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Trump, la Costituzione e la protezione dei giornalisti che non sempre la meritano

La CNN denuncia la Casa Bianca per violazione del Primo Emendamento; in Italia i giornalisti contro gli attacchi dal governo: ma senza etica e credibilità, la legge non ci salverà

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Trump, la Costituzione e la protezione dei giornalisti che non sempre la meritano

Jim Acosta tenta di porre una domanda al presidente Trump, mentre una intern cerca di strappargli il microfono (Immagine da youtube)

Time: 5 mins read

Che Donald Trump sia un analfabeta della Costituzione americana lo sapevamo già. Che questo suo strafottente atteggiamento nei confronti della legge suprema prima o poi andasse a cozzare contro il Primo Emendamento, il pilastro portante che tiene su tutto il castello della democrazia USA, ci avremmo potuto scommettere: fin dalla sua campagna presidenziale il candidato Trump aveva dato forti e chiari segnali di insofferenza nei confronti della legge che protegge i giornalisti dalle minacce e intimidazioni dei potenti.

Quando la Casa Bianca ha revocato le credenziali della “press” al giornalista della CNN Jim Acosta, “reo” di non mollare il microfono prima di aver terminato di porre le domande a cui Trump detesta rispondere,  ha calpestato il diritto del reporter ad adempiere al suo dovere di  giornalista, appunto un servizio al pubblico protetto dal Primo Emendamento. Ora, grazie alla denuncia depositata dalla CNN e appoggiata da molti altri media (incluso il canale FOX news, finora il preferito da Trump), si vedrà se negli Stati Uniti la forza della legge regni ancora suprema o se la sbornia trumpista ci sta addirittura portando al preludio del fascismo in terra d’America.

La denuncia depositata dalla CNN contro Trump  e altri membri della sua amministrazione, inclusa la portavoce Sarah Sanders e lo Chief of Staff John Kelly, oltre alla violazione del Primo Emendamento, che protegge la libertà di espressione e della stampa, include quella del Quinto Emendamento, perché ad Acosta l’accredito è stato tolto senza prima garantirgli il diritto al “due process”, la difesa dalle accuse che avrebbero spinto al provvedimento.

La Casa Bianca ha reagito oggi con un comunicato in cui si afferma che il Presidente, nel consentire o meno l’accesso dei giornalisti ai suoi press briefing, avrebbe totale discrezione di decidere quali giornalisti far entrare e quali escludere. Questo sarà pur vero, forse, per quanto riguarda il momento della concessione degli accreditamenti (ovviamente, per le numerose richieste, non possono essere garantiti a tutti), ma una volta concesso l’accredito, soprattutto per quelli “resident correspondent”, come era Acosta, toglierlo così di colpo non è affatto a totale discrezione del Presidente.

Magari Trump si sente già il “Duce” che può disfare a piacimento e cacciare i giornalisti scomodi? Per fortuna è ancora “solo” il 45esimo presidente degli USA e, con i giornalisti accreditati alla Casa Bianca, può solo rispondere o non rispondere alle domande e, come fa spesso, anche inventando frottole. Ma cacciare un giornalista accreditato perché gli ha posto domande scomode, negli Stati Uniti d’America, al Presidente non è permesso, anche se l’analfabeta democratico Trump fa finta di non saperlo.

Vedremo adesso se alla Casa Bianca i consiglieri di Trump riusciranno a far comprendere al loro capo che sarebbe meglio non rischiare di farsi tirare ancora una volta le orecchie dai giudici (già successo con il suo primo ordine esecutivo che cercava di escludere chiaramente i migranti di religione islamica, anche questo un attacco del Primo Emendamento che protegge, oltre che la libertà di espressione, quella di religione).

Intanto, mentre Trump scherza troppo col fuoco della Costituzione rischiando di bruciarsi, in Italia  assistiamo alle polemiche scoppiate per le accuse rivolte ai giornalisti dal vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio e dall’altro giovane leader dei Cinquestelle, Alessandro Di Battista, di essere “sciacalli” e “puttane”. L’attacco era arrivato subito dopo la sentenza di assoluzione del sindaco di Roma Virginia Raggi che, secondo i leader M5S, aveva dovuto subire per mesi attacchi volgari e ingiustificati dalla stampa.

