Il 6 giugno, Wooster Street, Soho, era deserta. Il primo calore estivo riscaldava l’asfalto mentre il vento soffiava per la strada vuota. Le finestre dei negozi erano ricoperte da pannelli di legno. Le aste, sulle quali sventolavano le bandiere delle boutique, stavano lì, nude. Mancava l’orgia di odori provenienti dalle cucine del quartiere. Non c’erano macchine. Non c’erano persone. Non c’erano suoni.
I ristoranti erano chiusi.

New York non è riconosciuta per caso come la capitale della ristorazione. Secondo Statista, nel 2018 c’erano 27.000 ristoranti in città. Se si volesse mangiare in un ristorante diverso ogni giorno, ci vorrebbero 22,7 anni per provarli tutti. Ristoranti di ogni cucina e per qualsiasi prezzo – dalle fette di pizza da un dollaro alle tre stelle Michelin – c’era sempre un posto che soddisfaceva le tue esigenze, un nuovo ristorante che non avevi provato, o il tuo preferito che ti aspettava.
Il 16 Marzo, il Governatore di New York Andrew Cuomo ha imposto l’immediata chiusura di tutte le attività non essenziali per ridurre la rapida diffusione di COVID-19. Improvvisamente, una parte considerevole dei 320.000 impiegati nel settore della ristorazione si sono ritrovati senza lavoro.
Mentre il virus devasta il pianeta, e un vaccino a mesi o forse anni di distanza, i ristoratori che hanno deciso di rimanere aperti, affrontano l’incertezza di ciò che verrà dopo. Saranno in grado di pagare l’affitto e continuare a pagare i propri dipendenti? Come sarà il business? E, soprattutto, chi sarà ancora disposto a mangiare nei loro ristoranti?
“Quando è arrivato il blocco, il mondo è crollato e le nostre entrate sono diminuite del 90%”, ha commentato Rosario Procino, proprietario di Ribalta Pizza. Insieme al suo socio in affari, lo chef Pasquale Cozzolino, Procino ha deciso di mantenere l’attività aperta come scelta di responsabilità. Ribalta Pizza ha chiuso solo durante la tumultuosa settimana di proteste che hanno seguito la morte di George Floyd (tra le vetrine distrutte durante le proteste, anche la loro).

“Lo abbiamo fatto per il nostro personale che aveva bisogno di lavorare. Ci hanno chiesto di rimanere aperti”, ha detto Procino. Ma la loro decisione mirava anche a mantenere vivo il loro marchio e a non deludere i clienti che erano rimasti in città. Inoltre, i due imprenditori hanno trasformato parte delle loro operazioni per donare cibo ad ospedali e bisognosi.
Ma a differenza di Ribalta Pizza, molti altri ristoranti non hanno trovato la forza di rimanere aperti. I ristoranti indipendenti rappresentano il 70% dei ristoranti americani, e a differenza delle grandi catene, non dispongono di risorse aziendali per affrontare una crisi di questo genere. Secondo un rapporto della Independent Restaurant Coalition, ben l’85% dei ristoranti indipendenti potrebbe non riaprire più. Ciò non significa che le grandi aziende non ne soffriranno; infatti, Le Pain Quotidien, un ristorante con 98 punti vendita a New York, ha presentato istanza di fallimento il mese scorso.
Anche Serafina Restaurant Group, una rete di ristoranti italiana con una dozzina di sedi a New York e altre venti in tutto il mondo sta subendo pesanti conseguenze economiche.
“Sarà difficile, non so quanti rimarranno aperti dopo l’estate”, ha detto Vittorio Assaf, fondatore di Serafina.

Quando si è scatenata la pandemia, il governo ha stanziato $670 miliardi attraverso il Paycheck Protection Program per aiutare temporaneamente i ristoranti in crisi. “Ha aiutato per alcune settimane, ma, nel frattempo, le tasse sono andate avanti e non si sono fermate. Avrebbero dovuto congelare i pagamenti dei mutui, le tasse, le spese assicurative in modo che dopo la pandemia l’economia sarebbe ricominciata da quel punto esatto. Ma ci hanno fatto pagare per tutto “, ha detto Assaf.

