Se sul fronte economico Roma e Parigi si sono strette contro lo spettro della austerity tedesca, sul fronte esterno, con il Trattato del Quirinale i due paesi siglano più che l’esistenza di un “destino comune” (p. 13 del Trattato), certamente la chiara presenza di un “nemico” comune alle porte: la Turchia.
La necessità geopolitica del Trattato firmato oggi a Roma si manifesta plasticamente attraverso il protagonismo della potenza anatolica, attore in netta ascesa in quella terra di tutti e di nessuno che è oggi il puzzle libico. Checché se ne dica della Campagna giolittiana nella nostra ex Quarta Sponda ai primi del ‘900, il controllo della Libia resta imperitura declinazione tattica dell’imperativo strategico italiano di aumentare profondità difensiva aldilà del fu Mare Nostrum. Ormai immemori di quel riscoperto imperialismo e rinnovato senso di identità e orgoglio nazionale che il 29 settembre 1911 condusse “la Grande Proletaria” di Pascoli a dichiarare guerra all’Impero Ottomano – accontentiamoci di un passo indietro di soli 10 anni. A quel 20 ottobre 2011, quando l’Italia senza valida alternativa se non quella di vedere bombardate le proprie base ENI, rinnegò la difesa offerta fino a quel momento al suo protetto Gheddafi, allineandosi all’iniziativa francese che ne voleva la testa al fine di proteggere i propri interessi strategici ed energetici.
Una scelta definita da alcuni suicida, anche perché da quel momento il nostro Paese sembra aver abdicato a far sentire la propria voce su quella che è per noi la questione estera per eccellenza. Al punto che dal 2019 Turchia, Russia, ed Egitto (con annessi sponsor emiratini e altri arabi del Golfo) si sono imposti con le armi spartendosi quel che resta dello spazio libico. Con l’Italia costretta a prendere atto del fatto compiuto, e a subire il radicarsi alle porte di casa della bellicosa Turchia.

Il Trattato del Quirinale si inserisce qui. Cioè a Tripoli, dove il caos aumentato sia dalla sonnolenza nostrana, sia dal disinteresse americano, ha permesso a medie e grandi potenze, in particolare Turchia e Russia, di stabilirvisi. Ma anche a Misurata, dove la nostra missione “Ippocrate” (100 uomini e un ospedale da campo) rischia di essere sedata, e i nostri militari di essere cacciati via dai tripolini proprio su mandato turco. Nello specifico, non potendo allearci alla Russia in Cirenaica per rischio di rappresaglia americana, non potendo allearci alla Turchia per evitare di dar man forte alle brame velleitarie di Erdogan sugli antichi feudi dell’Impero Ottomano, volgiamo lo sguardo all’Esagono con una piroetta tattica non banale. Con l’accordo firmato oggi, infatti, l’Italia accenna battito cardiaco geopolitico. Che sia per inedito acume strategico, che sia per l’effetto lusinghiero dei nostri cugini d’Oltralpe che ci spostano la sedia per farci sedere al tavolo negoziale, o che sia per avvertito timore dei mari burrascosi e carichi di migranti in arrivo – al lettore la sentenza.
Nel concreto, la Francia, che nei suoi calcoli ha da tempo classificato la Turchia come nemico Numero Uno, ha di riflesso palesato il bisogno di avere il Bel Paese dalla sua, al fine di utilizzarlo come vettore della propria influenza non solo a Nord in funzione anti-tedesca, ma anche sul fronte meridionale del Maghreb. Questo allieta Roma che, non foss’altro che per geografia, condivide con Parigi l’interesse comune di evitare la già avvertita penetrazione turca nel suo estero vicino in grado di pressare da Sud entrambi i paesi. Da qui, le consultazioni preventive prima di ogni appuntamento internazionale, la partecipazione periodica di rappresentanti dell’esecutivo francese ai CdM italiani e viceversa, i previsti vertici intergovernativi annuali, tutti inclusi nel Trattato, rispondono tra le altre cose all’obiettivo ultimo di spezzare il monopolio turco sulla Tripolitania, ridimensionandone l’influenza in Libia e nel resto dell’Africa settentrionale (vedi Tunisia).
Parallelamente per l’Italia possono aprirsi scenari interessanti tali da riqualificare la Libia da portatrice di iettature e crisi umanitarie a terra di opportunità. Con l’accordo e le iniziative di cooperazione rafforzata che ne seguiranno, Roma può cercare cioè di recuperare responsabilità sui propri mari. Non solo. Dato il ritorno nel Mediterraneo di altre potenze europee – non solo francesi, ma anche britannici – lo Stivale può provare a segnalare agli americani l’intenzione e la capacità di intestarsi il controllo di alcune rotte marittime – su tutte quelle dello Stretto di Sicilia. Tentando di smorzare così quel temporaneo beneplacito che gli Stati Uniti paiono aver accordato alla Turchia, oggi assurta agli occhi americani a paladina di contenimento della Russia, tanto in Libia quanto aldilà del Mar Nero. In questo caso sperando, se non di sedersi al tavolo delle trattative a stelle e a strisce, almeno di essere ricevuti.
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