Con l’istituzione su proposta italiana della task force Unite for Heritage (i cosiddetti Caschi blu della Cultura) dell’ONU, composta da storici dell’arte, esperti, restauratori italiani, insieme a un nucleo di Carabinieri del Comando tutela del patrimonio culturale, recentemente il nostro paese si è messo in luce come protagonista nel campo della tutela dei beni culturali minacciati nelle zone di conflitto, a partire da Siria e Iraq. Le sistematiche distruzioni iconoclaste di monumenti e opere d’arte ad opera dell’ISIS, nonché le razzie di reperti archeologici e oggetti da piazzare clandestinamente sul mercato dell’arte, stanno provocando danni incalcolabili. Lo scempio di Palmira, dove l’ISIS ha distrutto preziosi manufatti come il tempio di Baalshamin, e la decapitazione dell’anziano archeologo e conservatore di Palmira Khaled al Asaad, che ha scelto di dare la vita per difendere il patrimonio culturale della città, hanno acceso l’attenzione dei mass-media occidentali sulla necessità e l’urgenza di intervenire per tutelare beni che in realtà sono di tutta l’umanità. Parallelamente, il terrorismo continua a colpire il cuore dell’Europa, rivelandone una fragilità (anche politica e culturale) che sgomenta e acuisce le preoccupazioni.
Ne abbiamo parlato con Francesco Rutelli, uomo politico di vasta esperienza (già segretario del Partito radicale, poi Sindaco di Roma dal 1993 al 2001, deputato e Ministro dei Beni culturali dal 2006 al 2008, è stato anche candidato premier dell’Ulivo alle elezioni nazionali del 2001), attualmente presidente del Partito Democratico Europeo, che negli ultimi anni si è dedicato attivamente alla valorizzazione e difesa del patrimonio culturale, in qualità di presidente di Priorità Cultura e di Incontro di Civiltà.
Quali sono gli obiettivi e le iniziative di Priorità Cultura e di Incontro di Civiltà?
“Priorità Cultura è nata tre anni fa con l’obiettivo di occuparsi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, anche attraverso gli strumenti della diplomazia culturale (Rutelli è Presidente onorario dell’European Institute for Cultural Diplomacy di Berlino, n.d.r.). Abbiamo attivato collaborazioni con realtà in mondi emergenti, come la Cina (unire le città della Via della Seta nel Ventunesimo secolo) e con varie istituzioni culturali tra cui il World Monuments Fund (organizzazione non-profit che ha sede a New York, n.d.r.). Con la Biennale di Venezia è stata realizzata un’iniziativa sul cinema come strumento di diplomazia culturale. Priorità Cultura assegna inoltre un premio, il Cultural Heritage Rescue, a persone che si sono distinte per il coraggio nella difesa del patrimonio culturale. Come Maamoun Abdulkarim, a capo della Direzione generale delle Antichità della Siria, a cui è stato conferito nel 2014. Nei prossimi giorni saranno resi noti i nomi dei vincitori di questa edizione.
Vogliamo essere un punto di incontro tra eredità culturale e innovazione, con un’attenzione speciale alla trasformazione delle città dei paesi emergenti e delle città europee.
Incontro di Civiltà è una costola di Priorità Cultura, creata con lo scopo specifico di contrastare la distruzione dei beni culturali sistematicamente perseguita da Daesh (o ISIS n.d.r.) come strumento fondamentale per la delirante pretesa di un ritorno alle origini del VII secolo, imponendo l’egemonia del terrore e la cancellazione del diverso”.
Come sono finanziate le iniziative di Priorità Cultura e Incontro di Civiltà?
“Sono completamente finanziate da privati. Il mio lavoro in questi anni è stato di volontariato. Data la mia lunga esperienza politica e istituzionale, ho preferito fare questa scelta. Abbiamo i contributi di sponsor e di partner organizzativi.
Per esempio, con la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo (ex Fondazione Roma-Terzo settore, n.d.r.) stiamo preparando una grande mostra dei manufatti distrutti da ISIS, ricostruiti con diverse tecniche innovative (tra cui l’uso di stampanti 3D), che si terrà a Roma nella seconda metà di quest’anno. Esporremo tra l’altro una riproduzione del toro androcefalo di Nimrud – ma non posso dire di più”.
È di queste settimane l’istituzione della task force italiana Unite for Heritage, i cosiddetti Caschi blu della Cultura, con il compito di intervenire su mandato della comunità internazionale nelle zone in cui i beni culturali sono minacciati dai conflitti. Si è letto da più parti che si tratta di un’idea sua, me lo conferma?