Il 20 maggio, Earl Blumaneur (D-Ore.), ha proposto in Congresso The Restaurant Act, che avrebbe fornito altri 120 miliardi di dollari in aiuti ai ristoranti indipendenti.
Assaf ha spiegato che se non arriverà un aiuto sostanziale da parte del governo, riapriranno solo coloro che non hanno debiti e sono abbastanza forti da resistere a questa crisi. Ha detto che forse dovrà prendere la difficile decisione di chiudere qualche ristorante e che forse “rimarranno aperti solo i fast food”.
Uno dei problemi principali per i ristoranti è l’affitto.
“Pago $ 60.000 in affitto al mese, solo per un locale”, ha detto Assaf.

Procino, oltre a gestire Ribalta Pizza, è anche membro del consiglio di Relief Opportunities for All Restaurants (ROAR), un’associazione di ristoratori indipendenti. I ristoratori sono stati lasciati soli a trattare con i proprietari dei locali, che non sempre capiscono la situazione drammatica che ha colpito la ristorazione, e pretendono l’affitto con puntualità. Pertanto, ROAR ha spinto il Consiglio di New York City a congelare la Good Guy Guarantee, una clausola presente nei contratti di affitto che espone i beni personali dei ristoratori nel caso una rata non venga pagata.
“Questo offre al ristorante spazio per la negoziazione con i proprietari. O rinegoziamo l’affitto, o ecco la chiave, chiudo, e il tuo spazio rimarrà vuoto per mesi”, ha detto Procino.
Midtown era spettrale come Soho. Un’area della città che attirava uomini d’affari, turisti e spettacolo, ora sembra morta. Le persone lavorano da casa e potrebbero non tornare negli uffici di New York fino alla fine dell’anno. Non è chiaro quando e come riapriranno i teatri, e nel frattempo in tanti hanno imparato a cucinare a casa. Il calo della domanda porterà a una selezione naturale basata sulla qualità e sul prezzo: “A New York, nei periodi normali, dopo i primi due anni sopravvive solo un ristorante su 10”, ha detto Procino. Questa volta la selezione sarà ancora più dura.

Il futuro non sembra molto luminoso per i ristoranti che riusciranno a sopravvivere fino all’inizio della seconda fase, quando le attività commerciali riprenderanno. Durante la pandemia, i servizi di consegna hanno conquistato il mercato, mentre mangiavano una parte importante dei profitti dei piccoli ristoranti.
Aldo Bozzi, proprietario del ristorante Mezzaluna nell’Upper East Side, aperto da oltre 35 anni, ha detto che le catene di ristoranti, rispetto ai ristoranti indipendenti, hanno più potere contrattuale con le piattaforme di consegna.

“L’online delivery sarà il futuro, ma è un’arma a doppio taglio”, ha detto Bozzi. “Se una piattaforma di consegna prende il 35%, o più, delle tue entrate, perdi denaro ogni volta che vendi qualcosa”.
Per coloro che saranno ancora disposti a sedersi e a consumare un pasto in un ristorante, una volta revocato il blocco, l’esperienza sarà di diversa rispetto a quella alla quale si era abituati in passato. Pannelli in plexiglass dividono i tavoli dei ristoranti di San Francisco che hanno già iniziato a riaprire. Meno persone saranno ammesse all’interno delle sale da pranzo, perché i tavoli saranno posizionati a distanza gli uni dagli altri. I menù saranno disponibili sui cellulari, i contanti non saranno più i benvenuti e i pagamenti avverranno con carta senza toccare niente.
Ma a Procino non piace l’idea del plexiglass tra i tavoli: “Chi vuole andare a mangiare in un locale che sembra una sala operatoria?” ha commentato il proprietario di Ribalta.

I ristoratori contattati per questo articolo erano tutti preoccupati per l’ingrediente principale del loro successo: l’atmosfera. Niente più abbracci o strette di mano con clienti di vecchia data, niente più brindisi al bancone mentre si guarda una partita di calcio, niente più sorrisi di benvenuto – perché il viso sarà coperto da una mascherina – agli appena arrivati.

Francesco Antonucci, proprietario di Antonucci Cafe e ristoratore a New York dal 1983, ha affermato che quando verrà trovato un vaccino le cose troveranno un nuovo equilibrio, un nuova normalità: “Le persone vogliono vivere e divertirsi. Ricordati che viviamo a New York”.
Nonostante la pandemia abbia messo all’improvviso in pericolo ciò che hanno creato con anni di lavoro, i quattro ristoratori italiani condividono un sentimento di speranza, e la volontà di sopravvivere a questi tempi difficili.
“Mi lamentavo ogni giorno del mio lavoro e ora non hai idea di quanto mi manchi”, ha concluso Antonucci.