
Considerando che controversie e dibattiti ruotano generalmente sempre attorno alla statua di Colombo a New York e al destino del Columbus Day, quello di oggi potrebbe essere un buon momento per gli italo-americani (e per tutti gli altri) di riflettere sui dilemmi e sui paradossi della storia italo-americana. Nella realizzazione del nostro nuovo libro, abbiamo potuto constatare che Colombo sia come un prisma attraverso il quale gran parte della storia italiana si sia rifratta e spesso, più volte, sia stata distorta. Se nel 1917 qualcuno avesse predetto, in modo coraggioso, che non uno ma ben due italo-americani si sarebbero seduti un giorno nella Corte Suprema USA, sarebbero stati derisi e definiti (letteralmente) deliranti. Non più tardi di un secolo fa infatti, molti consideravano gli italiani del sud appena arrivati come vili criminali, anarchici e terroristi. Si diceva che si rifiutassero di imparare l’inglese (c’erano allora oltre 200 giornali italiani nel Paese), che praticassero una forma “pagana” del cattolicesimo e che portarono la mafia, assieme a loro, dall’Italia. In alcuni casi, non venivano nemmeno considerati “bianchi”.

Solo venticinque anni prima, gli americani avevano celebrato Colombo come “Ammiraglio dell’Oceano” e un sacerdote aveva proposto l’esploratore genovese come candidato alla canonizzazione. I funzionari del settore “Political and immigration”, persuasi da un fenomeno migratorio minore che aveva visto arrivare anche artigiani e intellettuali dall’Italia settentrionale, come il librettista di Mozart Lorenzo Da Ponte, si erano convinti che questi italiani del Meridione fossero una “razza” diversa dai discendenti di Michelangelo, Da Vinci e Galileo.
Sebbene in numero molto più piccolo degli afro-americani, gli italo-americani erano il secondo gruppo più ampio potenziale vittima di linciaggio. Ad esempio, a New Orleans nel 1891, dopo essere stati assolti dall’assassinio di un funzionario corrotto della polizia, undici Italiani furono a rischio linciaggio da una folla arrabbiata, guidata dai “buoni cittadini” della città, che avevano annunciato in un giornale locale la loro intenzione di prendere in mano la situazione e di farsi giustizia da soli. È di Teddy Roosevelt la frase secondo cui gli italiani “hanno ottenuto quello che hanno meritato”. Mentre nel primo giorno di scuola ai bambini italo-americani spesso veniva cambiato il nome da Giovanni a Johnny o da Genoveffa a Jennifer ed erano stati ammoniti che avrebbero potuto parlare soltanto in inglese. I genitori, disperati che i loro figli non potessero integrarsi nella classe media, finirono per non insegnare più l’italiano ai loro figli. Il 7 dicembre 1941, milioni di italo-americani che avevano sostenuto il regime fascista di Benito Mussolini, in Italia fecero una brusca marcia indietro ideologica e promisero la loro fedeltà agli Stati Uniti. Gli italo-americani del resto erano il più grande gruppo etnico che combatteva nelle forze armate USA, e a volte finirono per trovarsi a fare guerra nella città natale dei loro nonni in Italia.
Ironia della sorte, come uno di noi ha scritto, il Columbus Day era stato proposto all’inizio come un tentativo di conciliare i nuovi immigrati con gli americani e persino con i nativi americani. “L’idea,

poi spentasi per le critiche giunte dagli attuali detrattori della festa, era che questa sarebbe stata una festa nazionale, che sarebbe stata speciale per riconoscere i nativi americani, che erano già qui prima di Colombo, e i numerosi immigrati, inclusi gli italiani, che erano arrivati in questo Paese in un numero sempre crescente. Sarebbe stata una festa nazionale capace di coinvolgere non solo i Padri Fondatori o gli eroi della Guerra Civile, ma anche la restante parte della storia americana”. Durante la prima sfilata del Columbus Day a New York, non a caso, il gruppo dei nativi americani della Carlisle Indian School in Pennsylvania seguì il gruppo di bambini del Dante Alighieri Italian College of Astoria.
I prominenti dirigenti civici italiani si aggrapparono a Colombo, vedendo in questa figura un modo di compensare il maltrattamento degli immigrati e una via attraverso la quale poter entrare nella società americana. È stata, vista oggi, una scelta strana. Dalla città portuale settentrionale di Genova, battendo una bandiera straniera, la “scoperta” del Nuovo Mondo di Colombo ha dettato ironicamente la fine del dominio delle città-stato rinascimentali tipiche della vita politica, economica e culturale dell’Europa. E mentre il “mondo atlantico” stava per nascere, Genova intraprese assieme ad altre “città-stato” come Milano, Firenze e la nobile Repubblica di Venezia, un lungo processo che le portò al declino. Si può capire bene l’ambiguo rapporto dell’Italia con Colombo. Ma, nelle menti degli italo-americani, di ambiguità di giudizio non ce n’è: per loro la figura di Colombo si è evoluta in una specie di “totem sacro”, e guai a coloro che hanno o che avrebbero contestato il suo posto nella storia (o la sua statua a Columbus Circle).
Alcuni studiosi e attivisti chiedono da tempo che gli italo-americani riconsiderino, ripensino la loro dedizione a Colombo. È difficile che possa essere lui rappresentativo dei milioni di contadini senza terra, spesso scarsamente istruiti arrivati dalla Sicilia, dalla Calabria o da Napoli. (Nessuno dei quali sarebbe sufficientemente qualificato per entrare negli Stati Uniti d’America, secondo le regole proposte dell’attuale amministrazione). Sacco e Vanzetti, Sabato Rodia (creatore delle torri Watts Towers a Los Angeles) e Madre Cabrini sono stati tutti proposti come alternative a Colombo. Tutti certamente – a loro modo – degni di riconoscimento nazionale. Ma il solito problema rimane: è

costituito dagli italo-americani, che spesso ignorano la loro stessa storia fatta di difficoltà economiche, di persecuzioni politiche, di pregiudizi razziali e di falsi stereotipi. Quando si sentono gli italo-americani criticare gli immigrati contemporanei di oggi, verrebbe quasi da ricordare loro: “Ma non ti rendi conto che fu detto lo stesso di te (in passato)?”.
Un ultimo aspetto ironico: mentre la comunità italo-americana si riunisce oggi per celebrare e marciare sotto la Cattedrale di Saint Patrick sulla Quinta Avenue, la bellissima chiesa neo-rinascimentale “Our Lady of Loreto” a Brooklyn, costruita dagli emigranti italiani nel 1906 durante il loro “tempo libero”, è in via di abbattimento. Un gruppo di italo-americani, alcuni ex parrocchiani, alcuni studiosi e attivisti della comunità, si sono uniti agli afroamericani e ai latinos nel tentativo di salvare la chiesa e convertirla in un centro di comunità. L’arcidiocesi di Brooklyn invece ha deciso di demolirla e di sostituirla con 40 unità di alloggi, a prezzi calmierati. Dopo aver dato rifugio e sostenuto diversi emigranti per oltre un secolo, questa chiesa oggi si trova in rovine. Se gli italo-americani si agitano della figura di Colombo, allo stesso potrebbero spendere un attimo del loro tempo per riflettere anche sul destino della Madonna di Loreto. Perché rispetto a Colombo, questo sì che è stato un monumento molto più significativo dello straordinario coraggio degli italiani che avevano deciso di emigrare, un esempio del loro duro lavoro, dei loro contributi artistici e culturali, della loro dedizione alla famiglia e della loro profonda fiducia nella loro comunità.
Discussion about this post