In Sicilia, all’ombra dell’Antimafia, prospera la mafia. Non è una novità. Già alla fine degli anni ’80 del secolo passato lo scrittore Leonardo Sciascia, in un celebre articolo pubblicato sul Corriere della Sera dal titolo emblematico: “I Professionisti dell’Antimafia”, denunciava la presenza di personaggi che, sfruttando la lotta alla mafia (in alcuni casi più presunta che vera), facevano incetta di benefici e prebende. A distanza di tanti anni la situazione, in Sicilia, è peggiorata.
Un esempio dell’ipocrisia di Stato va in scena in questi giorni a Catania, naturalmente nel silenzio generale. Perché queste cose, si sa, si fanno nel silenzio. Una vice Questore, la dottoressa Adriana Muliere, dirigente del commissariato di Nesima – una delle aree più problematiche della città Etnea – scopre un traffico di medicinali. Sono farmaci acquistati dal Servizio sanitario nazionale, cioè con i soldi dei contribuenti. Medicine che dovrebbero essere somministrate dagli ospedali pubblici. Gratuitamente. Stranamente, queste medicine ‘escono’ dagli ospedali pubblici di Catania e vengono vendute ai privati.
Due le truffe. Prima truffa: si tratta di farmaci già pagati con le tasse dai contribuenti siciliani. Medicine che gli stessi siciliani acquistano per la seconda volta. Una vergogna. Seconda truffa: tutto questo succede mentre negli ospedali pubblici siciliani mancano i farmaci. Questo perché, ormai, con i vincoli imposti dall’Unione Europea, “dobbiamo risparmiare” (ricordiamo che l’Unione Europea ha tagliato alla Grecia alcuni farmaci antitumorali, perché i greci non hanno i soldi per pagarli). Ebbene, la dottoressa Muliere scopre questo incredibile giro di affari loschi, decine e decine di milioni di farmaci – lo ripetiamo: già pagati dai contribuenti – che vengono venduti, per la seconda volta, agli stessi contribuenti. Riducendo, contemporaneamente, la quantità di farmaci presente negli ospedali pubblici.
Cosa fanno le ‘Istituzioni’ italiane davanti a questa storia? I vertici della Polizia di Stato organizzano un ‘blitz’: per bloccare questa truffa, direte voi. Nient’affatto: per bloccare la dottoressa Muliere. Quello che state leggendo potrà sembrarvi incredibile, ma è vero. Nel silenzio generale, un paio di settimane fa, dopo la scoperta della truffa sui farmaci da parte della dottoressa Muliere, arriva il blitz nel commissariato di Nesima. Cosa scoprono le ‘Autorità’? Che la dirigente del commissariato di Nesima ha commesso un ‘reato’ gravissimo: ha ospitato e dato da mangiare ad alcuni cani randagi. Ad ‘inchiodarla’ ci sono due ciotole e un pacco di croccantini! Detto e fatto: nel nome del popolo italiano la dottoressa Muliere viene trasferita con provvedimento d’urgenza. I cani randagi possono tornare in strada. E il traffico di medicinali rubati dagli ospedali pubblici – la parola è questa – e rivenduti ai cittadini?
Di questo si occupa la scorsa settimana il Parlamento siciliano (la Sicilia, almeno sulla carta, è una delle cinque Regioni a Statuto speciale dell’Italia). Viene convocata la commissione legislativa che si occupa di sanità. La seduta viene ‘secretata’. Su un fatto così grave, una seduta segreta? Così ha deciso il presidente di questa commissione, Pippo Di Giacomo, che è un esponente del PD, “Partito di lotta e di Governo”. Cosa ha deciso la commissione sanità del’Assemblea regionale siciliana? Non si sa nulla. Anche perché la seduta è segreta: segreta come le logge massoniche che, da sempre, in Sicilia, controllano i grandi affari della sanità pubblica.
Domanda da cento punti: possibile che a Catania, la città di Nitto Santapaola, boss dei boss di Cosa Nostra, un affare da decine e decine di milioni di euro lasci a bocca asciutta la mafia? Questa domanda se la dovrebbe porre il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, quel signore che questo giornale ha intervistato: il signore che si è autocelebrato come nemico dei mafiosi. Sapete, cari lettori americani, cosa ha fatto il Governo della Regione siciliana a fronte di quanto accaduto? Nulla, assolutamente nulla. Eppure il governatore Crocetta, quando una cosa gli giova, organizza oceaniche conferenze stampa a Palazzo d’Orleans, la sede di Palermo del Governo regionale. Dove, neanche a dirlo, pontifica, auto-proclamandosi antimafioso e obiettivo dei mafiosi. Però, stranamente, su questa vicenda, non ha detto una parola. Chissà perché.
Zitta, fino ad ora, è rimasta anche Lucia Borsellino, figlia del compianto giudice Paolo Borsellino. Sì, proprio lui, il magistrato ammazzato nel luglio del 1992 perché si opponeva alla trattativa tra Stato e mafia. Lucia Borsellino ricopre il posto di assessore regionale ala Sanità. Da lei ci si sarebbe aspettati una presa di posizione su questa vicenda inquietante. Invece, anche da lei, il silenzio assoluto.
Questa è la Sicilia nell’anno di grazia 2013. Questa è l’Italia. Questa è la mafia. E questa è l’Antimafia.