Un viaggio alla ricerca del lato B dell’America: la bella metafora multistrato che invita a guardare dietro la facciata e l’immagine mainstream degli Stati Uniti fa subito venire in mente i vecchi 45 giri ma un po’ fa anche pensare al corpo umano, a quella parte di noi che teniamo nascosta. Un’altra America. Viaggio nelle città “italiane”degli Stati Uniti racconta un itinerario di esplorazione dell’America più profonda e meno in luce, un libro scritto on the road (letteralmente) da Alberto Giuffrè, giornalista di Sky TG24 e ViviMilano, palermitano per nascita e milanese da anni, esperto di musica rock e pop (che infatti ha corredato i capitoli di indicazioni per una colonna sonora dedicata ad ogni tappa).
Otto punti sulla mappa degli States, da unire muovendosi in macchina e aereo in una sorta di Settimana Enigmistica dalle dimensioni reali di mezzo continente: otto città che si fregiano del nome di una città italiana, in otto stati diversi, selezionate con cura e molti mesi di preparazione.
L’idea dietro l’impresa (la quale presenta qualche tratto di eroismo, soprattutto se si pensa a certi inganni di Google Maps, che può tenerti in ostaggio per ore con la spia della benzina in riserva accesa, di notte, su strade sterrate in mezzo a campi che avrebbero dovuto essere accoglienti agglomerati urbani) era di inoltrarsi negli Stati Uniti più profondi e genuini, andando a vedere cosa c’è di italiano dietro a questi nomi. E forse la prima sorpresa è proprio rendersi conto che la denominazione può essere italiana in modo del tutto fortuito.
I sette colli degli Appalachi
È il caso di Rome (in Georgia, ai piedi degli Appalachi), nome che ha vinto su Varsavia e Amburgo nell’estrazione a sorte da un cappello nel 1834. Però poi viene fuori che la città giace su sette colli: nomen omen (nomen urbs)? Siamo nella cosiddetta Bible Belt (la cintura dellla Bibbia), una serie di Stati in cui la religione della Bibbia e quella del football americano hanno la massima importanza. Insieme al voto ai repubblicani e a una certa dimestichezza con le armi. Qui ci si imbatte in una statua della Lupa capitolina regalata nel 1929 da Mussolini alla “nuova Roma”, tornata in pubblico negli anni Cinquanta dopo alcune traversie: prima le pudenda di Romolo e Remo erano state coperte da una sorta di pannolino, poi con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 la scultura venne rimossa dalla pubblica via dopo la minaccia di attentati. Ma al giorno d’oggi la presenza dell’Italia è decisamente meno simbolica e molto più concreta: la Pirelli ha infatti deciso di stabilire qui la sede principale del Nord America ed è un genovese a guidare la produzione.
È a Rome (esattamente Myrtle Hill) che riposano le spoglie di Charles W. Graves, il Milite Noto, morto durante la Prima guerra mondiale, dissepolto dalla sua tomba in Francia e riportato a casa dopo una toccante processione per le strade di New York, per rappresentare tutti i caduti americani. Nello stesso cimitero, la tomba del suo concittadino George Stephen Morrison, papà di Jim.
Dalle gondole alle startup
Tutt’altro clima e stile di vita, in ogni senso, a Venice, California. Fondata agli inizi del Novecento come parco dei divertimenti che riproduceva i canali veneziani con tanto di gondolieri, durata in questa veste turistica una quindicina d’anni, ha poi affrontato decenni di degrado fino al recupero degli anni Novanta.
Ora, a parte i dispensaries in cui si somministra legalmente con l’obbligo di ricetta medica la medical marijuana, dopo il buio degli anni Ottanta durante i quali era conosciuta come “the slum by the sea”, è diventata la Silicon Beach: qui migliaia di imprese legate al mondo della tecnologia hanno stabilito le proprie sedi, ad esempio le ormai affermatissime Snapchat (la app delle foto che si autoeliminano) e Whisper (app per postare messaggi anonimi). Qui Google si è installata in un edificio che non può passare inosservato: il famoso Binoculars Building di Frank Gehry. Venice è diventata una sorta di paradiso delle start-up, per programmatori di software e progettisti/sceneggiatori di videogames, tra cui molti giovani e brillanti italiani.
Palermo meno la disoccupazione
A Palermo (pronunciato Pàlermo, North Dakota, vicinissimo al confine col Canada) invece la svolta è avvenuta grazie al petrolio. Che è sempre stato lì sotto, ma che solo grazie a nuove tecniche come la perforazione orizzontale e il fracking si è comiciato ad estrarre circa quindici anni fa. Il North Dakota è così diventato il secondo produttore di petrolio degli USA, dietro al Texas. “American oil on American soil”.
