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Chi ha ancora paura della verità sul delitto Moro?

Trentanove anni fa veniva rapito (e poi ucciso) Aldo Moro. Chi e perché ostacolò la sua liberazione?

Valter VecelliobyValter Vecellio
Time: 4 mins read

Il 16 marzo del 1978, in via Mario Fani, un commando delle Brigate Rosse rapisce Aldo Moro e uccide la sua scorta. Moro viene poi trovato morto a via Caetani 55 giorni dopo.

A distanza di tanto tempo, e nonostante “pentiti”, dissociati, processi e commissioni parlamentari, inchieste giornalistiche e centinaia di libri, e quant’altro, della vicenda di cui secondo alcuni si sa praticamente tutto, e non c’è da sapere più nulla, le lacune e i buchi “neri” relativi a verità evidentemente indicibili e imperscrutabili, sono tante.

La seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro forse non giungerà – come tanti sostengono – a verità e non fornirà clamorose novità.

Una cosa tuttavia, dalla lettura delle due relazioni già depositate e approvate, emerge: che Aldo Moro, in quei 55 giorni, era nel pieno delle sue facoltà; era “lui”, riconoscibilissimo; e a un certo momento è lui che di fatto conduce la trattativa per la sua liberazione e salvezza. Una verità che Leonardo Sciascia aveva subito intuito, e che aveva ben descritto e narrato nella relazione di minoranza da lui firmata, nella veste di componente della prima commissione parlamentare, e ne “L’Affaire Moro”, il libro che tante arroganti e stupide polemiche ha sollevato.

Moro era Moro, e non “altro”, come con impudenza interessata e volgare malvagità sostennero suoi “presunti” amici.

Dalle relazioni della seconda commissione Moro emerge un ruolo e un “fare” del ministro dell’Interno di allora, Francesco Cossiga, che in nome di una “ragione di Stato” indicibile ancora oggi, punta di lancia di entità che possiamo far risalire a Yalta, hanno fatto sì che sia accaduto quello che è accaduto.

A proposito del è tutto chiarito, in realtà non è chiaro tanto dell’essenziale.

Si può cominciare da un’osservazione di amara ironia di Leonardo Sciascia, a “caldo”:

“A due settimane dal rapimento dell’onorevole Moro, la polizia aveva operato 35.000 perquisizioni, 9.700 pattugliamenti, 1.200 rastrellamenti, 3.500 ricognizioni navali e 1.200 aeree; controllato 6.700.000 persone, 3.800.00 automezzi, 59.000 mezzi navali, effettuato 62.000 posti di blocco. Sono passate altre quattro settimane: e crediamo che queste cifre, se non triplicarle, si possano almeno raddoppiare. E viene il capogiro, specialmente considerando quella relativa al controllo delle persone. Si può immaginare che il termine “controllo” si riferisca all’accertamento dell’identità e all’ispezione di quel che la persona porta con sé o su di sé: e quindi 15 milioni di persone sono state passate a quel vaglio. Vale a dire una buona metà della popolazione adulta italiana. E non una di queste persone che abbia dato indizio o sospetto di appartenenza alle Brigate Rosse. Questo vuol dire che le BR vivono nella sfera dell’impossibile. Non solo dell’impossibile pratico, ma anche dell’impossibile teorico, dell’impossibile matematico. Non solo sfuggono al controllo della polizia. Sfuggono anche al calcolo delle probabilità”.

caso-moro-a
Roma, Via Fani, 16 marzo 1978

E ancora:

Non sappiamo la verità sulla famosa “seduta spiritica” nel corso della quale una “voce” sussurra il nome di Gradoli. I presenti per tutto questo tempo ci hanno raccontato quelle che si possono solo definire “balle”; dai professori Alberto Clò, Mario Baldassarri e Romano Prodi, ancora non è venuta la verità su quella giornata trascorsa nella casa del professor Clò a Zappolino.

Non conosciamo perché, emerso il nome di Gradoli nel corso della famosa “seduta spiritica” si va nel paese, e non nella via a Roma; e anzi si nega alla vedova Moro che esista una via con quel nome, e la stessa vedova, stradario in mano, la indica; ma quella pista viene lasciata cadere; per poi riemergere nel modo in cui (non) sappiamo.

Non sappiamo la verità sul brigatista che prese parte al rapimento di Moro e non ha fatto un solo minuto di carcere: quell’Alessio Casimirri che, secondo il suo incredibile racconto, riesce a lasciare l’Italia, transita senza documenti per alcuni giorni nella Mosca sovietica, infine riesce a imbarcarsi per il Nicaragua e beneficia di evidenti protezioni che vanno al di là e al di sopra dei governi che si avvicendano in quel paese. Casimirri vive tuttora indisturbato in Nicaragua, ha certamente avuto contatti con i servizi segreti italiani;

Non sono stati chiariti tutte le dinamiche relative al falso comunicato brigatista secondo il quale Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago della Duchessa…

Fermiamoci qui, per ora.

In quei 55 giorni, e anche dopo, di fatto viene stipulato una sorta di “patto” e una parte, almeno delle Brigate Rosse, con il benestare di tanti a cui non spiace per nulla che Moro sia eliminato. Ucciso da persone che hanno raccontato verità dimezzate, contraddittorie, instabili. Abbandonato dai suoi stessi compagni di partito, le istituzioni paralizzate, il Parlamento chiuso (Marco Pannella e i radicali sono gli unici, che si oppongono). Siamo al punto di poter legittimamente dubitare della stessa ricostruzione ufficiale del rapimento prima, del luogo di detenzione poi; infine della dinamica e degli autori dell’esecuzione.

Perché il Vaticano non riuscì a liberare Moro offrendo 10 miliardi di lire alle Br? Giovanni Leone era pronto a firmare la domanda di grazia a una brigatista “minore”; il presidente del Senato Amintore Fanfani si preparava a ufficialmente porre la questione della trattativa alla DC, e buona parte del partito era pronto a sostenerlo. Chi riesce a bloccare Papa, presidente della Repubblica e presidente del Senato, seconda carica dello Stato?

Perché le Br, dopo averlo promesso e annunciato, non rivelarono il contenuto del cosiddetto “memoriale” di Moro, poi trovato a rate nel covo milanese di via Montenevoso?

Se ne ricava che dopo 39 anni, evidentemente, si ha paura ancora di raccontare la vera storia del delitto Moro. Paura di che, paura chi?

 

 

 

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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