“Diciamo che certe idee sono nell’aria e qualcuno le afferra prima. Ma è vero che è una mia battaglia da tanti anni. Ho trovato terreno fertile in questo governo, i ministri Gentiloni (degli Esteri) e Franceschini (dei Beni Culturali) si sono impegnati per arrivare a questo risultato. L’attività dei Caschi blu naturalmente non potrà svolgersi durante le fasi di conflitto, ma prevede un sistema di interventi nelle aree in crisi in tre momenti: la prevenzione (catalogazione e messa in sicurezza delle opere), la gestione della crisi, con la protezione degli operatori culturali e dei custodi del patrimonio e il contrasto del traffico illecito, e infine il ripristino e la ricostruzione, che ha forti implicazioni strategiche.
Dopo i danni e le devastazioni della Seconda guerra mondiale, il vero cambiamento è stato la presa di coscienza che il patrimonio culturale è di tutta l’umanità, non solo della nazione a cui appartiene. E questa consapevolezza è un risultato che non va messo in discussione”.
Priorità Cultura collaborerà con questa task force? In che modo?
“Verosimilmente sì, ne ha tutte le caratteristiche”.
L’Italia con questa iniziativa è in prima linea nella lotta alla devastazione del patrimonio culturale nel mondo. Le nostre risorse sono competenze e mentalità, che sono il portato di secoli di cultura: l’eccellenza nei campi dell’arte, del design, del restauro e una profonda capacità interpretativa nell’ambito delle scienze umane (storia, storia dell’arte, estetica). Abbiamo un sapere da mettere a disposizione. Lei ritiene che questa sia anche un’occasione di “riscatto” e rilancio internazionale per il nostro paese?
“Per così dire, non è mai troppo tardi. C’è stato un eccesso di timidezza da parte del nostro paese. Abbiamo considerato la diplomazia culturale come se fosse un fattore marginale, mentre è nodale per l’affermazione dei nostri valori fondanti.
E non si è tenuto sufficientemente conto del fatto che le capacità culturali rafforzano le capacità economiche: c’è integrazione, è tutt’uno con la nostra tradizione. Ad esempio, non è possibile pensare al vino toscano senza il paesaggio toscano, e la moda italiana nasce dalle nostre tradizioni culturali. All’estero ne sono consapevoli. Un paio di settimane fa ho avuto la possibilità di visitare in anteprima a Londra la mostra dedicata a Botticelli nel Victoria and Albert Museum: è tutta centrata sull’influenza dell’artista sulla contemporaneità (dall’Ottocento dei Preraffaelliti ai giorni nostri, n.d.r.). E trovo anche straordinariamente significativo che Finmeccanica, decidendo di cambiare nome, scelga di chiamarsi Leonardo. Le nostre industrie hanno sempre avuto un profilo culturale, si è visto bene durante il boom negli anni ’60″.
Pensare fin da ora alla ricostruzione, immaginare il dopoguerra in Siria è fondamentale, ma prima di tutto occorre, è urgente fermare lo sterminio e lo scempio. Lei ha parlato più volte di interventismo democratico. Perché per la comunità internazionale sembra essere così difficile trovare una soluzione a questa smisurata devastazione (in circa 4 anni, 250.000 morti e approssimativamente 6 milioni di rifugiati oltre a 5 milioni di rifugiati interni)?
“L’Occidente paga il pegno di una guerra sbagliata in Iraq: un intervento mal posto e mal gestito dopo. “You broke it, you own it” (la cosiddetta dottrina Powell, per cui chi fa cadere un regime distruggendone le istituzioni governative, deve poi assumersi la responsabilità di sostituirlo per non lasciare un vuoto istituzionale, n.d.r.). Peraltro vediamo cosa sta succedendo ora in Libia. Se è stato necessario intervenire, il ritrarsi nel dopo Gheddafi sta creando nell’area gli stessi problemi iracheni che sono all’origine della nascita dell’Isis-Daesh.
Intervenire si deve se ci sono condizioni in cui il fattore umanitario lo rende necessario: in questo senso ho parlato di interventismo democratico. Ritengo che un intervento a scopo di tutela e salvezza delle popolazioni non sia scindibile dalla tutela del patrimonio dell’umanità”.
Insisto su questo punto: mentre si fa finalmente uno sforzo per salvare il patrimonio culturale, ancora troppo poco viene fatto per salvare il patrimonio umano. Le risorse economiche messe a disposizione per la tutela del patrimonio non potevano essere dirottate sul peace keeping? E se non è stato fatto, perché? Ma soprattutto, cosa si potrebbe fare per correggere questo squilibrio?
“Non ci può essere amnesia dei valori europei, o meglio dei valori universali che sono storicamente nati in Europa, ma comportano oneri per essere difesi e affermati. Per la Siria, molto si poteva fare con attività di prevenzione, di intelligence, che avrebbero potuto evitare da un lato la degenerazione del regime di Assad e dall’altro il dominio dell’Isis sulle opposizioni.
