L’Istituto Italiano di Cultura di New York ha dedicato due giorni di lavori ad uno dei temi più urgenti e scottanti del nostro tempo: quello della sostenibilità ambientale che, oltre a rappresentare a livello globale un fattore di crescente importanza nella pianificazione industriale delle imprese e nelle scelte politiche degli stati, negli anni a venire potrebbe decidere la sopravvivenza stessa della nostra specie sul pianeta Terra.
Il convegno, concepito dall’Istituto Italiano di Cultura e organizzato dallo stesso Istituto e da La Voce di New York, con la partnership del Gruppo Esponenti Italiani e dell’ISNAFF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation) si è tenuto il 20 e 21 ottobre offrendo una panoramica interdisciplinare molto ampia sul riallineamento che sta avvenendo tra le imprese e le istituzioni in Italia e in America per inserire la variabile ambientale nelle loro strategie di medio e lungo termine.
L’incontro ha anche posto in rilievo il ruolo dell’Istituto Italiano di Cultura che, sotto la guida del prof. Fabio Finotti, emerge come luogo di produzione attivo del dibattito culturale e di confronto sui temi più attuali del nostro tempo.
A mettere in evidenza il pedigree degli ospiti e il prestigio dell’incontro, ci hanno pensato il Console Generale di New York Fabrizio Di Michele e il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Fabio Finotti durante la serata inaugurale tenutasi mercoledì sera alla sede del Council on Foreign Relations a Manhattan. In questa occasione, gli ospiti hanno fruito di un’anteprima della qualità degli interventi con il discorso di benvenuto di Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations e di Tensie Whelan, docente della Stern Business School della New York University e direttrice del Center for Sustainable Business.
Richard Haas ha introdotto i lavori ribadendo l’importanza delle relazioni tra Italia e Stati Uniti e cogliendo l’occasione per elogiare la leadership di Mario Draghi che ha definito un “peso massimo” del panorama politico europeo in un momento storico in cui l’Europa non possiede molti “pesi massimi”.
Sul problema della sostenibilità tuttavia, alla vigilia della conferenza mondiale sul clima di Glasgow, Haas si è detto pessimista rispetto alla scarsa reattività mostrata finora da governi e imprese nello sforzo di limitare le emissioni dei gas che stanno mutando l’equilibrio climatico planetario. “Non vuole essere una dichiarazione disfattista – ha sostenuto Haas – ma chi non si preoccupa non sta prestando sufficiente attenzione a questa questione”.
Come spesso accade negli USA, di fronte ai vacillamenti politici delle istituzioni governative, anche rispetto all’ambiente è il settore privato che sta prendendo l’iniziativa, rispondendo alle crescenti pressioni economiche provenienti dal mercato e dagli azionisti. Una situazione questa, che comporta sia limiti che opportunità.
E proprio di questo ruolo leader delle imprese in America ha parlato la seconda ospite della serata: la professoressa Tensie Whelan della New York University.
Coerentemente con il suo ruolo di studiosa, la Whelan ha esposto una serie di dati e statistiche che hanno ristabilito un minimo di ottimismo in sala mostrando la correlazione positiva tra profitti e impegno ecologico delle aziende sia in relazione alle risposte di mercato da parte del pubblico che alle rivendicazioni finanziarie di azionisti e investitori.
La seconda giornata dei lavori si è svolta nella sede dell’Istituto Italiano di Cultura a Park Avenue e si è aperta con il saluto dell’Ambasciatrice Italiana a Washington Mariangela Zappia e con un’introduzione del Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Fabio Finotti che ha ringraziato il presidente di VNY Media – La Voce di New York, Giampaolo Pioli prima di dare il via agli interventi.
Il primo intervento specifico sul tema della sostenibilità è stato quello di Alessandro Benetton, presidente dell’omonimo gruppo tessile il quale, in conversazione con Mario Calvo-Platero opinionista del quotidiano La Repubblica e presidente del GEI, ha fatto eco alle dichiarazioni di Tensie Whelan della serata precedente dichiarando che uno degli sforzi principali che le imprese dovranno compiere nel futuro immediato è quello di abbandonare il paradigma del “gioco a somma zero” dove l’impegno per la salvaguardia ecologica è automaticamente associata ai timori di un calo dei profitti.
La tensione tra i dettami economici e l’urgenza della crisi ambientale mette il mondo della finanza al centro del dibattito globale su questi temi. Per questo motivo, sono stati estremamente interessanti gli interventi del secondo gruppo di ospiti che hanno cercato di dare un quadro della situazione attuale dal punto di vista della finanza internazionale, moderati dai girnalisti Stefania Spatti (corrispondete Class/CNBC) e Andrea Fiano (Direttore Global Finance).
