Non ero ancora scesa dal secondo treno (dei tre necessari per arrivare al lavoro), quando hanno cominciato a squillare i cellulari, prima delle otto: familiari e colleghi telefonavano per accertarsi che la persona chiamata fosse sana e salva, al sicuro. E così ci hanno avvisato di quello che era appena successo, noi ignari.
“Potevo esserci io” – è tra i primi pensieri (di tutti), di una concretezza così reale da essere quasi tattile, totalmente al di fuori da quella sfera di astrazioni contemplate intellettualmente, sotto la protezione dell’inconscia certezza che a noi non succederà mai. È il nostro modo sopportabile di pensare la nostra morte. “Non è capitato a me stamattina, solo perchè non ho sentito la solita sveglia in tempo”. Samarcanda a rovescio. No, non è successo sulla mia linea, come sembrava inizialmente – ma, onestamente, chi può veramente pensare che faccia differenza?
Sembra proprio di vederli, tutti coloro che hanno corso come pazzi per non perdere quel treno, e ce l’hanno fatta, a prenderlo. Lavarsi, vestirsi, controllare di avere tutto – cartella, documenti, la schiscetta, un cambio di vestiti, una giacca per quella riunione; preparare la colazione, lavare vestire pettinare i bambini, accompagnarli a scuola, cercare parcheggio, parcheggiare, correre correre… Le scale, i gradini due alla volta scusi permesso scusi grazie… Il pensiero al mutuo, ai conti, una piccola vacanza nelle prossime settimane, come sarebbe bello andare qualche giorno al mare; i genitori anziani che hanno bisogno della spesa, di quell’appuntamento dal medico; il sonno – che sonno, non dormo abbastanza, fa ancora freddo ma meno male che si sono già allungate le giornate; i problemi al lavoro, qualche collega incarognito che rovina le giornate senza motivo, basterebbe così poco per essere tutti più sereni; uffici fabbriche scuole negozi mutinazionali; stipendi – bassi, troppo bassi, non si riesce a risparmiare niente; partite IVA, precari, operai in nero, immigrati, laureati scontenti, i soldi che non bastano, la speranza di un lavoro migliore (ma quando, ma come si trova? chi bisogna conoscere?)…Tutti i pensieri del treno, di ogni treno dei pendolari.
Lo schianto. Lo stupore, l’insensato.
Vite appese a un bullone, a un giunto, a venti centimetri di binario, forse.

È stata trovata una zeppa di legno usata come riparazione provvisoria di un tratto di binario, proprio nel punto in cui il treno ha iniziato a deragliare, lì dove quotidianamente passano centinaia di treni ogni giorno (dai primi dati tecnici diffusi, cinquecento). Una mole enorme di sollecitazioni meccaniche. Un ferroviere, che resterà anonimo, confidenzialmente mi dichiara che in Trenord si vocifera della saldatura di un pezzo fatta non a regola d’arte e pertanto non in grado di resistere a tante e tali vibrazioni, forse per molti mesi, dopo un veloce rattoppo. Si sarebbe per così dire sganciato fino a esplodere, volando a diversi metri dalla sede delle rotaie. Mi dice anche del sollievo di Trenord, oltre al sincero dispiacere per i “suoi” viaggiatori vittime dell’incidente, per il fatto che non è colpa sua: le infrastrutture dipendono da RFI.
Però, come non chiedersi se il pezzo di binario che non ha tenuto sia davvero la causa dell’incidente, o se piuttosto non sia saltato a causa del treno ormai in fase di deragliamento? È stato diffuso un filmato impressionante in cui si vede il convoglio che passa dalla stazione di Pioltello a tutta velocità, schizzando scintille e addirittura fiamme, provocando il panico tra i viaggiatori sulla banchina. Qualcosa stava succedendo quindi già da prima. E comunque Trenord non ha il diritto/dovere di accertarsi che i suoi mezzi viaggino in condizioni di sicurezza?
È prevedibile che ora si scateni una guerra di perizie delle varie parti, il rimbalzo di responsabilità tra RFI e Trenord sembra già cominciato. Chiaramente l’assunzione di responsabilità, anzi diciamo pure un’ammissione di colpa, nell’ambito di una tragedia così grave ha un potenziale devastante sia sulle carriere dei singoli dirigenti che su una società nel suo complesso, oltre ai pesanti risvolti penali, e le resistenze saranno molto forti, con annessi tentativi reciproci di scaricabarile. Altrettanto forte il rischio che si cerchi di indicare un capro espiatorio, grazie a cui sia possibile chiudere il caso parlando di fatale errore umano, senza entrare troppo nel merito dei criteri di gestione di RFI e di Trenord, di come allocano e investono le loro risorse, sottraendole a opere di ammodernamento e manutenzione di infrastrutture e convogli.

