Appena 48 ore prima che finisse in cella, Massimo Ciancimino aveva ottenuto un’accoglienza davvero speciale davanti all’aula bunker del Pagliarelli a Palermo dove si è aperto il processo sulla trattativa tra Stato e mafia. È stato l’unico imputato ad essere salutato con ampi sorrisi dal pubblico presente e dagli aderenti del movimento delle Agende Rosse che giustamente chiedono giustizia vera per tutti. D’altronde proprio le dichiarazioni del figlio di don Vito hanno aperto inquietanti filoni di indagine che dopo anni sono sfociate nel procedimento in cui lo Stato processa lo Stato. È stato lui per primo a parlare dei colloqui investigativi tra il padre e gli alti ufficiali del Ros, datandoli ben prima della strage di via D’Amelio e non dopo, come ha sempre dichiarato il prefetto Mario Mori. Solo dopo politici di lungo corso, come Claudio Martelli e Luciano Violante, hanno improvvisamente ricordato particolari dimenticati per anni.
La Procura di Palermo conosce bene Ciancimino junior, per lui ha chiesto e ottenuto l’arresto per la storia della calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro, poi lo ha indagato per il ritrovamento della santabarbara nel giardino di casa, in via Torrearsa, in pieno centro a Palermo. Un quintale di esplosivo non si sa come arrivato nel suo appartamento. E, come se non bastasse, al processo trattativa è imputato per associazione mafiosa, oltre che di calunnia. Ma gli altri imputati non sono stati certo accolti come lui. Nicola Mancino, ex presidente del Senato, è stato subissato dai fischi e dalle contumelie.
«Non ha avuto sconti», dicono i pm che hanno interrogato Ciancimino per anni a ripetizione, e ogni volta che spunta il suo nome in qualche faccenda, gli inquirenti ripetono la stessa formula, diventata ormai una specie di mantra. «Personaggio controverso, ogni sua parola va riscontrata».
Adesso il controverso e giovane Ciancimino, che tra un arresto e un’inchiesta ha ormai i capelli bianchi, è di nuovo nei guai per una presunta maxi evasione da 30 milioni di euro. Una colossale truffa sulla compravendita di acciaio, uno dei tanti business, come la discarica in Romania o il servizio di elicotteri alle isole Eolie, che il rampollo del sindaco mafioso di Palermo avrebbe condotto per poi finire malissimo. Un’inchiesta, sostiene la difesa, partita nel 2009, con una competenza territoriale alquanto ballerina tra Ferrara e Bologna, con la quale Ciancimino avrebbe per giunta collaborato. Sta di fatto che è di nuovo nei guai, e la coincidenza temporale con l’inizio del processo sulla trattativa, per alcuni è molto sospetta.
«Sono molto stupito e anche preoccupato per l'arresto di Massimo Ciancimino – dice Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato e leader del movimento delle Agende rosse -. Gli viene contestato un reato fiscale vecchio di due anni. Mi sembra che la misura possa rappresentare giusto in questo momento un ostacolo al processo per la trattativa, di cui Ciancimino è un teste-chiave».
Borsellino esprime anche una forte preoccupazione: «Viviamo – spiega – in un Paese dove può accadere di tutto. Spero che in carcere non debba subire pressioni di varie forme come insegna il caso di Bernardo Provenzano».
Qualunque siano le valutazioni sul personaggio Ciancimino, giova ricordare due particolari. Ha iniziato a collaborare quando i magistrati della sezione misure di prevenzione stavano stringendo il cerchio sul patrimonio accumulato dal padre, vero simbolo della commistione, anzi dell'unione, tra mafia e politica. Grazie al "sacco di Palermo" e alla selvaggia speculazione edilizia che deturpò il volto del capoluogo siciliano negli anni Sessanta, Vito Ciancimino accumulò una fortuna, da alcuni stimata per difetto in 500 milioni di euro, mai del tutto rintracciata. Sono stati individuati alcuni rivoli di questo torrente di denaro sporco, il resto è finito chissà dove. Quando gli inquirenti iniziarono ad orientarsi tra società fantasma, conti esteri ed investimenti oltreoceano, Massimo Ciancimino ha iniziato a parlare. Lui dice che era pronto da tempo, ma nessuno glielo aveva chiesto. In un paio d'anni è diventato un personaggio da talk show, autore di un libro assieme al giornalista Francesco La Licata, presentato addirittura in pompa magna nella sede del rettorato a Palermo.
In effetti il figlio di Don Vito di cose interessanti ne ha dette tante, non solo sui presunti maneggi del Ros nella terribile estate del 1992 quando i carabinieri guidati da Mori e dal generale Subranni avrebbero tentato di far collaborare il padre in cambio di non si sa bene che cosa. E soprattutto per ordine di chi. Ciancimino junior ha parlato anche di intercettazioni sparite, come quelle che riguardavano Carlo Vizzini e Saverio Romano, ritrovate per incanto dalla procura di Palermo (che nel frattempo aveva cambiato capo e procuratori aggiunti) non appena lui nei fece cenno. Si parlava di denaro, tanto denaro, che il commercialista del padre, professore Gianni Lapis, avrebbe dato ai politici per ottenere favori legislativi per l'azienda di famiglia, la "G. A. S.", un colosso venduto poi ad un gruppo spagnolo per 300 milioni di euro che ha metanizzato 70 comuni siciliani negli anni Novanta, il cui fondatore era un oscuro funzionario regionale, Ezio Brancato. I soci occulti, manco a dirlo, erano Vito Ciancimino e il suo protettore, Bernardo Provenzano. Ma non è certo finita. Ciancimino junior ha parlato anche della strage di Ustica, del processo Moro, di una sfilza di omicidio eccellenti (del chirurgo Bosio, dell'ex presidente del Palermo Calcio, Parisi), di complicità politiche, di professionisti in affari con la mafia. Alla fine però si è incartato con la storia di mister X, l'agente dei servizi deviati che sarebbe stato sempre in contatto col padre, che dopo tanti tira e molla ha indicato in Gianni De Gennaro, l'ex capo della polizia, uomo al centro di tante vicende italiane, oggi prefetto e pezzo grosso dei servizi segreti. Ha perso il filo, oppure ha alzato troppo il tiro ed è finito in carcere per calunnia.
Adesso l'ultima giravolta, l'ennesima disavventura, quando a poco a poco era riuscito a riaccreditarsi sul fronte dell'antimafia, fino all'eccezionale accoglienza di lunedì scorso dal popolo delle agende rosse. Il rebus che lo avvolge non è stato ancora decifrato.