La cosiddetta opinione pubblica, frastornata da massicce contraddittorie informazioni, e “distratta” da quotidiani problemi del pratico vivere, la si può capire. Non così chi si a capo di uno Stato si assume l’onere e l’onore di “governare” gli eventi; e neppure chi cerca di analizzarli, studiarli, unire in una possibile trama i vari punti che man mano si dipanano. Tutti “loro” quantomeno hanno un “dovere” di serbare memoria, e di tirare le giuste somme. Non è consentito “loro” dimenticare avvenimenti che sono solo di qualche mese fa.

E’ di inizio anno fa l’intervento russo in Kazakistan. C’è bisogno già di rinfrescare la memoria? Il dittatore di Mosca è lo stesso Vladimir Putin che oggi ha scatenato l’inferno in Ucraina. Anche in Kazakistan opera con il pugno di ferro: arrivano le teste di cuoio. Nessuno sa calcolare esattamente il numero delle vittime, di certo sono centinaia, migliaia le persone arrestate di cui si è persa ogni traccia. L’ordine è perentorio, l’obiettivo è riprendere il controllo totale su quella regione chiave, ricca di gas e di uranio. Il presidente fantoccio Kassym Jomart Tokayev sigilla il Kazakistan: niente più voli, niente più internet, frontiere chiuse, sospesa la Borsa, lunghe file al Bancomat… Un film che vediamo anche in queste ore, vero? Atterrano i Tupolev, sbarcano gli “spetsnaz” mandati da Putin. Anche lì: “missione di pace”, “operazione antiterrorismo”. Non si parla di nazisti, che in Kazakistan farebbe un po’ ridere; al loro posto “i terroristi islamici”.

Tra i non molti che avvertono la gravità di quello che accade, un generale, comandante della NATO all’epoca dell’intervento in Kosovo (anche quella, come in Cecenia, una guerra “alle porte di casa”, nel “cuore dell’Europa”). Si chiama Wesley Clark. Gli chiedono cosa sono andati a fare i russi. “Il signor Putin”, risponde il generale, “vuole essere sicuro di conservare il controllo del Kazakistan. L’ambizione della sua vita è ristabilire il predominio sull’Eurasia che aveva l’Unione Sovietica. Finora non è stata capace di farlo, ma sfrutta ogni occasione per provarci. Perciò ha assalito l’Ucraina, allo scopo di ricostruire la sfera d’influenza di Mosca nell’Europa orientale. Ora ci sono problemi in Kazakistan, e naturalmente ha reagito con forza e rapidità per tenere in piedi il regime amico e riaffermare il controllo sui territori dell’ex impero sovietico nell`Asia centrale”.
Dichiarazione precisa, affilata, del 7 gennaio scorso. Una previsione: “Sarà un’azione militare molto violenta, condotta insieme da forze speciali e non convenzionali, per eliminare la gente che sta dietro alle proteste in Kazakistan… l’interesse di Putin è che il regime resti in piedi, ma come un pupazzo di Mosca. Perché la caduta di Tokayev sarebbe un segnale molto negativo non solo per le ambizioni imperiali di Putin, ma anche per la sua stessa presa sulla Russia”. Non manca un pensiero per quello che già si prepara in Ucraina: “L’obiettivo è andare oltre Kiev, per colpire gli Usa e la loro leadership nella Nato”.

La repressione in Kazakistan almeno alle orecchie delle cancellerie doveva suonare a monito, e in particolare per tutti gli altri quattordici Stati ex sovietici, inclusi i tre Baltici entrati nell’Unione Europea. Lo zelante pupazzo al servizio di Mosca, il dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko si presta, volenteroso, a ventriloquo: “Il Kazakistan non si poteva dare via, regalare alla Nato, come l’Ucraina”. Non meno chiaro il sogno-programma di Putin: ricostruire un nuovo impero, il ritorno dell’URSS.

In queste ore si assiste a imponenti manifestazioni in Occidente “per la pace”; parola d’ordine nobile quanto sterile. A Mosca e nelle altre città russe, con maggior senso di concretezza, sfidando arresti, violenze, pesanti condanne, si manifesta “contro la guerra”. Non è differenza di poco conto. Proprio difficile dirlo, qui in Occidente: “Putin idi domoy”; eppure un tempo, lo si urlava: “Yankee, go home.
Invece di pigolare su presunte responsabilità degli USA, della NATO, dell’Occidente, si dovrebbe rilanciare: dire a Mosca che deve ritirare le sue truppe dalla Georgia, dal Donbass, restituire la Crimea all’Ucraina; che la decisione se aderire o no all’Unione Europea e/o alla NATO spetta solo agli ucraini; e successivamente all’Unione Europea e alla NATO, se sia il tempo di accogliere o no la loro richiesta. Non va lasciata a Mosca la decisione sul destino di un paese e di un popolo la cui “colpa” è quella di voler vivere in democrazia e libertà.
