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July 19, 2016
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Via D’Amelio, una strage senza verità

Paolo Borsellino e la scorta venivano assassinati ventiquattro anni fa a Palermo. Fu solo mafia?

Valter VecelliobyValter Vecellio
via d'amelio
Time: 3 mins read

Lo sa, Paolo Borsellino, di essere “segnato”. Lo scrittore Damon Rumyon, mutuandolo dal gergo della malavita, definisce “Il dito” colui che indica le persone da uccidere, da sequestrare, da rapinare. Borsellino lo sa che c’è un “dito” che lo punta da tempo, che dopo il suo fraterno amico Giovanni Falcone, con cui ha condotto mille inchieste antimafia, ora tocca a lui. Lo sa, lo dice. Alla presentazione di un libro, a Roma, per esempio: “…Raccogliendo financo tra le mie braccia gli ultimi respiri di Giovanni Falcone, pensai che si trattava di un appuntamento rinviato…”.

Lo sa, e tuttavia, anzi forse proprio per questo, non molla di un millimetro; instancabile intensifica sforzi, febbrilmente dà fondo a tutte le sue energie… Fino a quando, il 19 luglio di 24 anni fa, è una domenica, alle 16.58, a via D’Amelio, davanti all’abitazione della madre, un’autobomba lo uccide, assieme ai cinque agenti di scorta; ricordiamoli: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina.

Sono passati appena cinquantasette giorni, da quando hanno ucciso Falcone. Strage senza dubbio voluta e perpetrata da Cosa Nostra, e per la quale sono condannati all’ergastolo numerosi componenti della cosiddetta cupola mafiosa, Totò Riina per primo.

Ventiquattro anni fa: non è più cronaca, è storia, ormai. Eppure ne ho vivissimo il ricordo, di quei giorni: di quando la RAI mi manda con altri colleghi, in fretta e furia a Palermo, e già ho seguito il delitto di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Giovanni Falcone, di mille altri, eppure non ti abitui mai (e per fortuna!), a quei morti, a quel sangue, a quelle stragi. E quando si arriva in quella via, l’operatore comincia a filmare le prime riprese, ti sembra un qualcosa di spaventoso e tragico, ma è nulla; perché poi, dopo qualche minuto oltrepassi i due mezzi dei pompieri messi di traverso, e ti accorgi che hai visto solo la “periferia” dell’esplosione, che lo scempio vero si è consumato più in là, molto peggio di Capaci, quell’esplosione: che l’attentato a Falcone “tecnicamente” era fallito, bastava che il magistrato fosse al suo posto, e non alla guida dell’automobile, e se la sarebbe cavata; e i mafiosi ne hanno fatto tesoro: per Borsellino, una volta entrato in quella via non ci sarebbe stato comunque scampo…Quello che resta dei sei corpi è sparso ovunque, perfino sui rami di alberi cinque-dieci metri più in là. Un orrore che non si può descrivere.

Falcone Borsellino
Paolo Borsellino con Giovanni Falcone

Già un quarto di secolo fa; e quella strage, come tutte del resto, è avvolta  da tanti, troppi, inquietanti misteri. Per dire: erano pochissimi a sapere che Borsellino quel pomeriggio sarebbe andato dalla madre per portarla dal medico. Era al mare, e per giungere a via D’Amelio ci mette pochi minuti. Sufficienti per mettere in moto l’“operazione”. Come l’hanno saputo, gli assassini? C’è stata una talpa?

La domanda che si pone da anni: che fine ha fatto l’agenda rossa da cui Borsellino non si separa mai? Alla famiglia Borsellino vengono restituiti tutti gli effetti contenuti nella borsa che il magistrato ha con sé. Ma quell’agenda manca all’appello…Un inattendibile pentito, Vincenzo Scarantino, si accusa della strage, e coinvolge altre sette persone. Processi su processi, che si concludono con una raffica di ergastoli; solo il 27 ottobre 2011 il colpo di scena: in seguito alle dichiarazioni di un altro pentito, Gaspare Spatuzza, il teorema crolla; ed emerge una inquietante storia di depistaggi e manipolazioni, che vede pesantemente coinvolto il capo della mobile di allora, che però, nel frattempo, è deceduto… Ventiquattro anni non sono bastati per sapere che cosa è accaduto esattamente quel giorno, cosa Borsellino aveva intuito e capito, a quali santuari si stava avvicinando.

Ci resta uno straordinario documento, un intervento pronunciato a Palermo qualche giorno prima di essere ucciso, e che possiamo considerare il suo testamento morale:

“Il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento morale e culturale che coinvolge tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, delle indifferenze, delle contiguità e quindi delle complicità”.  

 

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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