Il tasso di disoccupazione qui è uno dei più bassi di tutti gli States. Non bastano le case, e chi deve fermarsi solo pochi anni o mesi, fare un po’ di soldi e ripartire, non ha neanche tempo di costruirle. Così proliferano prefabbricati e camper. Sovraffollamento, traffico di camion, rumore, ma nella cittadina fantasma (un centinaio di abitanti “veri”), che probabilmente nel nome celebra i siciliani che hanno costruito la ferrovia da queste parti, scarseggiano le donne: è un mondo prevalentemente maschile, in cui negli ultimi anni sono aumentati molestie e violenze sessuali (le cameriere nei locali sono abituate a girare armate di taser). E che ha provocato l’arrivo anche di un altro tipo di immigrazione nei dintorni: quello delle ragazze che lavorano negli strip club. Quando si battono strade secondarie, defilate e al di fuori dai soliti circuiti turistici, le sorprese sono tante.
Giglio e musica
Per esempio, si arriva in Alabama, a Florence, dove tutti gli stereotipi del caso vengono nettamente ribaltati. La località, progettata – nome compreso – dall’ingegnere toscano Ferdinando Sannoner nel 1818, il cui sigillo ufficiale è tuttora un giglio, in sostanza è il luogo da cui, da più di cinquant’anni, viene fuori la musica migliore che ascoltiamo in tutto il mondo.
Qui hanno sede gli studi di registrazione FAME (Florence Alabama Music Enterprises), dove uno sconosciuto ventunenne di nome Arthur Alexander nel 1961 registrò You Better Move On e Anna (Go To Him), successi così strepitosi che la prima sarà incisa dai Rolling Stones e la seconda dai Beatles: inizia così il mito del fondatore degli studi Rick Hall, incredibile talent scout che farà registrare When a Man Loves a Woman a Percy Sledge quando era un inserviente in un ospedale dei paraggi e riuscirà ad attirare nei suoi studi Aretha Franklin, Etta James, Wilson Pickett grazie al sound degli Swapers, band che – sorpresa – è composta tutta di musicisti bianchi. Qui a Florence le carte si sparigliano, l’integrazione tra bianchi e neri funziona, è reale: come in un’enclave.
In seguito arriveranno anche i Rolling Stones (addirittura Wild Horses non solo è registrata ma in parte scritta qui, da Keith Richards chiuso nel bagno: la tavoletta del WC su cui il chitarrista ha dato il meglio di sé è tuttora custodita come una reliquia), Bob Dylan, Paul Simon, i Traffic… Ma non basta. Era nativo di Florence Sam Phillis, l’uomo che, dopo aver fondato una casa discografica a Memphis, nel 1961 decise di investire su un camionista diciottenne: era Elvis Presley. E poi coinvolse Johnny Cash, Roy Orbison, Carl Perkins. Il genius loci è senza dubbio musicale. Anche l’autore del leggendario St. Louis Blues, W. C. Handy, era nato a Florence, in una capanna di tronchi d’albero, da due schiavi emancipati. Ora la capanna è custodita nella sua casa museo, che si trova proprio accanto alla Rosenbaum House, progettata dal grande Frank Lloyd Wright.
La Genova dei mormoni
Più controversa e di fatto inconoscibile è l’origine della denominazione di Genoa in Nevada (anche qui l’accento si sposta e la pronuncia diventa Genòa), così ribattezzata da un religioso nel 1856. Fondata nel 1851, il centro originariamente aveva un nome molto più neutro: Mormon City. Un gruppo di mormoni era infatti arrivato qui da Salt Lake City per fondare un trading post per i viaggiatori, come dire un autogrill per i cercatori d’oro diretti in California.
La città si dichiara la più antica dello Stato, in concorrenza con la vicina Dayton. Sicuramente però è qui il bar (nel senso di taverna) più antico dello stato, nato nel 1853 e attivo ininterrottamente, anche durante il Proibizionismo: un saloon da iconografia dei film western, al cui bancone si sono seduti Mark Twain e i due presidenti degli Stati Uniti Ulysses S. Grant e Theodore Roosevelt. Incredibilmente in tema (cinematograficamente parlando) il fatto che qui Clark Gable e Carol Lombard abbiano giocato a poker sfidando i proprietari terrieri locali per cifre su cui ancora si favoleggia.
