“L’America è una meritocrazia. Che tu sia uomo o donna, se dimostri di valere e di andare oltre le aspettative, vieni gratificato”.
Arrivata negli Stati Uniti con un visto per capacità straordinarie, Anna Prouse è una donna inarrestabile, con una storia fuori dal comune. Ha dedicato gran parte del suo tempo a migliorare la vita delle persone in uno dei paesi più difficili del mondo. Nei suoi 8 anni in Iraq, ha lavorato prima come delegata per la Croce Rossa Internazionale alla guida di un ospedale da campo nel centro di Baghdad, e in seguito è stata scelta dal Ministero degli Esteri italiano e dal Governo americano per guidare la ricostruzione della provincia di Dhi Qar che ha come capitale Nassirya. Tra CRI e Nassiriya è stata per due anni advisor al Ministero iracheno della sanità a Baghdad. Per il suo grande lavoro, l’allora Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, le conferì l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Anna ha anche ricevuto il “Meritorious Honor Award” dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e l’“Honorary Red Cross Award” per il suo straordinario coraggio durante la Missione 2003-2005 della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa in Iraq. È stata anche giornalista, lavorando come corrispondente estera per La Repubblica, e già autrice di quattro libri, sta ora completando la sua autobiografia, Honorary Man, dal titolo conferitole dagli alti ranghi militari iracheni.

Una donna italiana nel sud sciita dell’Iraq, che per farsi valere ha dovuto dare prove di coraggio che nessun uomo è tenuto ad affrontare. “Dovevo far capire che non avevo paura, ed una volta acquisita la loro fiducia, è stato proprio l’essere donna ad avermi aiutata e salvata”. Anche in un mondo così violento come quello iracheno, Anna è riuscita ad affermarsi.
Il suo più grande punto di forza è la capacità di ascoltare. Ha conquistato la fiducia delle donne in Iraq: “Molti di noi occidentali quando arrivano in quei paesi, pensano di sapere tutto, dicono ‘tu devi toglierti il velo, devi ribellarti’. Ma è follia! Se queste donne si ribellassero, le massacrerebbero di botte. Il segreto sta nel dare l’esempio, ma devono essere loro a lottare in una maniera consona al loro mondo, non al mio. Ho provato ad aiutarle, ma soprattutto loro hanno aiutato me nel capire la loro realtà, ed insieme abbiamo messo in piedi dei programmi. Avevo una squadra di 140 persone, di cui all’inizio quasi solo uomini. Col tempo, ho espresso l’esigenza di avere anche esponenti femminili, e nell’ultimo anno, un ingegnere irachena era diventata la mia vice. Una ragazza in gamba, la migliore”.

Di sfide Anna ne ha dovute superate tante. Conosceva i pericoli, ma aveva deciso di andare in Iraq per fare la differenza. Ne parla anche nel podcast del giornalista Pablo Trincia, “Le guerre di Anna”. È scampata più volte alla morte, ma fatica a raccontarsi. “È un mondo così diverso” ci dice, “quando lo racconto sembro Rambo in trasferta… Ero donna e senza velo, ad eccezione di alcuni eventi in cui non averlo sarebbe stato un segno di mancanza di rispetto. E il rispetto è un’altra chiave che non va dimenticata. Ridevo, scherzavo, non ero sottomessa, ero la classica occidentale. Mentre ero a Baghdad, un iracheno decise di ammazzarmi. Ero in macchina con altre tre persone e quest’uomo svuotò il kalashnikov all’interno del nostro veicolo, a un metro di distanza. Uccise tutti tranne me, il suo bersaglio. Il mio poggiatesta era crivellato di colpi e fu in quel momento che iniziai a credere alla divina provvidenza. Con tre cadaveri e con le portiere aperte, riuscii a scappare guidando per le strade di Baghdad”. In un’altra occasione spararono un razzo nella sua stanza, e in un’altra ancora il governatore di Nassirya ordinò di far esplodere un IED – un ordigno esplosivo improvvisato – al suo passaggio e parte del convoglio saltò in aria.

Anna è una donna che ha saputo credere in se stessa. Non nega di aver avuto paura, ma ha saputo domarla e affrontarla. La sua è una storia di lotta per la sopravvivenza. Ha avuto un tumore al cervello. Le avevano detto che era incurabile, ma non ha gettato la spugna. “Mi dissero che era un miracolo, ma non è del tutto così. Il chirurgo che mi aveva operata mi disse che l’80% del lavoro lo avevo fatto io. Sì, perché avevo voglia di vivere. E questo è qualcosa che non puoi insegnare, o ce l’hai o non ce l’hai”.
Anna è sempre stata disposta a combattere. Ha avuto una madre che ha abusato di lei e l’ha umiliata. “Non vedeva l’ora di farmi sentire inadatta. Da bambina non hai gli strumenti per reagire e per anni mi sono colpevolizzata. Ma questo mi ha aiutata a capire perché anche le donne che vengono abusate da mariti o fidanzati faticano a staccarsi. Ci vuole tempo per capire ed elaborare. Il mio consiglio comunque è quello di non vittimizzarsi e di cercare di volersi bene”.

La pandemia di Covid-19 sembra stia erodendo anche i traguardi sulla parità di genere. Ma per Anna è interessante notare come “molte donne che hanno sempre lavorato, ora si trovano bloccate a casa e stanno scoprendo quanto sia difficile la gestione dei figli”.
“Non c’è ancora un equilibrio sano nel rapporto tra i due sessi” e il moltiplicarsi delle accuse di sexual harassment rischia di comprometterlo ancora di più. “Forse dovremmo imparare a contare su noi stesse senza alterare in senso opposto il rapporto fra uomo e donna”.
“Noi donne non dobbiamo voler sostituire gli uomini. Dobbiamo valorizzarci per quello che siamo, con le nostre forze e le nostre debolezze. Anche le nostre controparti maschili hanno forze e debolezze: non dimentichiamocelo. Soprattutto in Italia dobbiamo imparare ad andare fiere dei nostri tratti caratteristici. Dobbiamo accettarci perché è solo accettandoci che riusciremo ad essere accettate. La società italiana è abituata ad avere uomini nelle posizioni di vertice, anche se le cose stanno cambiando e, come per tutti i cambiamenti, bisogna dare loro il tempo necessario per prendere piede. Siamo abituati ad un modus operandi ‘maschile’, ma è nostro dovere abituare l’Italia ad accettare un modo diverso e alternativo di gestire situazioni: valori che, sommati a quelli già esistenti, possono provvedere a un equilibrio che, soprattutto nel mondo in cui viviamo, è indispensabile“.

“Io ho fatto uso della mia femminilità. In un mondo di militari e musulmani conservatori, non mi sono tagliata i capelli o coperta il capo. Anzi, nel mio giubbotto antiproiettile ho messo dei fiori per accentuare la mia femminilità e rendermi più accessibile. Mi sono comprata delle ballerine d’oro per non utilizzare i combat boots, troppo mascolini e aggressivi se il mio intento era quello di conquistare il cuore e la simpatia della gente”.
Ed è questo il messaggio che Anna vuole mandare per l’8 marzo 2021: “Anche se siete donne potete fare la differenza. Non avete bisogno di scimmiottare gli uomini. Non annullatevi, anzi accentuate la vostra femminilità. E se siete brave e intelligenti verrete accettate”.