È possibile lasciarsi alle spalle due anni di pandemia? Trovare modi per risollevarsi? In questi mesi ci sono nel Paese segnali che fanno ben sperare. La crescita del 6% del PIL è un risultato superiore alle più favorevoli aspettative, anche se in parte dovuto al “rimbalzo” dopo il crollo. L’Italia potrebbe giocare il ruolo di locomotiva dell’Europa, si è detto, dopo anni ad arrancare.
Il dato è sottolineato con una certa enfasi, che maschera un fondo persistente d’ansia. Esiste un’aspirazione collettiva di risalita se non proprio di ricostruzione. Una speranza abbastanza concreta sulla quale convergono molte volontà, che certamente avrebbe bisogno d’essere integrata da un forte progetto, per sfruttare le risorse del PNRR.
Però il secondo anno di Covid porta con sé, con la variante Omicron, una nuova emergenza sanitaria, anche se meno drammatica delle precedenti. La normalità tanto cercata potrebbe rimanere un miraggio, se non fossero consolidati i risultati delle vaccinazioni. Il timore più grande non deriva tanto dalla pericolosità della nuova ondata epidemia, quanto dalle persistenti resistenze sociali contro i vaccini.
Il negazionismo ha fatto breccia tra la gente comune e da tempo anche nel mondo politico ed intellettuale, accomunando settori della destra e della sinistra, gli estremismi si toccano. Potremmo rimanere prigionieri delle nostre fragilità se non si riuscisse ad erodere quello zoccolo duro di no vax – no green pass – no a tutto, che, con testarda ostinazione, contrasta l’applicazione delle misure mettendo in pericolo la salute di tutti.

Quanti sono poi costoro? Lo sappiamo con precisione dal 55° rapporto 2021 del Censis sulla situazione sociale del Paese. La percentuale di italiani che non crede al Covid è del 5,9%, mentre per il 10,9% il vaccino è inutile. Non è l’unico dato allarmante evidenziato dal report. Una percentuale (5,8%), analoga a quella di chi non crede al Covid, è convinta che la terra sia piatta. Nel rapporto sono elencate altre amenità: il 10% ritiene che l’uomo non sia mai andato sulla luna, mentre il 19,9% sostiene che il 5G sia uno strumento per il controllo dell’umanità da parte di poteri forti.
Cosa sta succedendo? La società è mutata a tal punto? Sono impressionanti il numero e l’ampiezza delle convinzioni infondate che riescono lo stesso a diffondersi. Il calcolo dei no vax (quale che ne sia la motivazione) è quello che ora interessa di più per le conseguenze, ma non è l’unica tesi strampalata, solo una delle tante sostenute da una certa fetta di popolazione. Magari saranno sempre le stesse persone e si tratta di una minoranza.
Per fortuna il mondo in maggioranza è fatto di soggetti ragionevoli, che hanno fiducia nella scienza. Comunque, c’è una componente non irrilevante sul piano numerico, ostinata e rumorosa, che è impregnata di convinzioni insensate su tanti fatti ed avvenimenti riguardanti l’esistenza. È come se, per costoro, il mondo fosse una bolla a sé stante in contrasto con i dati di realtà e l’evidenza, una realtà altra.
Qual è il possibile denominatore comune? Il Censis non esita a individuarlo: «l’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta». Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. «È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà». Se vale a consolarci, l’atteggiamento negazionista è altrettanto diffuso negli altri paesi colpiti dalla pandemia. Lo condividono in troppi ed è sponsorizzato ad alto livello da politici come Trump, Bolsonaro, a giorni alterni Johnson; un po’ come in Italia, dove certe destre strizzano l’occhio a critici, scettici, dubbiosi, persino violenti.

Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista “Nature” (Psychological characteristics associated with Covid-19 vaccine hesitancy and resistance) ha evidenziato che nel 2020, in Irlanda e nel Regno unito, i no vax erano il 6%, mentre il 25% si diceva dubbioso o esitante. Il mondo, sul piano sanitario, è sempre stato vulnerabile alle pandemie, come è stato dimostrato da Hiv, Aviaria, Sars, Ebola, e così via, ed ha imparato ad attrezzarsi. Reagisce con i rimedi della scienza, e il buon senso. Nello stesso tempo, le cronache hanno sempre registrato, insieme allo sforzo di contrastare il contagio, anche la diffusione di atteggiamenti irrazionali, di credenze sbagliate, di tesi immotivate.
Comportamenti questi che hanno il loro modello universale nella figura letteraria di don Ferrante, descritta da Alessandro Manzoni: «al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de’ più risoluti a negarla» e siccome dimostrò che il contagio non era «né sostanza né accidente», concluse che la peste non esisteva, ma il ragionamento, così fine e inconfutabile, sicuramente «concatenato», non gli evitò la morte appunto a causa della peste.
I vaccini hanno sempre avuto una storia parallela, quella dei movimenti no vax. Solo l’imbarazzo della scelta per indicarli. È accaduto nel 2003 in Nigeria con l’antipolio (rendeva sterili), nel 2011 in Pakistan e Afghanistan per l’antiepatite B (un complotto della Cia), nel 1996 nel Regno unito con l’antimorbillo (provocava l’autismo) e, via via, risalendo al 1867 sempre in Inghilterra con l’antivaiolo (decessi tenuti nascosti alla popolazione). L’irrazionalità, denunciata dal Censis, non è dunque un fenomeno di oggi, piuttosto atteggiamento con radici profonde, che riaffiora all’occorrenza.
L’universo no vax – la punta di diamante del negazionismo moderno – è vario e non omologabile, non c’è una sola anima. Ogni analisi porta a distinguere categorie diverse di persone, ci sono molti dubbiosi ed incerti, per i quali paure e esitazioni possono essere diradate da un’efficace informazione (nonostante il parlare che si è fatto), ma poi esistono sempre gli irriducibili, quelli ai quali non serve alcuna informazione. Costoro non hanno bisogno di mettere le loro convinzioni alla prova dei fatti, perché sono già convinti di possedere la verità.

Il rifiuto del discorso razionale, ovvero degli strumenti con cui tradizionalmente l’uomo ha cercato di superare le disavventure, secondo il Censis, è frutto di una parabola lunga che va dal rancore individuale al sovranismo psichico, per cui «la fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte». Conoscere le caratteristiche di questa categoria è essenziale per le politiche sanitarie, se si voglia contrastare a fondo il virus e impostare condotte capaci di implementare le campagne di vaccinazione. Ma serve anche a capire l’origine del rifiuto drastico della realtà.
La rivista Nature ha classificato le diverse tipologie di risposte al virus in base ai tratti di personalità degli intervistati. I negazionisti, quelli che temono un attacco alle libertà e una dittatura sanitaria, sono «diffidenti e sospettosi verso il mondo» (i medici, gli scienziati, il potere in generale), vedono «cospirazioni internazionali da cui difendersi», e ovviamente non si informano su giornali e media tradizionali, al servizio dei poteri occulti, ma con internet e i social, sono alla ricerca di notizie etichettabili come verità perché alternative a quelle ufficiali.
I favorevoli al vaccino, la maggioranza, sono «persone ben disposte verso gli altri», decidono di vaccinarsi per proteggere sé stessi ma anche come «atto di responsabilità sociale», riconoscono l’autorità del governo e la competenza di medici e scienziati, sono disposti a discutere opinioni diverse, utilizzano le informazioni di giornali e televisione, tengono conto dei dati scientifici. La cifra elementare che alberga in queste distinzioni è un atteggiamento relazionale, il modo di concepire sé in rapporto agli altri e all’interno del consesso sociale, la lente personale assolutamente originale con la quale vediamo il mondo esterno e ci regoliamo.
La pandemia e le vaccinazioni hanno semplicemente catalizzato, come acutamente osservato dal neuropsichiatra Massimo Ammaniti, «le profonde differenze caratteriali delle popolazioni» che si basano non solo su convinzioni razionali esplicite ma su «motivazioni profonde di cui non sempre si è consapevoli», che dipendono dall’infanzia e dall’evoluzione del soggetto. Verrebbe da aggiungere dalla scuola, dall’educazione, dalla formazione personale secondo i criteri del pensiero critico. I negazionisti, alla fine, non amano il presente, anzi ne diffidano, sono a disagio nella loro epoca. Cercano un supporto altrove, in un pensiero che è sciamanico e salvifico, rifiutano la più difficile delle prove, l’unica possibile, quella della realtà.

La paura per la libertà, minacciata dai poteri occulti, è il frutto di un timore esistenziale più grande ancora, la perdita del potere di controllo sulla realtà circostante, quando è oscura, misteriosa, pericolosa. Come in conseguenza di una pandemia. Lo smarrimento è così accentuato da non vedere che, nella precarietà che ci caratterizza, è risolutivo l’affidamento ragionato agli altri, in questo caso ad un altro sapere, a noi ignoto, e comunque vitale.
Soltanto anarchica e narcisistica, persino paranoica, può essere la spinta che rigetta il senso di ogni limite. Alla radice di certe negazioni troviamo il sospetto irriducibile nei confronti di ogni forma di rappresentanza e delega, percepita come causa odiosa di imposizioni e limitazioni, cioè di oppressione liberticida, ma è un fanatismo antipolitico, prima che antiscientifico, infantile e alienante.