Ora gli inglesi danno la caccia, con i loro servizi segreti, al boia che ha decapitato James Foley e agli altri jihaddisti “inglesi” che hanno ingrossato le fila del nutrito esercito dell’Islamic State, “Beatles” compresi. Feriti nell’onore e dopo che i media di tutto il mondo li hanno additati come coloro che hanno partorito belve jihaddiste in quantità e ferocia debordanti, cercano di salvare la faccia. E ciò in un persistente stile imperialista coloniale duro a morire, che sembra aver generato i mostri entrati al servizio di al-Baghdadi.
Costoro non sono solo figli dello spirito di avventura, come pure è stato detto, non solo del fascino del diverso, o della seduzione di internet, particolarmente forte sui deboli (di idee e formazione) e su chi è sensibile al richiamo di radici “naturali” perché si sente sradicato, non sono solo un prodotto delle sirene di valori forti e affascinanti proprio perché semplificatori (vero-falso, dio-satana, oppressi-oppressori). Certo, sono figli anche di questo, per quanto un recente e-book pubblicato dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale sul Jihadismo autoctono in Italia abbia confermato che il reclutamento ha dimensioni diversificate nei singoli stati; ma quelli di cui stiamo trattando sono soprattutto un prodotto inglese, anzi, il regalo che gli inglesi hanno fatto all’occidente e al mondo (l’ennesimo, per la verità) frutto del fallimento, vecchio ormai di qualche decennio, del loro modello di società multiculturale. Una società che era stata costretta ad accogliere “cittadini” dei molteplici paesi dell’impero coloniale inglese, ma che li aveva relegati ai margini, ghettizzati nelle più squallide periferie, in quartieri e abitazioni fatiscenti, in scuole inadeguate, con servizi da terzo mondo.
Ovvio che costoro si ribellassero, diventando facile selvaggina per chi era capace di intercettare e incanalare la loro crescente insofferenza e protesta interiore, di soffiare con la giusta efficacia su questi carboni pronti ad accendersi e a dare vita a veri e propri roghi (non dimentichiamo le bombe nella metropolitana di Londra o i liquidi esplosivi che ci hanno portato le restrizioni e i controlli agli aeroporti). Giovani, ma non solo, che diventavano in tal modo preda di chi sapeva proporre loro contenuti e percorsi identitari, insieme con ragioni di vita.
Amartya Sen, mai domo nonostante l’età avanzata (è nato nel Bengala occidentale nel 1933), nell’algoritmo col quale ha misurato non soltanto in termini quantitativi il prodotto interno lordo dei singoli paesi (e che ha contribuito a fargli vincere il Premio Nobel dell’economia nel 1998) aveva inserito nuove realtà quali il livello di integrazione e di accettazione dei “diversi” e degli stranieri nella società e nell’ambiente di lavoro, forme identitarie non univoche ma plurali e tolleranti, oltre a una gamma di servizi che vanno dall’educazione alla sanità, e a uno stuolo di diritti di pari importanza e livello, che culminano in quello ad armonici rapporti sociali, e in quello alla felicità e all’appagamento personale, tutti esercitati nel pieno rispetto della libertà e dei diritti degli altri.
Sen, che teorizza sia un’economia capace di trarre tangibili vantaggi dal rispetto delle regole della morale, sia un’idea di giustizia vero fondamento delle sue dottrine liberali e democratiche, oltre che ad Harvard e alla London School of Economics, ha insegnato e diretto strutture alle università di Oxford e di Cambridge. Purtroppo gli inglesi non hanno fatto tesoro del suo insegnamento nel loro modello multietnico, consolidatosi in età di liberismo thatcheriano e rimasto sostanzialmente immutato coi governi whigs e tories degli ultimi decenni, nonostante abbia collezionato ripetuti e drammatici attestati di fallimento.
È a casa propria che Cameron deve mandare quindi i membri dei servizi segreti (e non solo quelli ovviamente), nella sua Inghilterra e non in Siria. Deve cioè cercare di fare in modo che i buoi non abbiano motivi più che validi per scappare, e non cercare di catturarli dopo che sono scappati, dopo che hanno creato guai e danni di ogni tipo a tutti noi, e hanno disonorato (e questo è il meno) la sua immagine e quella dell’Inghilterra.
*Enzo Baldini, Professore ordinario presso la ex Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (ora Dipartimento di Culture, Politica e Società), insegna "Storia del pensiero politico" e "Laboratorio Internet per la ricerca storica". Ha lavorato su internet fin dagli albori della rete, è stato tra i creatori della Biblioteca italiana telematica e poi del consorzio interuniversitario ICoN-Italian culture on the Net del quale continua ad occuparsi