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Somalia: liberato il giornalista Michael Scott Moore, pirati sempre più attratti dal terrorismo

Antonella PalmieribyAntonella Palmieri
Time: 3 mins read

Michael Scott Moore, 45 anni, giornalista tedesco americano è stato l’ultima gallina dalle uova d’oro dei pirati in Somalia. L’ultima, forse, non solo in ordine di tempo.

La settimana scorsa è stato liberato e secondo quanto dichiarato dagli stessi pirati sarebbe stato pagato un riscatto di 1,6 milioni di dollari. Interrogati sulla verità di queste dichiarazioni, la famiglia di Moore ha risposto con un no comment, il governo tedesco idem, gli americani neanche sono stati interpellati viste la prassi adottata in materia di ostaggi. Fatto è che dopo qualche giorno dalla liberazione i pirati avrebbero litigato pesantemente sulla spartizione del denaro.

Pare che alcuni abbiano trattato per la liberazione senza averne titolo e siano stati accusati di tradimento. Una discussione finita a colpi di proiettili con tre di loro rimasti uccisi, fra cui anche un alto comandante. Tensioni che si legano anche al fatto che il business dei pirati è sempre più risicato.

Secondo i dati della Banca mondiale da quando la comunità internazionale ha avviato il pattugliamento nel Golfo di Aden con navi militari e da quando gli armatori hanno ingaggiato sui mercantili guardie private per la sicurezza, gli attacchi dei pirati sono passati da 219 del 2010 a soli 15 nel 2013. Non solo, la stretta della comunità internazionale sulla Somalia ha reso sempre più difficile per loro portare all’estero il denaro dei riscatti e delle attività illecite.

Qui secondo gli analisti arrivano gli Shabaab, i guerriglieri islamici testa di ponte di Al Qaeda nel corso d’Africa. Fra pirati e Shabaab non sempre è corso buon sangue. Nel 2010 quando i pirati sequestrarono una nave mercantile diretta a Mogadiscio che conteneva rifornimenti per i guerriglieri islamici ci furono pesanti scontri fra i due gruppi. Lo stesso concetto di pirateria non è accettato dagli islamici che la ritengono “haram”, vietata.

Tuttavia negli anni seguenti, quando ci sono stati sequestri di cargo gli Shabaab si sono limitati a chiedere un “pizzo” ai pirati per l’occupazione dei porti o di zona marittima se la nave era ancorata al largo di aree controllate dai guerriglieri somali. Oggi però la collaborazione potrebbe intensificarsi considerando i pochi “affari” che i pirati hanno concluso nell’ultimo anno e le pesanti perdite subite dagli Shabaab; ultima, l’uccisione del loro leader Amhed Godane, morto sotto le bombe sganciate da un drone americano e sostituito in fretta e furia da un suo parente che però non raccoglie lo stesso consenso del suo predecessore. In un momento di difficoltà per entrambi dunque la collaborazione potrebbe far comodo.

La Banca mondiale ha tracciato due scenari possibili di questo sostegno reciproco che potrebbe “destabilizzare ancora di più il paese”. Il primo riguarda i flussi di denaro. “I pirati hanno sempre mandato all’estero parte dei loro proventi per reinvestirli – scrive la Banca mondiale – mentre parte dei finanziamenti degli Shabaab arrivano proprio dall’estero. Considerando che le transazioni internazionali sono non solo costose ma anche rischiose, gli Shabaab potrebbero essere finanziati direttamente dai pirati i quali verrebbero poi compensati dagli sponsor stranieri dei guerriglieri islamici”. Così facendo il flusso di denaro farebbe solo un movimento internazionale.

In secondo luogo i pochi ostaggi e navi che i pirati riescono ancora a sequestrare (l’episodio dell’ultima nave attaccata risale al gennaio scorso) potrebbero essere oggetto di scambio con gli Shabaab considerando che per gli islamici alcune nazionalità hanno un “valore politico” più alto di altre. Inoltre, la stessa minaccia paventata dai pirati di cedere gli ostaggi ai guerriglieri è stata già utilizzata in passato per far crescere il prezzo del rilascio.

Insomma una collaborazione di comodo che si limiterebbe agli affari. Anche eventuali azioni “terroristiche” portate avanti dai pirati, secondo gli analisti, sarebbero solo dirette a fare pressioni per ottenere qualcosa in cambio, tipo il rilascio di parenti incarcerati o maggiori benefici all’interno dell’amministrazione locale. Niente a che vedere con le mire islamiche degli Shabaab.

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