Il Midwest ha sempre avuto nell’immaginario musicale quel fascino da vera America, con le sue distese prive di punti di riferimento o di interesse e una proposta musicale ancorata alla tradizione rock anche nelle sue declinazioni più ruvide, dal post-hardcore al post-rock. Anche i Whitney guardano indietro e al cuore della musica a stelle e strisce, pur nascendo da un insieme di musicisti che si sono distinti in questo nuovo secolo in band per certi aspetti anomale ed eccentriche, ma mai distanti dall’eredità dei grandi maestri della musica statunitense.
I Whitney sono di fatto una superband formata da Max Kakacek dei dissolti Smith Westerns (band garage pop che vi abbiamo fatto conoscere in uno dei primissimi articoli di Prima Fermata, Brooklyn), Julien Ehrlich, ex batterista della psych-rock band di Portland degli Unknown Mortal Orchestra, a cui si sono affiancati Ziyad Astar dei Touching Voids (ma ex collaboratore sempre degli Smith Westerns), John Rado dei californiani Foxygen, scioltisi la scorsa estate dopo una serie di show memorabili e Will Miller, trombettiere turnista e collaboratore in molteplici band di ogni genere e provenienza. L’idea nasce dai primi due che si incontrano per la prima volta nel lontano 2011, in quel di Chicago dove, tra amicizie ed esperienze comuni, iniziano a pensare a un progetto di folk-rock più tradizionale che si discosti dalle proposte musicali più ibride e contaminate delle due band per cui suonano.
Lo scioglimento prematuro degli Smith Westerns accelera il processo di formazione dei Whitney. Inizialmente i due registrano i primi demo in un incasinatissimo appartamento di Chicago, poi decidono di spostarsi per un periodo in periferia per mettere a fuoco spunti e ispirazioni comuni. Vanno a finire in assoluta solitudine in una sorta di capanna in mezzo al nulla in una località del Wisconsin a malapena presente sulle mappe. Qui all’inizio del 2015 prende piede l’idea del duo allargato, cui danno il nome di Whitney.
Nessun riferimento culturale particolare rispetto al nome: Max lo fa risalire al cognome di un vecchio amore adolescenziale, Julien ha sempre dato risposte evasive, ma il nome suona bene e dà un respiro molto tradizionale e americano a questo progetto che fa del revival la sua quintessenza. Tra i punti di riferimento più immediati emergono in primis il vate Neil Young, ma non si può che percepire quelle atmosfere tipiche della band più rappresentativa del cantautorato contemporaneo dello Stato, i Wilco, per non parlare dei Lambchop, storica formazione dell’alternative country dei nostri tempi o gli stessi Woods, principali esponenti del revival folk psichedelico dei bei tempi andati.
Tra apparizioni a sorpresa alla CMJ Marathon di New York e ad altri eventi speciali, Julian e Max hanno continuato a registrare insaziabilmente nuove tracce, mentre è stata ufficializzata l’uscita del disco d’esordio Light Upon The Lake, prevista per il 3 giugno per la prestigiosa indie label Secretly Canadian.
I primi estratti ufficiali offrono un saggio della loro classe, tra arrangiamenti eleganti, fiati, sprazzi di chamber pop armonie impeccabili e il falsetto di Julien a rendere i motivi subito accattivanti e coinvolgenti. I Whitney viaggiano tra le praterie folk rock senza alcun timore di sembrare retrò e anacronistici. No Woman potrebbe essere stata scritta da Bon Iver, No Matter Where We Go il loro manifesto d’intenti. L’ultimo video che accompagna Golden Days, pubblicato il 23 marzo, è un viaggio nel tempo che proietta la band verso la nomina di “vecchia nuova band” più intrigante del 2016.