Genoa è anche la patria dei celebri pony express, un’ottantina di uomini che consegnavano la posta a cavallo, dall’aprile 1860 all’ottobre 1862, mandati in pensione dalla linea internazionale del telegrafo e dallo scoppio della Guerra civile.
La Lipona di Murat
Nessuna atmosfera rètro invece a Naples, Florida, affacciata sul golfo del Messico. Plurime le supposizioni che si fanno intorno all’origine del nome, ma senz’altro la più suggestiva è quella che ipotizza sia stato scelto in onore di Achille Murat, figlio del re di Napoli Gioacchino e di Carolina Bonaparte, che dopo la fucilazione del padre si era rifugiato in Florida, in una proprietà da lui chiamata Lipona: anagramma di Napoli.
Luogo di ritiro per ricchissimi pensionati e “snowbirds”, i benestanti americani che possono permettersi di svernare da queste parti, attrae soprattutto gente che arriva del Midwest e anche dal Canada. Molte le ville da sogno appartenenti a celebrities: Steven Spielberg, per fare un nome. E anche il nostro Giorgio Chinaglia aveva vissuto qui gli ultimi anni.
Ma è sufficiente allontanarsi dalle ville sul mare verso l’interno per trovare i campi di pomodori (la Florida produce il 90% dei pomodori consumati negli USA) e i lavori che gli Americani non vogliono più fare, come la raccolta, in condizioni estremamente precarie dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, oltre che pagati male.
I navigli di Edison
Non poteva mancare una Milan (pronunciata Mailan però), in Ohio, stato che gode per così dire di cattiva stampa: freddo, deprimente, stagnante come la sua economia. Ma Milan, attualmente un paesino, alla metà dell’Ottocento, grazie a un canale artificiale che la collegava all’Huron, era, dopo Odessa, il secondo porto al mondo per il commercio del grano.
Oggi che le vie d’acqua sono state dismesse, la città vive soprattutto della luce riflessa dalla gloria del grande inventore Thomas Edison, nato qui nel 1847, a cui si devono tra l’altro la lampadina a incandescenza e il fonografo. Famoso per la sua pervicace ostinazione, si narra che, accusato di aver fallito diecimila volte, rispondesse che non aveva fallito, ma aveva scoperto diecimila modi che non funzionano e che insistendo avrebbe trovato quello che funziona. Motto della casa: try hard.
La Verona dei Sopranos
Ci si sposta in direzione East Coast, per approdare a Verona, New Jersey, affollata nelle ore di punta di pendolari che si dirigono a New York o a Newark. In questo paese di circa mille anime, fino al 2013 ha avuto sede la Annin, la più antica e grande azienda produttrice di bandiere degli States, tra cui quella issata da sei soldati americani a Iwo Jima dopo la vittoria sui giapponesi (momento fermato in una foto iconica che valse il Pulitzer a Joe Rosenthal) e quella piantata sulla Luna da Armstrong e Aldrin.
Ed è a un piccolo ma agguerrito team di ex dipendenti della Annin (la decana del gruppo era una signora della provincia di Campobasso) che il governo americano qualche anno fa ha affidato il restauro della bandiera che sventolava a un isolato dalla Torre Sud del World Trade Center e che, benché colpita dai detriti, non è rovinata a terra.
Gli italoamericani sono numerosi qui (dopo Rhode Island e Connecticut, il New Jersey è il terzo stato per percentuale di cittadini italoamericani, con il 17,9%, ma il primo, dopo New York, per numero assoluto), ma il nome non ha niente a che fare con questa presenza: inizialmente la scelta era caduta su Vernon, che però è stato poi leggermente modificato in Verona (con un implicito omaggio allo stile architettonico italianizzante in voga a fine Ottocento), per non essere confusi con una località non molto lontana.
L’impronta italoamericana di Verona si può piuttosto rintracciare nell’ambientazione della grande saga televisiva Sopranos, in cui si narrano le vicende della famiglia mafiosa di origine avellinese: a partire dalla sigla della serie in cui Tony Soprano guida nelle strade del New Jersey e arriva infine a casa, alle numerose scene che sono state girate qui. Mentre già per Il Padrino Francis Ford Coppola aveva scelto numerose comparse nella comunità italoamericana di Verona.
Dopo tanto girovagare nella pancia degli States, a poca distanza da Verona ecco apparire lo skyline di New York, in cui si arriva in un’ora di autobus: tornando alle più familiari immagini caleidoscopiche della metropoli cosmopolita e accogliente.
Alberto Giuffrè, Un’altra America. Viaggio nelle città “italiane” degli Stati Uniti, Marsilio Editori, 2016.