Lucia Silva del gruppo Assicurativo Generali, ha enfatizzato il ruolo che l’industria assicurativa svolge nella gestione del rischio e nel finanziamento di tutta una serie di attività imprenditoriali che ormai, sempre più, vengono valutate anche in base alle loro credenziali ecologiche. Un punto enfatizzato e ribadito anche da altri due relatori: Jennifer Flood del gruppo di consulenza finanziaria Investindustrial e Gian Marco Salcioli del Gruppo Intesa Sanpaolo, che ha ricordato ai presenti come il suo istituto finanziario sia stato il primo in Italia ad emettere green bonds, le “obbligazioni verdi” concepite specificamente per finanziarie iniziative ambientali.
Gillian Tett, del quotidiano Financial Times, ha offerto un’anteprima delle dinamiche che, con tutta probabilità verranno alla luce al COP26, la conferenza mondiale organizzata dalle Nazioni Unite a Glasgow alla fine di ottobre, pronunciandosi senza mezzi termini sul “ricatto” che il senatore americano Joe Manchin sta perpetrando sull’agenda ambientale del presidente Biden. Secondo la Tett, l’ostinazione di Manchin nell’ostacolare gli elementi più audaci e innovativi del programma di legge presentato dalla Casa Bianca indurranno gli Stati Uniti a presentarsi a Glasgow con un’agenda “diluita”, molto meno aggressiva in relazione agli sforzi necessari per mitigare le conseguenze a breve e lunga scadenza della crisi ambitale e questo, a sua volta, spingerà la Cina e i paesi in via di sviluppo a ridimensionare al ribasso i propri impegni.
Il ruolo della Cina è tornato alla ribalta durante gli interventi successivi centrati sul ruolo delle città, in particolare in quello del giornalista del quotidiano La Repubblica Federico Rampini.
Rampini, in un panel moderato dal corrispondente della RAI Claudio Pagliara (anche lui anni fa in Cina), ha esordito ricordando il periodo in cui ha lavorato come corrispondente da Pechino e gli intollerabili livelli di inquinamento dell’aria della capitale cinese, poi progressivamente migliorati da alcune iniziative di delocalizzazione industriale realizzate dal governo cinese.
La Cina, secondo Rampini ha declinato la sfida ambientalista in termini di controllo delle tecnologie che in futuro la definiranno e quindi, in termini di confronto egemonico con l’Occidente.
Rampini ha anche ribadito che le città, a dispetto delle difficolta che le affliggono, restano il luogo più razionale per perseguire uno stile di vita ecologicamente sostenibile anche grazie alle soluzioni d’avanguardia ottenute dall’architettura e dall’edilizia moderne in città come Milano e la stessa New York dove un gigante dell’architettura italiana come Renzo Piano da anni si muove sul percorso della sostenibilità.
Maria Perbellini, Dean del New York Institute of Technology, ha confermato il ruolo che le città sono destinate a svolgere nel contenimento delle emissioni inquinanti mettendo in evidenza le ambizioni di metropoli all’avanguardia come Copenaghen che intende neutralizzare il suo impatto ambientale per il 2025.
Se Copenaghen è all’avanguardia sotto il profilo ecologico, c’e ancora molto da lavorare nelle grandi metropoli del Sud Italia come ha messo in evidenza Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno. A Napoli, secondo D’Errico, le normative di circolazione degli autoveicoli stabilite dagli standard europei sulle emissioni inquinanti non solo non vengono rispettate, ma non vengono neanche applicate dalle autorità competenti. Un dettaglio che mostra come, prima ancora di essere tecnologica o economica, il concetto di sostenibilità è anche e soprattutto culturale e sociale.
E di cultura e ruolo degli artisti hanno parlato Emanuele Montibeller (direttore fondatore di Arte Sella) e Marco Paolini (attore, autore e regista), gli ospiti intervenuti nella sessione successiva intitolata “Sustainability and ‘Natural’ Life” e moderata dal direttore de La Voce di New York Stefano Vaccara.
A proposito dell’urgenza di questi problemi e della sua chiara percezione tra tutte le fasce del corpo sociale, Montibeller e Paolini, due esponenti di rilievo del mondo artistico italiano, hanno rivendicato il ruolo dell’arte nel comunicare alla gente i rischi esistenziali associati a questa crisi. Un ruolo che non può essere delegato unicamente alla scienza e alla tecnologia che saranno anche adatte a trovare soluzioni a questi problemi ma non sempre ad innescare quei mutamenti concreti nel nostro stile di vita necessari affinché queste soluzioni attecchiscano e vengano praticate nel quotidiano.
