell’Arabia Saudita (al fianco del presidente Hadi) e di un quarto incomodo, l’Iran. È proprio l’Iran infatti ad essere accusato dai sauditi, loro rivali nella regione medio-orientale, di aver sostenuto e di sostenere tutt’oggi i ribelli sciiti. Ed è sullo sfondo di questo “gioco delle tre carte”, dove talvolta è difficile capire chi combatta contro chi, e dove le carte in realtà sono ben più di tre, che la crisi umanitaria ha finito per inasprirsi proprio in Yemen, vittima dei bombardamenti.
“Mi dispiace molto dover informare questo Consiglio che l’appello alla pace delle donne e della società civile dello Yemen è ben lontano dall’essere raccolto – ha dichiarato martedì nel suo lungo resoconto l’inviato speciale del Segretario Generale dell’ONU in Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed. La riluttanza delle varie parti coinvolte a trovare un compromesso rende la situazione estremamente complessa”. Il monito dell’inviato, a Sanaa, è stato chiaro: “Ho esplicitato alle parti coinvolte che dovranno riuscire raggiungere l’accordo di cui l’intera area yemenita ha bisogno, per prevenire il terribile scenario di guerra che si potrebbe concretizzare a Al-Hudaydah”, città portuale nelle mani dei ribelli houthi e nel mirino della coalizione araba a sostegno del presidente Hadi. Al-Hudaydah, infatti, è estremamente strategica: situata nel versante ovest dello Yemen e vissuta da circa mezzo milione di persone, è il crocevia attraverso il quale passano circa il 70% delle provvigioni di acqua e cibo. E a causa del conflitto in corso, questa città rischia di trasformarsi in un nuovo scenario di guerra e disperazione, uno dei tanti di un Paese allo stremo.
“Il 40% delle case in Yemen è stata distrutta a causa dei bombardamenti” ha evidenziato ancora il segretario Ahmed, che ha sottolineato come la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie stia sfociando in una nuova epidemia di colera. “In un mese, circa 500 persone hanno perso la vita e i casi sono in aumento: sono previsti circa 150mila casi nelle prossime settimane e la rapida diffusione della malattia è dovuta anche a un sistema sanitario in crisi”. Solo il 45% delle strutture ospedaliere, infatti, è oggi funzionante e “le persone in Yemen muoiono non solo per la violenza dei bombardamenti, ma anche per la perdita dei loro mezzi di sostentamento”. Un’emergenza silenziosa, di cui pochi parlano, confermata dal portavoce di Save The Children Marco Guadagnino: “Le stime che stiamo raccogliendo in questi giorni dai nostri operatori in Yemen parlano di quasi mille casi sospetti di colera al giorno. Grandissima parte di questi casi, purtroppo, riguarda bambini: temiamo che questa situazione possa ulteriormente peggiorare nelle prossime settimane, con la stagione delle piogge”.
I destini del popolo yemenita, quindi, dipenderanno da Arabia Saudita e Iran. Ma non solo. Il conflitto in Yemen infatti potrebbe avere, prima o poi, un nuovo protagonista fino a questo momento nascosto: gli Stati Uniti d’America. Il Presidente Donald Trump, fin dal suo insediamento, ha mostrato una posizione affatto conciliante verso il governo iraniano, almeno rispetto alla precedente amministrazione Obama, e durante il suo recente incontro a Ryad si è speso esplicitamente a favore dell’Arabia Saudita. La Voce di New York, a margine del Consiglio di Sicurezza di martedì, ha chiesto al presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore dell’Uruguay Elbio Rosselli, se le parole pronunciate da Trump in Arabia Saudita avessero aiutato o maggiormente complicato le speranze di pace in Yemen (video con la domanda dal minuto 4:40): “Per quel che riguarda il mio Paese – ha detto l’ambasciatore uruguayano rispondendo soltanto nella sua carica di capo missione e non come presidente del UNSC – vogliamo ancora analizzare bene il discorso del presidente americano nel dettaglio, prima di commentarlo”. Una risposta che conferma la delicatezza della crisi in Yemen, una situazione in fase di stallo, ma ormai prossima a diventare una catastrofe umanitaria nell’assoluta disattenzione del mondo.