Ma, ripeto, non c’è contraddizione tra salvaguardia del patrimonio culturale e difesa delle vite umane. La distruzione del patrimonio culturale è la cancellazione dell’identità delle persone”.
Una tragica conseguenza della crisi siriana è l’emergenza migranti, con l’inadeguatezza della risposta europea. In veste di presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), lei ha presentato nel 2009 la relazione sulla tratta degli esseri umani. Da allora la situazione si è aggravata. La sfida è conciliare i doverosi interventi umanitari, per mettere in salvo persone in grave pericolo che fuggono da guerra e orrore, con la sicurezza dell’Italia e dell’Europa, salvaguardando, per tutti, valori e diritti fondamentali, che non possono essere negoziabili: libertà, laicità dello Stato di diritto, diritti universali dell’uomo. Lei ha proposto la dichiarazione di cittadinanza europea. Di cosa si tratta?
“Caratteri e modalità dell’emigrazione molto cambiati. Non siamo di fronte a nazioni giovani come gli USA che avevano bisogno di forza lavoro per crescere e svilupparsi. Il pianeta è sovrappopolato, ormai siamo oltre 7 miliardi.
Abbiamo a che fare con migrazioni di diversi tipi. Davanti a noi c’è l’Africa che va verso i 2 miliardi di abitanti. Occorrono limiti e regole per le migrazioni economiche, ma per il resto nella fondazione stessa dell’Europa ci sono valori che impongono l’accoglienza. Che sono ineludibili per chi fugge le guerre o le dittature criminali.
Sogno un’Europa in cui ciascuno sottoscriva una dichiarazione di cittadinanza europea, una dichiarazione di condivisione di valori, di diritti e doveri. Gli USA sono un esempio da questo punto di vista. Io sono filoamericano da sempre e dico: la forza degli Stati Uniti nel XX secolo è stata proprio la condivisione comune di istituzioni e valori. Sarebbe un’Europa che costruisce la sua rinnovata identità chiedendo di condividerla a chi si propone di entrare.
Del resto, come si può pensare che un paese di 5, 10 o anche 60 milioni di abitanti possa da solo avere peso su uno scenario internazionale globalizzato? Auspico che la Gran Bretagna resti in Europa, ma la forza dell’Europa sta nell’integrazione dei paesi della zona Euro, se non vogliamo diventare irrilevanti nel mondo, tanto più adesso, che su scala globale sta cambiando il ruolo degli USA, avviati verso una maggiore chiusura”.
Questo momento è dominato dallo sgomento per il grave attacco terrorista a Bruxelles di ieri. L’Europa di nuovo colpita al cuore, dopo gli attentati di Parigi. Le chiedo un commento.
“I terroristi ci possono colpire e spaventare, ma non potranno vincere. Ha detto di recente Shimon Peres: ‘È impossibile ricordare qualunque cosa che un terrorista abbia ottenuto, salvo che uccidere delle persone’. Il terrore può, ovviamente, condizionarci, e cambiare le nostre vite in peggio. Dobbiamo impedirlo, e siamo in grado di farlo. Sono stato a Parigi dopo gli attentati, tornerò presto a Bruxelles; se anche fosse colpita l’Italia (è nell’ordine delle cose possibili), non dovremmo piegarci mai. Non suoni blasfemo: ma la tragedia in Catalogna dove un autista irresponsabile ha ucciso tredici meravigliose ragazze (tra cui la figlia di una persona per cui ho una profonda stima, Giuseppe Scarascia Mugnozza) non spingerà a cancellare gli Erasmus; piuttosto, dovrà far controllare più severamente l’affidabilità di certi servizi-bus turismo. Se smettessimo di viaggiare per paura dell’ISIS, una loro miserabile, fallimentare vittoria sarebbe conseguita. Le organizzazioni terroristiche – ISIS/Daesh, Al Qaeda, o qualunque altra – sono nostre nemiche. Vanno combattute, sconfitte, estirpate. La strada maestra è la cooperazione internazionale. Il Belgio, purtroppo, si è dimostrato a lungo porto franco per criminali assassini, che non sono stati tenuti sotto controllo in modo adeguato. È un’ottima ragione per dare vita a un’Intelligence europea, a controlli dei confini europei affidati all’UE, a missioni operative sotto bandiera UE, che riuniscano le capacità, non solo le informazioni, dei paesi europei, oggi sotto attacco. La democrazia è fragile, per definizione. Ma la libertà che abbiamo conquistato è la nostra forza. E le forze del Buio e del Male – tanto più sotto le bandiere orrende di una falsa religione del terrore – ne saranno sconfitte”.