Il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker è finito in un polverone per le sue dichiarazioni sull’Italia, al margine della conferenza ‘New Pact for Europe’, a Bruxelles. Junker ha detto che “Sono gli italiani che devono prendersi cura delle regioni più povere del loro Paese. Il che significa: più lavoro, meno corruzione, serietà”.
E come dargli torto? La Questione Meridionale non si è mai risolta dall’unificazione a oggi, dopo più di 150 anni. Non è possibile, questa volta, dare la colpa all’Unione Europea. Negli anni della DC il problema era affrontato con il clientelismo (ormai consueta attività della politica) e con la costruzione di “cattedrali nel deserto”. L’espressione fu coniata dal politico Luigi Sturzo che ha trovato una sua definizione esatta anche nel dizionario Treccani: “Grandi e costose imprese industriali (generalmente a carico dello stato) in zone considerate inadatte… con riferimento a impianti industriali dislocati in aree depresse, senza un’adeguata previsione della funzionalità delle infrastrutture esistenti, e perciò sproporzionati, antieconomici, incapaci di dare avvio a un reale processo d’industrializzazione”.
Alcuni esempi? La Maddalena, il luogo dove nel 2009 era in programma il G8, fu ristrutturato a suon di milioni e poi messo da parte per favorire la sinistrata L’Aquila. Oppure la diga di Blufi, a Palermo, progettata nel ’63 ma iniziata nel 1990. Fu voluta dal democristiano agrigentino Salvatore Sciangula, promettendo ai cittadini non solo i classici nuovi posti di lavoro, ma anche gare di canottaggio e windsurf. Costo 260 milioni, ma servono ancora 150 milioni per finirla.

Questi casi eclatanti sono la cuspide di tante zone industriali che, giustamente, vennero previste nelle aree depresse. Ad Avellino, ad esempio, fu creata la Zona Industriale per concentrare le aziende di varia natura in un solo polo. All’inizio funzionava bene: la Fiat faceva i suoi motori, c’era un’azienda che trattava il rame, un’altra il cemento, un’azienda di elettronica ad alta tecnologia, una di componentistica, una cartiera e altro. Per anni ha dato lavoro a molte persone tra operai, ingegneri, specialisti, e ha creato un indotto importante. Passati gli anni, però, il progresso non ha toccato minimamente la Zona. Mentre le aziende nel resto del Paese diventavano più competitive, ad Avellino mancavano le infrastrutture fondamentali. Non c’era un collegamento ferroviario, non c’era un collegamento con il porto di Napoli o Salerno, addirittura la connessione internet era più bassa della media. Risultato? Ai primi cenni della crisi molte aziende hanno chiuso o sono state svendute, con conseguente licenziamento di molte risorse umane e annichilimento dell’indotto.
Stupisce, dunque, la miopia di un governo regionale e statale che invece di potenziare l’area con infrastrutture, la lascia fallire come fosse il fruttivendolo sotto casa. Le parole di Junker ci ricordano che il Sud ha problemi di occupazione e corruzione (problema squisitamente nazionale), e anche che la causa non è l’Europa malefica ma la mancanza di strutture consone allo sviluppo che si vuole raggiungere. Il Sud deve prendere in mano il suo destino e rifiutare l’assistenzialismo, le mancette o i contentini. Bisogna creare la propria strada per lo sviluppo. Lo ha fatto in passato, può farlo ora. Non serve dare ad altri la colpa, ma marginalizzare chi non si allinea alla mentalità moderna dell’orgoglio e della crescita. Lo Stato, da parte sua, non ha bisogno di investire per l’ennesima autostrada che collega Venezia al Brennero, ma creare più connessioni nel Mezzogiorno. Se non arrivano i finanziamenti europei, bisogna chiederne conto alle Regioni che li amministrano. Una seria fiscalità agevolata per qualche anno produrrebbe più frutti che decenni di Cassa del Mezzogiorno.
Il circolo virtuoso è proprio questo: dare alle persone le possibilità di sviluppo in base alle potenzialità del territorio, responsabilizzando gli enti preposti che ne daranno conto direttamente ai cittadini.