Karima accelera il passo tenendo le mani sulla gonna del lungo abito rosa a fiori. Attraversa i portici della Jamia Mosque, la moschea storica e più importante di Nairobi, in Kenya e si ferma accanto alle altre donne che sono già rivolte verso La Mecca. Anche lei come molte donne qui è una musulmana kenyana, fra i tanti convertiti all’islam negli ultimi anni. E come alcuni, guarda con simpatia agli Shabaab, i guerriglieri islamici somali che seminano terrore anche in Kenya con attacchi a stazioni di polizia, rapimenti e uccisioni. “Gli Shabaab fanno bene – afferma Karima – li chiamano terroristi ma noi non uccidiamo per primi. Gli Shabaab uccidono perché qualcuno é andato nel loro paese ad uccidere i loro parenti anni fa”.
Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco contro alcune basi nella regione di Shabelle nel sud est della Somalia. Il governatore di quella regione ha dichiarato che l’obiettivo di questo attacco era Amhed Godane, 37 anni, capo degli Shabaab dal 2008. Sul suo curriculum addestramenti in Afghanistan assieme ai talebani e l’investitura da parte di Al Zawahiri a capo dei mujahedin in East Africa. Pare sia stata di Godane l’idea dell’attentato dell’anno scorso in uno dei più importanti centri commerciali di Nairobi dove un commando formato da decine di terroristi ha sparato sulla gente che faceva shopping in un tranquillo sabato mattina uccidendo 68 persone.
E’ passato quasi un anno da quell’attacco e nonostante il governo di Nairobi dal 2011 abbia inviato le sue truppe in Somalia sotto l’egida dell’Unione Africana per combattere e sottrarre territorio agli Shabaab, le cose in Kenya non sono migliorate granché. “Porteremo la guerra a casa vostra" avevano promesso gli Shabaab dopo l’arrivo delle truppe di terra nel loro paese. Detto, fatto. Dal 2011 ad oggi sono stati 133 gli attacchi terroristici in Kenya che hanno provocato 264 morti e 923 feriti, secondo i dati diffusi dall’Unità antiterrorismo.
Fra le zone più colpite quelle vicino al confine: Mandera, Garissa e soprattutto la contea di Lamu. Una regione che prende il nome da un’isola patrimonio Unesco che sulle guide turistiche non aggiornate viene definita paradisiaca, rilassante e indimenticabile. Lo era fino a quando non sono arrivati i soldi del petrolio. Quelli stanziati per costruire l’oleodotto Lappset (Lamu Port Southern Sudan-Ethiopia Transport) che dal Sud Sudan attraverso l’Etiopia porterà il greggio sino a Lamu. Un progetto da 30 miliardi di dollari che sta già facendo apprezzare la terra provocando dissidi e dispute legali in cui gli attacchi degli Shabaab non fanno altro che aumentare la tensione. “A Lamu stanno usando il nome degli Shabaab per ragioni politiche – afferma Karima – vogliono creare disordini per i soldi che ci sono in ballo”.
Il pensiero di Karima è quello di molti musulmani del paese e molti analisti non escludono che il fattore islam radicale qui si stia mischiando agli interessi del denaro e alla corsa per accaparrarsi la terra. Di certo c’è che negli attacchi commessi in questa regione c’è la mano di musulmani kenyani. Giovani disoccupati, emarginati che si sono convertiti, sono andati ad addestrarsi nelle foreste al confine e hanno trovato una nuova famiglia. Gli abitanti di Mpketoni, città nella contea di Lamu colpita da un duro attacco nel giugno scorso, raccontano di giovani senza un soldo spariti per mesi che sono tornati ricchi, ben vestiti e con il Corano sotto il braccio.
Uno scenario analizzato dai capi di tutte le intelligence africane in un vertice avvenuto la settimana scorsa a Nairobi. “C’è il rischio che l’Is ispiri e fomenti i gruppi radicali in Africa”, ha dichiarato il capo degli 007 dello Zimbabwe mentre tutti hanno chiesto ai governi di agire contro la povertà per evitare il rischio della radicalizzazione. Un processo che in Kenya sta già avvenendo. “Gli Shabaab hanno inviato cellule in Kenya per reclutare giovani affinché commettano attentati”, avvertono i servizi kenyani nella loro ultima relazione presentata al parlamento. Un allarme che vista la simpatia per gli Shabaab presente in alcune moschee non suona irreale. Altre donne raggiungono Karima mentre lei racconta. Annuiscono quando parla degli attacchi. “Penso che finiranno quando i musulmani verranno trattati come essere umani – conclude – siamo persone pacifiche a meno che non veniamo colpiti”.
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