Caro Stefano,
Ti scrivo, questa volta, sotto forma di lettera: perché non so che reazioni può suscitare la “riflessione” che propongo. Non che dubiti della tua liberalità: tutti gli articoli che ti ho mandato – e ormai sono tanti – li hai pubblicati senza fiatare, al “buio”: mi hai lasciato scrivere quello che volevo, e te ne sono grato; non sono molti i “luoghi” dove si ha una simile libertà. Tuttavia non vorrei impegnare, questa volta, La Voce di New York, inchiodandola a qualcosa che magari non si condivide, o si condivide solo in parte.
La questione è quella di Woody Allen, anche se è evidente che la vicenda travalica il caso specifico.
E’ possibile che disponga di cattive informazioni, oppure semplicemente ho un modo di vedere le cose bislacco. Ma la domanda che pongo (e mi pongo), ridotta all’osso, è questa: di che cosa è esattamente colpevole? Sì, d’accordo: i suoi gusti sessuali, il modo in cui si manifestano, possono essere discutibili, criticabili, ammesso sia giusto discutere e criticare quello che uno combina tra le lenzuola di casa sua, nel suo privato. Ma se la persona (o le persone) con cui condivide questi suoi gusti sono maggiorenni; se sono consapevoli; se sono consenzienti; se non subiscono alcun tipo di violenza fisica o psicologica; se, insomma, per dirla brutalmente: “ci stanno”; allora di cosa è colpevole Woody Allen, e con lui tutti i Woody Allen del mondo?
Non mi pare neppure che sia stato sorpreso, che so, a Central Park in un’ora di punta a fare “scandalo”. Niente. Eppure sembra condannato a una sorta di morte civile: il contratto per suoi futuri film, rescisso; quello già ultimato non distribuito; nessuna grande casa editrice che vuole pubblicare la sua autobiografia…
Figuriamoci se mi sogno di difendere in alcun modo chi pratica la violenza sessuale, in qualsivoglia modo e manifestazione. Un tempo si diceva che la donna non la si tocca neppure con un fiore. Non vanno toccata (e vanno rispettate) le donne; e con loro i minorenni d’ambo i sessi, e chiunque, insomma, “non ci vuole stare”; e vale anche, naturalmente, per tutti coloro che per qualche ragione si trovano in una condizione fisica o mentale che li rende indifesi. I casi di violenza sessuale, stupri, imposizioni sessuali forzose, vanno condannati, e con severità, senza “se”, senza “ma”. Punto.
Ma nel caso di Allen? E’ di fatto, condannato sulla base di accuse che non sono mai state provate.
Comunque, se questa è la nuova regola del politicamente corretto, che sia almeno condivisa; nel senso che non la si applichi al solo Allen. A Hollywood, nel mondo del cinema in generale, e in quello dell’editoria, ce ne sono a bizzeffe, di Woody Allen. Che si fa? Gogna ed emarginazione per tutti? Per i loro discutibili, criticabili comportamenti sessuali (anche quando non ci sono risvolti penali), si compila una black list e li si cancella, loro e le loro opere? Si distruggono i loro film, diamo fuoco ai loro libri?
Giusto un anno fa, il quotidiano francese Le Monde pubblicava un intervento di Catherine Denevue che metteva saggiamente in guardia dagli eccessi e dai possibili abusi del movimento #MeToo. Parlava, la Deneuve, di “caccia alle streghe”; si ribellava alla pubblica gogna a cui veniva sottoposto anche chi si era limitato ad “aver toccato un ginocchio, tentato di strappare un bacio, o aver parlato di cose intime in una cena di lavoro, o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a una donna che non era egualmente attirata sessualmente”.
Il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden si è dovuto difendere dall’accusa di aver abbracciato (in pubblico!), anni prima, una donna. Leggo di Keanu Reeves, che nel mettersi in posa per le foto di rito, ha cura di non poggiare più le mani sui fianchi delle donne, come si fa di solito. Penso che si potrebbero citare decine di altri casi analoghi. Pericolosissima china, quella su cui siamo avviati.
Caro Stefano, torno al caso Allen: ci crediamo o no, nello stato di diritto? Se la risposta è sì, crediamo anche che ognuno sia innocente fino a quando un tribunale legale e legittimo non emette una sentenza di colpevolezza. E’ accaduto, nel caso di Woody Allen? In tutti questi anni sul suo conto sono state effettuate svariate indagini, ma non c’e’ stata alcuna sentenza di condanna. I suoi film possono piacere, li si può trovare divertenti e profondi, oppure brutti, noiosi, ripetitivi: questo appartiene al gusto e alle sensibilità di ciascuno di noi. Ma i processi mediatici, la pubblica gogna, la morte civile? E proprio nel paese di quei “padri fondatori” che si sono abbeverati in una delle glorie della civiltà giuridica, quel “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria?
Al britannico Times le case editrici che hanno rifiutato l’autobiografia di Allen, hanno detto che sarebbe un’operazione editorialmente (leggi: commercialmente) e culturalmente rischiosa. Stessa cosa la distribuzione di “A Rainy Day in New York”, e questo, per l’appunto per la campagna del movimento #MeToo. Caro Stefano, se così è, non mi piace per nulla. Non ci sto.