La crisi ambientale non si limita ai danni provocato dall’Effetto Serra e dai mutamenti climatici ma è anche una crisi di iper-produzione di rifiuti.
A questo proposito, in un panel moderato dalla giornalista Maria Teresa Cometto (Corriere della Sera), Davide Bollati, presidente di Davines, azienda leader nel settore cosmetici ha parlato dell’enfasi che, all’interno del suo gruppo riveste la circolarità dei prodotti, vale a dire la totale riciclabilità dei tutti i materiali adoperati nel processo di manifattura.
Stesso discorso alla Gruden, società veneta che fabbrica imballaggi per prodotti per lo più alimentari e che, stando alle parole della presidente, Alessandra Gruden, si sta concentrando sulla trasformazione dei materiali da confezione utilizzando bioplastiche e altri prodotti riciclabili e organici che possono trasformarsi in fertilizzanti dopo l’uso.
L’attenzione al problema della sostenibilità non interessa solo il processo produttivo ma anche la trasformazione delle fonti energetiche che alimentano l’industria come ha fatto notare Federica Minozzi, CEO del gruppo Ceramica IRIS l’impresa che ha recentemente inaugurato la sua prima fabbrica interamente alimentata da idrogeno verde.
La gravità della crisi ambientale e l’attenzione che sta suscitando nel mondo produttivo sta anche creando nuove competenze professionali come The Future Reference, una societa di consulenza che assiste le imprese nello sforzo di re-immaginare le proprie strutture aziendali in chiave ecologica.
Secondo il Managing Director Debriana Berlin, le grandi multinazionali quotate in borsa hanno maggiori risorse per rispondere alla crisi ambientale al contrario delle piccole imprese che costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana e che possono contare invece su una maggiore flessibilità e reattività alle condizioni di mercato.
Nella seconda parte del convegno, il Direttore dell’Istituto di Cultura Fabio Finotti ha chiamato in causa Telmo Pievani, docente di biologia all’Università di Padova che ha messo in evidenza i pericoli legati alla perdita di biodiversità e la necessità di comunicare in maniera efficace i rischi sui quali la scienza tenta da tempo di metterci in guardia. Secondo Pievani, il metodo più efficace consiste nel “mescolare i linguaggi”, vale a dire utilizzare un vocabolario non solo scientifico ma che includa anche le modalità espressive dell’arte, della filosofia e di tutte le altre discipline attraverso le quali si manifesta la comunicazione umana.
Non potevano mancare ad un convegno sulla sostenibilità, gli interventi di rappresentati dell’industria energetica. Marco Alverà, Amministratore Delegato della SNAM, rispondendo alle domande di Mario Calvo-Platero, ha parlato della transizione che il suo gruppo sta compiendo dagli idrocarburi fossili tradizionali all’idrogeno verde. Una transizione che risponde al crescente costo dei primi ($6/MMBtu nel periodo della pandemia all’attuale $90/MMBtu). A questo aumento stratosferico ha corrisposto un’altrettanto drammatica diminuzione del costo dell’idrogeno da $600 del 2001 ai $50 attuali. Un calo reso possibile dalla rapida avanzata di nuove soluzioni tecnologiche degli ultimi anni.
In un panel moderato dai giornalisti Massimo Gaggi (Corriere della Sera) e Marco Valsania (Il Sole 24Ore), Giuliano Busetto, responsabile della Digital Industries del gruppo Siemens, ha sottolineato che la virtualizzazione digitale dei processi produttivi ha generato efficienze che, a loro volta hanno portato ad una drastica riduzione delle emissioni inquinanti.
Gerogios Papadimitriou, Amministratore Delegato dell’ENEL Green Power North America, ha dichiarato che non esiste più quel rapporto inverso tra profitto e sostenibilità e che, in questo senso, la simbiosi tra l’industria e l’innovazione incubata nel mondo accademico è la carta da giocare per il futuro.
Mentre tutti sanno che uno dei settori industriali più inquinanti è quello petrolifero e della generazione energetica, sono probabilmente in pochi a sapere che il secondo segmento ad aver il maggior impatto sull’ambiente è quello della moda che, essendo un settore strategico per l’Italia, è stata al centro degli interventi successivi.
A questo proposito, un intervento importante è stato quello di Renzo Rosso, fondatore del marchio Diesel e attivo anche all’interno di Confindustria.
