Per la prima volta in tanti anni di mediocre ma onesta carriera non mi rivolgo ai lettori ma all'editore di un giornale. Di questo giornale. Della Voce di New York, mi rivolgo a Stefano Vaccara. So che frequenta spesso l'Onu, partecipa alle conferenze stampa, ha modo di vedere, magari per una mezzoretta solo per ragioni di lavoro, i pezzi grossi del mondo. Per questo gli rivolgo un appello: salvaci dall'antimafia. Quella cialtrona beninteso, che non rischia nulla, che non fa nemmeno il solletico ai mafiosi veri e li fa ridere lo stesso. Quella che nomina la direttrice di una palestra semi fallita, di professione testimone di giustizia, la direttrice di una orchestra sinfonica, fallitissima, finanziata (of course ) dalla Regione siciliana.
Per favore Stefano Vaccara, fai un appello all'Onu, mandaci i caschi blu, per liberarci dai politici incapaci che nel curriculum mettono solo "antimafiosi" o "vittime della mafia". Basta questo in Sicilia per diventare capolista alle europee del partito di maggioranza relativa, quello stesso partito erede di Pio La Torre che la mafia la combatteva davvero e puntualmente finì ammazzato. Trent'anni dopo quel partito mette in cima alla lista per Bruxelles Caterina Chinnici, figlia di quel giudice massacrato da Cosa nostra con una autobomba in stile libanese perché aveva osato indagare sui cugini Salvo, mafiosi ed esattori, non del pizzo, ma delle tasse, proprio così accade anche in questo in Sicilia. Peccato però che nessuno ricordi che la stessa Chinnici, è stata anche, ed a lungo, assessore dell'ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo, condannato per mafia. Si dirà che quando Caterina Chinnici faceva l'assessore per Lombardo, nessuno sapeva che lui fosse mafioso, non era nemmeno sotto processo. Magari lo dicono a Rovigo, ma non in Sicilia, non i siciliani che i mafiosi ed i loro amici, li sentono con il naso, li avvertono con uno sguardo. Poi magari stanno zitti, ma lo sanno. Sanno tutto.
Caro Vaccara chiedi all' Onu di salvarci dal "Barnum dell'antimafia", splendida definizione, un po' meno il definitore, ovvero Antonello Cracolici, vero capo del Pd siciliano, un po' partito dei giudici, un po' degli affari. Ma se lui dice che l'antimafia è diventato un circo, allora è il caso di crederci. Qualcuno in fondo ha capito che così non si può andare avanti. La Sicilia è in una morsa. Tra una mafia sorniona e assassina che pensa agli affari ma ha sempre il dito sul grilletto, e una antimafia cialtrona e affarista. Se ne sono accorti perfino in uno dei convegni che piacciono tanti ai professionisti del settore, intitolato pensate un po' "Ripensare l'antimafia". Un dotto relatore, docente universitario ha detto che sì, in fondo è vero, l'antimafia è diventata anche un business. Meno male che ci è arrivato. Oltre alla mafia, l' antimafia è l' unico business che la Sicilia esporta. Gli altri affari li gestiscono imprenditori come i fratelli Rappa, piccoli Berlusconi di provincia (edilizia, televisione, radio, pubblicità, concessionarie BMW, Jaguar) ai quali hanno appena sequestrato un patrimonio da 700 milioni di euro. Dicono che erano soldi del nonno, mafioso condannato con sentenza definitiva, morto cinque anni fa. Ma in cinque anni, nessuno è andato a curiosare su quella fortuna, non ha messo una microspia, un telefono sotto controllo. I nipoti Rappa non sono mai stati indagati. Nel frattempo l'associazione degli industriali, colleghi dei Rappa, ha regalato una sede nuova alla squadra mobile di Palermo. Coincidenze, suggestioni. E intanto Matteo Messina Denaro, di gran lunga il più grande imprenditore della Sicilia, se la ride. Ha letto da una brevina sui giornali, appena poche righe, ma lui si sa ha l'occhio lungo, che il pool di magistrati che lo dovrebbe arrestare, è già dilaniato da feroci polemiche. Ad un pm non è andato giù il fatto di avere visto per la prima volta il nuovo identikit (ricordate l'ultima puntata di questa rubrica?) del superlatitante su un giornale. Lui ancora non lo conosceva. Lo stesso giornale che "in esclusiva" aveva pubblicato le minacce, immancabili in Sicilia, al procuratore aggiunto Principato, capo del pool. Coincidenze, suggestioni.
E poi? Poi c'è Nino Di Matteo. Ma continuo a pensare che lui con la mafia e l'antimafia c'entri poco. Non si occupa di mafia da anni. Lui si occupa di Stato. Di quello stato malato che ci hanno consegnato politici criminali, servizi deviati, massoni, imprenditori evasori e collusi. Magari quelli che concordano: bisogna ripensare l'antimafia. L'importante è che la ripensino loro. Vaccara, mandaci i caschi blu.