Potevano sembrare frasi eccentriche, tragicamente inopportune nel contesto sanguinoso che stiamo vivendo, e inusuali dato il ruolo. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è risposta a chi «organizza parate gay». Gli ucraini sono responsabili di «genocidio» nei confronti del Donbass, difensore della tradizione ortodossa contro il peccato.

Ma poi lui, Kirill, primate della Chiesa ortodossa – alleata del governo russo –, di fronte allo stupore, ha rincarato la dose. Riferimenti religiosi, valutazioni moralistiche, analisi geopolitiche, passaggi sempre più arditi. Il senso finale della manovra propagandistica è il rovesciamento della realtà. Il sovvertimento del senso comune.
Nella confusione tra trono e altare, si avverte il tentativo di ridisegnare la geografia della violenza secondo le linee dell’appartenenza religiosa e delle regole morali. Lo sforzo è quello di militarizzare le coscienze, a giustificazione della brutalità dell’azione russa e delle manovre espansioniste di Putin. Ciò che sta accadendo nel mondo «non ha solo un significato politico, ma addirittura metafisico». Quale?
La posta in gioco è lo scontro tra l’Occidente e i valori incarnati da Mosca. Non importa il prezzo che pagherà lo stesso popolo russo. Il primo è il mondo del consumo licenzioso e lascivo, che mira a diffondere il peccato come «variante normale del comportamento umano». La seconda, la Russia, è garante della correttezza dei costumi e del rispetto della tradizione. Perciò è attaccata dalle forze del male e della perdizione, cioè dalla Nato e dai paesi occidentali. Nemmeno Putin, nelle sue allucinazioni, si è spinto così lontano.
Cos’è accaduto in Ucraina? Il Donbass è protagonista di un’eroica resistenza al peccato, repressa (dagli ucraini) nel sangue. Lo «scoppio delle ostilità» è arrivato dopo che «per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere il territorio, perché lì c’è il «rifiuto fondamentale dei cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale». Altro che sogno di restaurazione dell’impero sovietico. È difesa di chi voleva parlare russo e salvare le tradizioni.
Era in corso persino il disegno di «rieducare» ucraini e russi-ucraini, in una strategia su larga scala dell’Occidente per «indebolire la Russia» nel mondo. «Alla Russia negli anni ’90 era stato promesso che la sua sicurezza e dignità sarebbero state rispettate». Col passare del tempo, le forze nemiche «si avvicinarono ai suoi confini».

Gli Stati membri della Nato hanno rafforzato la presenza militare, «ignorando le preoccupazioni della Russia che queste armi un giorno potessero essere usate contro di essa». E si arriva così all’oggi. Secondo il Patriarca Kirill, le forze politiche hanno lavorato per «rendere nemici popoli fraterni – russi e ucraini – e non hanno risparmiato sforzi, né fondi, per inondare l’Ucraina di armi e istruttori di guerra». Per far diventare l’Ucraina nemica della Russia.
Si chiude il cerchio: l’aggressione è risposta al dilagare della corruzione, all’attacco alla tradizione ortodossa e alla sicurezza della Russia, garante di una realtà esistente solo nella mente di Kirill. Le proteste contro la guerra da tutto il mondo, ingiustificate.
La singolarità delle posizioni filo Putin del primate risalta in modo scandaloso, per rimanere nel campo cristiano, a confronto con le parole chiarissime di Papa Francesco: «Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria», ha detto Bergoglio, «in quel Paese scorrono fiumi di sangue e di lacrime». Mai Kirill ha osato pronunciare la parola guerra, del resto vietata da Putin, né si è mai espresso in questi termini drammatici.
L’importanza del sostegno alla propaganda “patriottica” di Putin non è legata soltanto all’influenza della Chiesa ortodossa nel mondo russo, o alla presenza di tanti cristiani. Deriva dalla trasformazione della posizione della Chiesa, passata da soggetto perseguitato, ai tempi di Stalin e dell’Unione sovietica, a istituzione di primo piano nella vita statale: partecipe della politica aggressiva del governo russo.

La Chiesa ortodossa russa è tragicamente parte del sistema repressivo di Putin, appiattita su posizioni regressive, in opposizione al mondo cattolico. Il cambiamento radicale è avvenuto sotto la guida di Kirill, dal 2009 primate di Russia, nel solco della volontà del predecessore Alessio II, che puntava a potenziare la «cooperazione della Chiesa con la Stato e la società civile, anche nel campo del miglioramento delle leggi». Così Kirill ha ottenuto l’introduzione del riferimento a Dio nella Costituzione del 2020.
Nel testo vigente, noto per l’eliminazione del doppio mandato che consente a Putin di governare sino al 2036, il sistema valoriale dello Stato è specificato con la triade «Dio, patria, famiglia»; è attribuita alla Chiesa ortodossa una posizione di privilegio, reintroducendo il legame bizantino tra Chiesa e Impero.
La trama del sistema di potere di Putin è forte quanto articolata. Oltre alla finanza, alle forze armate e ai servizi di sicurezza, il gerarca si avvale dell’influenza del potere religioso al quale ha conferito una posizione di spicco in molti settori della vita sociale. Ma è un contratto a prestazioni corrispettive, tipico del giurisdizionalismo.
In cambio, la Chiesa ortodossa garantisce la legittimazione della sovranità dello Stato e partecipa alla reinterpretazione della memoria storica, propria della politica di Putin. A partire dalla riabilitazione degli zar, sino alla presentazione delle rivoluzioni del 1917 come «tragedia nazionale russa» per la fine ingloriosa dell’Unione sovietica e la dissoluzione di quel mondo influente.
Nel 2012 la reintroduzione dell’insegnamento religioso nelle scuole è barattata con l’assorbimento della religione nella nozione di «cultura ortodossa». I fondamenti della materia – funzionali alla nuova epica putiniana – sono i simboli della madrepatria e la memoria storica, la centralità della tradizione religiosa ortodossa e il patriottismo nostalgico del passato sovietico.
Si vede un uso disinvolto della fede come instrumentum regni, criterio di identificazione della “nazione”, e principio che alimenta la politica zarista del dittatore. La giustificazione dell’aggressione armata come lotta contro la corruzione morale occidentale, a sua volta identificata con le più svariate “diversità”, persino sessuali, è la spia del modello imperiale al quale si uniforma l’apparato statale russo sotto Putin.

In questi giorni di guerra e di dolore, che scuotono le coscienze, la rivendicazione di bandiere ideologiche – lotta alla corruzione morale, purezza rispetto alla rilassatezza dei costumi – mostra lo strazio ulteriore del tempo. Davanti alla follia vendicativa del dittatore, la vita e la morte non valgono più nulla, non hanno significato, non meritano di essere citate nemmeno da chi si rifà a parole cristiane.
La storia manifesta a volte una dimensione ancora più conflittuale e stordente. Questa guerra è cieca come l’ideologia restauratrice che l’ispira. L’idea da cui tutto muove è paranoica e ossessiva, malignamente narcisistica, percepisce nemici ovunque, usa il pugno di ferro con gli oppositori, ha paura di ciò che non comprende.
Soprattutto, mostra l’intollerabilità del confronto con la democrazia, pena la perdita di senso. C’è una visione distorta che agisce come lente deformante nel sistema di potere russo sempre più arroccato in sé stesso. Di più, quella logica arcaica provoca cecità e indifferenza davanti al martirio di un popolo. «Dio è solo Dio della pace, non è Dio della guerra, e chi appoggia la violenza ne profana il nome», ha ammonito Papa Francesco.