Può una nota ufficiale del Presidente degli Stati Uniti d’America, pubblicata di routine ogni anno, diventare una notizia da “prima pagina”? Sì, se di mezzo ci sono Donald Trump, il Columbus Day e una manciata di click da raccogliere. Nella giornata di venerdì 6 ottobre 2017, la pubblicazione della “Presidential Proclamation” di Donald Trump, sulla festa nazionale dedicata alla figura di Cristoforo Colombo, è stata ripresa da tutti i giornali in Italia. Ma, nella realtà dei fatti, non è una novità. Ed è potuta diventare notizia solo in questo periodo storico così pieno di slogan e al tempo stesso così privo di contenuti.
Che il titolare della Casa Bianca pubblichi una nota in ricordo di Cristoforo Colombo, del suo viaggio, della sua esplorazione, ed elogi la comunità italo-americana per il contributo dato agli Stati Uniti d’America è poco più di un atto dovuto. Quasi normale amministrazione. Lo fece il Democratico Lyndon B. Johnson il 22 settembre 1966 (“Milioni di americani sono legati all’Italia da legami di sangue e tutti gli americani sono gli eredi spirituali del genio italiano che ha arricchito la qualità della nostra vita nazionale”), così come il Repubblicano Richard Nixon l’11 settembre 1969 (“Ricordiamo anche che Colombo era un uomo italiano, un nobile esempio per i tanti altri uomini d’Italia che sono venuti nel nostro Paese e in tante altre terre del nuovo mondo”). Lo scrisse Ronald Reagan il 3 ottobre 1988 (“Oggi, il nostro omaggio a Cristoforo Colombo comprende il riconoscimento dei tanti italiani che lo hanno seguito in America e dei successi dei loro discendenti. Colombo rimane un’ispirazione per loro e per tutti gli americani, e una fonte di compiacimento tra i popoli d’Italia e gli Stati Uniti), così come Barack Obama il 9 ottobre 2015 (“L’eredità di Colombo è incarnata nello spirito della nostra Nazione. Determinato e curioso, il giovane esploratore perseverava dopo essere stato dubitato da molti dei suoi potenziali patroni. Quando l’occasione ha colpito, quando Ferdinando II e Isabella ho accettato di sponsorizzare il suo viaggio, ha preso il momento e perseguito quello che sapeva essere possibile. L’arrivo di Colombo nel Nuovo Mondo ha ispirato molti e ha permesso a generazioni italiane di seguire – persone il cui patrimonio italiano-americano contribuisce in modo incalcolabile a rendere il nostro paese ciò che è e che continuano a contribuire a rafforzare l’amicizia tra gli Stati Uniti e l’Italia”). E così, si potrebbe andare avanti citando numerosi altri Presidenti in numerose altre “Proclamation”. Sono sufficienti tre passaggi su Google, per questo: aprite Google Chrome, Safari o Mozilla Firefox, digitate il nome e il cognome del presidente di turno affiancato dalle parole “Presidential Proclamation Columbus Day” e troverete una serie di link. In quei link, ci sono i collegamenti con le note di tutti i Presidenti, anno per anno. Parole sempre molto simili, e inserite nella stessa cornice istituzionale.
E quindi, dov’è sta la notizia? È semplice, non c’è. Ma lo è diventata perché Donald Trump attira sempre, per qualsiasi cosa egli faccia. E in questo periodo storico c’è più bisogno di click che di notizie. E così, anche quando Trump pubblica a sua firma un discorso politico di circostanza e porta a casa il compitino – bene, senza intoppi – come hanno fatto sempre tutti gli altri Presidenti, le sue parole sono comparse ovunque. Anche se, nella realtà dei fatti, non sono state per nulla dissimili da quelle pronunciate o scritte da parecchi suoi predecessori alla vigilia dei “Columbus Day” del passato. Il presidente statunitense ha infatti evidenziato che Colombo “rappresenta la ricca storia dell’importante contributo italoamericano alla nostra Nazione” (quasi come Nixon). Ha sottolineato come “Colombo era nativo di Genova, nell’Italia di oggi, e rappresenta la ricca storia degli importanti contributi italoamericani alla nostra nazione. Non c’è dubbio che la cultura americana, il business, la vita civile sarebbero meno vibranti in assenza della comunità italoamericana” (quasi come Johnson). Infine ha dichiarato che “l’arrivo degli europei nelle Americhe fu un evento trasformativo che innegabilmente cambiò il corso della storia dell’umanità e gettò le basi per lo sviluppo della nostra grande nazione. Per questo, nel Columbus Day, onoriamo l’esperto navigatore e uomo di fede, la cui coraggiosa prodezza unì continenti e ha ispirato innumerevoli altri a perseguire i propri sogni e le proprie convinzioni, anche davanti a incertezze estreme ed enormi perplessità” (quasi come Reagan). Nulla di nuovo, insomma.
Quello che è cambiato, piuttosto, è che rispetto all’ultima “Presidential Proclamation” di Barack Obama del 2016 sul Columbus Day, è scomparso il riferimento ai nativi americani e alle sofferenze patite dagli indigeni nel lungo processo storico che determinò la crescita degli Stati Uniti d’America come li conosciamo noi oggi. Un riferimento che, in realtà, è sempre stato ripreso piuttosto timidamente da numerosi coinquilini della Casa Bianca di turno, ad eccezione, parzialmente, di John Kennedy (solitamente freddo, come nel 1961 e 1963), Clinton (ad esempio nel 1994), e appunto di Obama. Un riferimento che però non cambia la sostanza: stiamo sereni, Donald Trump non ha fatto né di più né di meno dei suoi predecessori. E la sua “Proclamation” non è una notizia.