Rosso, intervistato da Mario Calvo-Platero, ha fatto un mea-culpa sul ruolo negativo che l’industria tessile ha svolto in termini di impatto ambientale menzionando le ingenti risorse idriche necessarie alla coltivazione del cotone e all’uso spesso eccessivo di coloranti e di altri prodotti chimici necessari alla lavorazione dei tessuti.
Fatte queste precisazioni iniziali Rosso ha anche voluto evidenziare i passi avanti che il settore ha compiuto di recente per mitigare il suo impatto ecologico e per responsabilizzare i suoi operatori.
Renzo Rosso è stato anche molto franco sulle perplessità che un processo produttivo responsabile verso l’ambiente suscita ancora all’interno di Confindustria. Un atteggiamento che, in qualche modo fa eco a quello dell’industria americana che, sempre secondo Rosso, è ancora molto indietro rispetto al’Europa come lui stesso ha avuto modo di sperimentare in prima persona con una delle sue società qui negli USA.
In un panel Riprendendo il filo del discorso sulla moda, in vari panel moderati dalle girnaliste Francesca Forcella (Mediaset) e Valeria Robecco (Ansa), Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italia, ha sottolineato che l’Italia produce il 70% dell’abbigliamento di alta qualità cioè di un prodotto che dura nel tempo e si discosta dal modello produttivo dell’usa e getta che va nella direzione opposta a quella della sostenibilità. Per quanto riguarda l’uso eccessivo o non-regolamentato delle sostanze chimiche utilizzate nelle filiere tessili, Capasa ha annunciato la definizione, in coordinamento con i principi dell’Environmental Social Governance delle Nazioni Unite, di linee guida sull’uso di queste sostanze e di un codice numerico associato al prodotto finito per aiutare il consumatore a valutare il livello di sostenibilità dei capi d’abbigliamento.
Uno degli ambiti professionali in cui purtroppo il principio dell’usa-e-getta è inevitabile è quello della sanità. Per mantenere i loro ambienti sterili, un gran numero di ospedali e di strutture sanitarie sono costretti a scartare giornalmente una quantità enorme di maschere, guanti e altro materiale medico. In un panel moderato da Lisa Bodei ((Memorial Sloan Kattering Cancer Center) e in risposta a questo, come messo in evidenza da Monica Fornier del Memorial Sloan Kettering Center di New York, gli ospedali stanno cercando di compensare attuando una politica di riciclaggio molto aggressiva ispirata dagli SDG: gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite.
Il Dottor Riccardo Lattanzi Direttore del Dipartimento di Radiologia della New York University ha rivelato con un pizzico di rimorso che i macchinari radiologici sono quelli che, all’interno delle strutture ospedaliere, assorbono la maggiore quantità di energia elettrica e che anche in questo campo si va diffondendo una certa consapevolezza tra gli operatori che si sta traducendo in considerevoli risparmi energetici ottenuti in modo talvolta semplicissimo come quello di spegnere gli scanners per le tomografie quando non sono in uso.
Mario Strazzabosco, professore di medicina alla Yale University, ha messo in rilievo le idiosincrasie del sistema sanitario americano che, a sua detta, negli ultimi anni ha indotto molte strutture sanitarie a tagliare i costi operativi ignorando tuttavia grosse opportunità, sia in ambito di gestione finanziaria che di esiti terapeutici. Un filone estremamente fertile per rendere il trattamento del paziente più efficace dal punto di vista medico e più efficiente dal punto di vista finanziario è quello del coordinamento terapeutico che resta invece sconfortantemente sotto-finanziato.
L’ultima sessione dei lavori, moderata dai giornalsti, Antonio Di Bella (RAI) e Marco Congiu (Sky TV), è stata riservata alle nuove generazioni cioè a coloro che dovranno vivere sulla propria pelle e gestire al meglio le emergenze ambientali di un futuro prossimo.
Gli interventi di Rachel Payne, Managing Director dell’organizzazione Full Cycle Climate Partners, Laureen Gregorio co-fondatrice di The Lotus Mission, Anushka Bhaskar membro dell’Intersectional Environmentalist Council, Jahnavi Rao, Presidente dell’organizzazione New Voters e l’italiana Silvia Laurino, fondatrice e curatrice della newsletter digitale the sustaining bowl.com hanno avuto tutti un filo conduttore comune caratterizzato da un fondamentale entusiasmo per il tema dell’ambientalismo espresso in un impegno concreto e fattivo ma anche condito da una sana dose di scetticismo nei confronti delle iniziative e delle dichiarazioni d’intento della generazione precedente che ha lasciato loro in eredità un futuro incerto e fitto di rischi.