Emergenza nazionale fu. Donald Trump aveva già paventato più volte l’idea di invocare l’autorità straordinaria che gli permette di bypassare il Congresso, e quando qualche settimana fa aveva sospeso lo shutdown dopo 35 giorni, aveva avvertito che sarebbe ricorso all’extrema ratio se non fosse riuscito, entro metà febbraio, a mettersi d’accordo con i democratici. E siccome l’accordo sul famigerato muro, per l’appunto, non è stato raggiunto, ieri sera il senatore Mitch McConnell, leader della maggioranza, ha fatto sapere che i peggiori incubi di chi pensa con orrore a un Trump investito dei poteri dell’emergenza nazionale sarebbero divenuti presto realtà.
“Combattiamo a migliaia di Km di distanza in guerre in cui non dovremmo nemmeno esserci, e non ci battiamo per mettere in sicurezza i nostri confini”, ha detto Trump nel corso della conferenza stampa in cui ha annunciato l’emergenza. Una conferenza “one man show” in cui il Presidente, come ci ha abituati più volte, è passato dal muro a diversi altri argomenti, rivendicando “l’incredibile accordo commerciale” di cui sono in corso i negoziati con la Cina, gli ottimi rapporti con il presidente Xi Jinping, il prossimo summit in Vietnam con Kim Jong Un, lo “sradicamento” dello Stato Islamico in Siria e, naturalmente, i risultati economici (rigorosamente “tremendous”) della sua amministrazione. Addirittura, si è lasciato sfuggire, per così dire, che il primo ministro giapponese Shinzo Abe lo vorrebbe candidato al Nobel per la Pace per la risoluzione della crisi coreana, ambito nel quale l’ex presidente già Nobel per la Pace Barack Obama – ha puntualizzato Trump – aveva quasi sfiorato la guerra.
Presenti alla conferenza, come era accaduto in occasione del dibattito presso la Border Patrol Station di McAllen, anche alcune madri e mogli di persone uccise da immigrati privi di documenti: alcune di loro, invitate da Trump, hanno mostrato alla folla le foto del loro caro che non c’è più. Sempre a loro ha fatto riferimento il Commander-in-Chief quando il giornalista della CNN Jim Acosta, che Trump aveva già cercato inutilmente di espellere dalla Casa Bianca, ha ricordato che i dati ufficiali non supportano l’emergenza di ingressi illegali e violenze raccontata dal Presidente. Quest’ultimo, per non smentirsi, non si è espresso chiaramente sui numeri, e non ha mancato di definire la domanda una “fake question”.
Durante il suo discorso, l’inquilino della Casa Bianca ha parlato dei 70mila americani uccisi dalle droghe, negando la veridicità dei dati che affermano che la maggior parte delle sostanze stupefacenti che entrano nel Paese passano dai porti di entrata; ha citato la collaborazione con il Messico nella gestione delle caravane, ha affermato che il muro sarà efficace al 99,9%, e ha ricordato che l’emergenza nazionale è stata dichiarata molte altre volte, anche per “questioni meno importanti”, senza mai sollevare tanto clamore. Tra questi precedenti, Trump ha citato Obama, che è ricorso ad essa nella lotta contro i cartelli. I Presidenti che ha nominato, però, non hanno mai usato poteri emergenziali per drenare risorse su progetti che il Congresso non supportava. Capitol Hill, infatti, aveva concesso a Trump 1,4 miliardi, molto al di sotto dei 5,7 rivendicati dal Commander-in-Chief. Per aggirare la difficoltà e per accelerare i tempi (come lui stesso ha confessato esplicitamente), il titolare dell’Ufficio Ovale si è dunque appellato a una legge del 1976, in modo da raggiungere l’agognato totale di 8 miliardi.
Certo, in quel complesso sistema di pesi e contrappesi che è la democrazia americana, la decisione del Presidente non resterà a lungo indisturbata. Perché ora i legislatori che cercheranno di bloccarla hanno davanti due strade: una che passa per il Congresso, l’altra per le corti di giustizia. Trump lo sa, e lo ha pure dichiarato: ma si è detto sicuro che vincerà la battaglia anche nei tribunali. Quanto alla Corte Suprema, ha ricordato che alla fine gli aveva dato ragione anche sul travel ban (nonostante, ha chiosato, molta parte della stampa non lo ricordi). Il punto, in questo caso, sarà dimostrare che quell’emergenza nazionale di cui molti – dati alla mano – contestano l’esistenza in effetti c’è.
Nelle prossime ore, si conoscerà più nel dettaglio la strategia di opposizione dei democratici, ma, secondo quanto afferma il New York Times, probabilmente entrambe le strade verranno imboccate. Dal canto loro, Nancy Pelosi, la speaker della Camera, e il senatore Chuck Schumer hanno sottolineato che il Congresso non può permettere al Presidente di “fare a pezzi la Costituzione”.
Si parta dal presupposto che il Congresso, da solo, non ha i poteri per impedire che un Presidente dichiari una emergenza nazionale. Eppure, i legislatori si sono assicurati che, nonostante la primaria autorità del Commander-in-Chief in materia, restasse dischiusa una via d’uscita. Il National Emergencies Act prevede infatti che Camera e Senato possano firmare una risoluzione condivisa per terminare lo stato di emergenza nel caso in cui ritengano che il Presidente si comporti in modo irresponsabile, o nel caso in cui la minaccia sia estinta. Ma Trump, a sua volta, come per tutte le leggi che passano dalla sua scrivania, può porre un veto alla risoluzione, a meno che questa non sia passata con una supermaggioranza in entrambe le camere.
La chiave della questione, dunque, diventa capire quanto è forte ed ampia l’opposizione alla mossa del Presidente. Secondo il New York Times, almeno 6 repubblicani si sono espressi a sfavore della dichiarazione dello stato di emergenza: troppo pochi, per il momento, per impedire il veto presidenziale. E resta poco probabile che i democratici riescano a convincere abbastanza conservatori a seguirli su questa strada.
Altra opzione è che i democratici costruiscano un fronte bipartisan per promuovere una legge in grado di impedire a Trump di costruire il muro con i fondi stanziati dal Congresso in caso di catastrofi. Un’ulteriore possibilità è che i democratici supportino una causa contro la dichiarazione di emergenza nazionale, sia che quest’ultima venga promossa da un terza parte, sia che se ne facciano loro stessi promotori. In ognuno di questi casi, la lotta politica si preannuncia ancora infuocata.