La presenza questa mattina (27 gennaio) di quattro presunti operai di RFI che facevano rilevazioni sul tratto di binario sequestrato dalla magistratura e sigillato (o lo manomettevano?) è un segnale inquietante.
L’inchiesta sarà lunga e molto complessa. Bisogna aspettare.
In questo momento domina su tutto il sentimento del lutto.
La profonda solidarietà che si sviluppa tra persone estranee, che in quanto pendolari quotidianamente condividono disagi anche gravi, è una delle esperienze umane più sorprendenti e intense che possano capitare. Senza averla non solo cercata, ma neanche immaginata.
Il binario, prima ancora del treno, è un luogo di sociabilità per eccellenza.
Nel pendolarismo, persone di ogni estrazione sociale condividono uno spazio sia reale che metaforico, un tempo, un’esperienza, una routine: a dispetto di ogni differenza di status, formazione e mentalità, qui si incontrano e si confrontano. Sul binario (come si suol dire tra pendolari) si fa conoscenza con persone che non appartengono al nostro ambiente, che probabilmente non avremmo mai scelto e cercato di conoscere, di cui forse non saremmo neanche stati in grado di immaginare l’esistenza così diversa dalla nostra e che tuttavia, grazie a questa assiduità quotidiana, rivela avere così tanti punti in comune con la nostra.
Proprio per questo si tratta di un prezioso patrimonio sociale che andrebbe tutelato e valorizzato, che dimostra malgrado tutto una tenuta sociale del paese, quando questa sembra ormai difficilmente tracciabile in altre realtà segnate dalla disgregazione e dalla sfiducia.
Dopo molti anni da pendolare, si è “allenati”, ma non si smette mai di sentirsi profondamente feriti dalla mancanza di rispetto per il tempo di ognuno di noi, ovvero dalla mancanza di rispetto per le vite di ciascuno, espressione che acquisisce con l’incidente di Pioltello una valenza tragicamente letterale.
Vite nelle quali è molto difficile fare programmi e prendere impegni per quel che resta delle 24 che avanzano dal lavoro e dal (poco) sonno – ne derivano molte rinunce – perché un treno in ritardo è molto più probabile di un treno in orario, perché chissà se si potrà prendere quella coincidenza, perchè la regola è l’aleatorietà. Tra le poche incontrovertibili certezze c’è invece il fatto che ogni mese l’abbonamento va pagato in anticipo, stipulando un contratto in cui la nostra controparte non è in grado di rispondere delle proprie inadempienze (ogni tanto ci dà un piccolo bonus mensile come risarcimento).
Il nostro interlocutore in genere è un modulo a cui confidare per iscritto i motivi dell’insoddisfazione: una sorta di atto solipsistico e rituale che ha come destinazione finale qualche faldone, e in un breve giro di tempo finirà, verosimilmente, al macero, insieme ai nostri racconti.
I ritardi, le cancellazioni, la disinformazione, la maleducazione e l’incompetenza di molti addetti (a cui fanno da compensazione la gentilezza e la professionalità, peraltro spesso impotenti, di molti altri), la sporcizia e la puzza di certe vetture, macchie dei sedili sulla cui origine è meglio non interrogarsi, l’inimmaginabile sovraffollamento in ogni stagione (per provare a immaginare: spesso non si riescono a chiudere le porte e per questo il treno fa ritardo), i servizi igienici disgustosi, i freni che si surriscaldano e rendono l’aria irrespirabile, l’impianto di riscaldamento rotto oppure obsoleto con pericolose piastre metalliche incandescenti, l’aria condizionata assente in convogli con i finestrini sigillati quando fuori si toccano i 35/40°, come nell’estate del 2017, i malori conseguenti, la carica batterica altissima… Molte persone rischiano il posto di lavoro o vengono pesantemente mobbizzate a causa di ritardi anche minimi: per tutti è la norma calcolare di uscire con almeno un’ora di anticipo per cercare di farcela comunque. Il treno deragliato alle porte di Milano, stracarico di gente, era partito da Cremona alle 5.30.
Eppure, malgrado il fatto che nella sola Lombardia i pendolari siano stimati intorno ai 700.000 e nonostante la mobilitazione di numerosi comitati attivi da anni, restiamo pressochè invisibili per la politica (e i sindacati).
Resta la speranza che il disastro di Pioltello possa essere il punto di partenza per un vero dibattito su mobilità, lavoro, qualità della vita, che porti finalmente a una svolta.
Ilaria M.P. Barzaghi, storica e giornalista culturale. Laureata in Lettere moderne come storica dell’arte contemporanea, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano. Si occupa specialmente di Ottocento e Novecento. Studiosa degli aspetti simbolici dei fenomeni sociali, culturali e politici, della rappresentazione della modernità, di iconografia e Visual Culture, nel suo lavoro privilegia un approccio interdisciplinare che fonde storia dell’arte e storia culturale.
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