Qui riprendo la reazione che a caldo avevo postato sul mio account di Facebook, e che, dopo le notizie di Trump e la violazione del Primo Emendamento, ci tengo a condividere anche con i lettori de La Voce:

Sulle puttanate di Di Maio e Di Battista, ho questo da dire: io il “sistema” del giornalismo italiano l’ho sempre detestato, scrivendolo e anche criticandolo da una cattedra. Tra colleghi italiani mi sono attirato tante antipatie da quando oltre 25 anni fa decisi di fare il giornalista solo protetto “dal primo emendamento”. Ma attenti a quei due: chi chiama ora una categoria “puttane”, in questo caso per me equivale ai “nemici del popolo” di Trump.Di Maio e Di Battista non vogliono giornalisti indipendenti che sappiano stanarli e sputtanarli quando fanno o dicono cazzate mentre sono al governo, ma pretendono semplicemente che i reporter siano le “loro” puttane e non quelle degli altri. Dove sono le loro dichiarazioni di supporto ad un giornalismo veramente libero e indipendente, messo in grado sempre di azzannare e in modo credibile qualsiasi governo, quindi anche il loro? No, proprio da loro le critiche al giornalismo italiano sono inaccettabili perché sono strumentali. Abbiano il coraggio di proporre e far approvare leggi in cui finalmente l’articolo 21 della costituzione sia veramente fatto rispettare e poi avranno tutto il mio rispetto sulla materia della funzione in democrazia della libertà di stampa. Fino ad allora le puttane (con tutto il rispetto verso le donne costrette o meno dalla necessità ) sono sopratutto loro.

Qui aggiungo però che la giornata di protesta che i giornalisti italiani hanno inscenato lunedì contro l’attacco alla categoria da parte di Di Maio e Di Battista serve a molto poco. Per essere più credibili, i giornalisti italiani che vanno in piazza adesso avrebbero dovuto, tempo fa, facendo anche autocritica, scendere in piazza per protestare contro il sistema più antidemocratico e anti-libertà di stampa dell’Occidente, un sistema mediatico che, purtroppo, gli stessi giornalisti hanno contribuito a costruire. Per questo, la loro protesta di questi giorni scaturita dalle volgari accuse dei Cinquestelle, a chi scrive da New York, fa ridere tanto, ma di tristezza…

La protesta di giornalisti italiani lunedì a Milano (Immagine ripresa da youtube)

Oggi sono Di Maio e Di Battista, ieri erano Renzi e Berlusconi, prima ancora Craxi e Andreotti, quei politici che in Italia hanno avuto e continuano ad avere sempre vita facile nell’andare addosso al giornalismo italiano, sempre pronto a difendere il  “sistema” corporativo e non a far rispettare di fatto l’articolo 21 della Costituzione. Il giornalismo italiano, come indicano anche i ranking delle ONG internazionali che misurano la libertà di stampa nel mondo, da decenni ha accettato senza fiatare un sistema liberticida in cambio di uno pseudo-protezionismo corporativo, di casta. Il sistema, quindi, così come è stato accettato, continua ad essere marcio ma non per sola colpa degli editori “non puri” che pagano i giornalisti per salvaguardare i loro grandi interessi al di fuori della stampa. Perché il giornalismo italiano, con poche eccezioni, ha venduto il valore dell’indipendenza al migliore offerente. Così, l’etica di un mestiere che dovrebbe essere così importante in democrazia, purtroppo, è stata messa in secondo piano nel far crescere generazioni di giornalisti in Italia che hanno imparato più a stare attenti a scegliere la “parrocchia” giusta da servire per poter essere finalmente assunti che il valore dell’indipendenza nei confronti del potere, chiunque lo occupi in quel momento.

Quello che è ancora più triste constatare  – e qui Trump non ha alcuna responsabilità se non quella di essersene avvantaggiato – è che da parecchi anni, ormai, questo sistema di giornalismo “Italian Style”, così militante e sempre al servizio dei potenti della politica e del business invece che della corretta informazione dei cittadini e quindi della democrazia, come la peste ha contagiato anche gli USA, nonostante il Primo Emendamento fosse stato pensato dai “founding fathers” per assicurare alla stampa il giusto scudo per renderli forti e indipendenti per poter restare i guardiani della democrazia contro gli abusi del potere.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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