E’ un List The Building, il magnifico palazzo di epoca georgiana che accoglie l’Istituto Italiano di Cultura a Dublino, all’undici di Fitzwilliam Square East, non troppo lontano da quel Trinity College che è un po’ la gloria di questo Paese, dove anche le pietre paiono voler offrire il loro tributo all’arte, alla universalità della letteratura che qui è nel suo regno, come in nessuna altra parte del mondo.
“Tratti Ritratti” è la mostra dedicata alle varie identità italiane in Irlanda che sarà visitabile sino al ventitré febbraio presso la Pavilion Hall dell’Istituto Italiano di Cultura, che l’ha promossa ricollegandosi “al l’Italia del futuro, all’Italia dei territori,” tema indicato dal Ministero degli Affari Esteri per il 2012.
L’esposizione raccoglie ritratti fotografici e testimonianze di alcuni dei tanti italiani presenti a Dublino, gente occupata in contesti lavorativi vari, situazioni diverse che testimoniano quel che oggi caratterizza la presenza italiana in Irlanda, riferibile ad ambiti settoriali estesi, in costante interazione con quello spirito di interscambio che da sempre lega i due Paesi.
Per gli italiani che vivono qui, questo luogo rappresenta un legame certo con la terra d’origine, una rimembranza d’Italia a cui non sempre è facile rinunciare, per gli italiani che sono presenti temporaneamente è viva e forte la suggestione di ritrovarvi intatto quello spirito che anima il fare e il disporre, l’energia inesauribile di un popolo alla costante ricerca di crescita e progresso, che ovunque fa proseliti. Ne parliamo con Angela Tangianu (nella foto in basso), direttrice dell’Istituto, a cui non tutte le domande rivoltele, dice, sono parse di sua competenza.
Da quanto tempo è direttrice dell’Istituto?
«Saranno due anni in marzo».
Quando è stato aperto l’Istituto Italiano di Cultura?
«Cinquanta anni fa, l’Istituto ha cinquanta anni di storia, siamo collocati in un palazzo demaniale, che è quindi di proprietà dello Stato italiano, ma che è anche un “List the Building”, un palazzo che la città di Dublino, l’Irlanda, considera parte del suo patrimonio architettonico, quindi c’è una responsabilità abbastanza grande perché, per mantenere questo palazzo storico in buone condizioni, c’è bisogno di molta attenzione e impegno».
L’Istituto è in costante contatto con l’Ambasciata Italiana?
«Noi siamo l’Ufficio Culturale dell’Ambasciata d’Italia, situata a Northumberland Road, siamo l’Ufficio del Ministero degli Affari Esteri all’estero, la nostra funzione è specificamente quella di promuovere la cultura italiana, nell’ambito della politica estera fissata dal Ministero degli Esteri e dall’Ambasciata in loco».
I rapporti che l’Istituto intrattiene con la comunità italiana contemplano una situazione di stabilità, in riferimento alla permanenza sul territorio, o prevalgono, invece, rapporti con la presenza transitoria di italiani in Irlanda?
«In Irlanda, mi dicono, risiedono circa ottomila italiani, c’è un “context” che li rappresenta, c’è una comunità di antica emigrazione storica, e accanto a questa che è qui da tanto tempo, è arrivata i primi del Novecento e poi cinquanta, sessanta anni fa, c’è una nutrita presenza di italiani, giovani e meno giovani, che risiedono qui per lavoro, studio, curiosità personale, chi da quattro, chi da dieci anni, dunque una comunità italiana che ha un minimo di anni di residenza in Irlanda».
Avevo informazioni su una presenza italiana in Irlanda scarsa ed estemporanea.
«Non è così, anche qui c’è un giornale italiano, “Italia Stampa”, dedicato agli italiani in Irlanda, si tratta di un bimestrale fondato nell’83, è diretto da un giornalista che sta qui da oltre quaranta anni, Concetto La Malfa, siciliano di Caltanissetta; c’è anche un corrispondente Ansa, Enzo Farinella, anch’egli siciliano, di Gangi, provincia di Palermo, che vive a Dublino da oltre trentacinque anni; c’è poi un altro giornale online creato da un altro gruppo di italiani residenti qui da tanto tempo. La comunità dell’immigrazione storica è data da famiglie ben conosciute, bene inserite, che mantengono un legame culturale con la terra d’origine, nel senso che le famiglie conservano rapporti parentali solitamente. La nostra programmazione, per rispondere alla sua domanda, si rivolge a tutti quanti, agli irlandesi, in quanto il nostro compito è quello di promuovere la cultura italiana in questo Paese, chiaramente si rivolge a tutta la comunità italiana».
Quale ambito della cultura privilegia nelle attività dell’Istituto?
«Facciamo veramente un po’ di tutto, gli irlandesi amano l’Italia, amano la nostra cultura, quindi tutto ciò che è di qualità perché conoscono l’Italia, conoscono la nostra cultura, la nostra arte, visitano il nostro Paese. Per la letteratura gli irlandesi hanno una passione e una competenza enorme, l’Irlanda è in assoluto il Paese che ha, in proporzione, più premi Nobel al mondo, amano moltissimo l’opera italiana, il cinema italiano, amano la musica chiaramente. Poiché l’Istituto non può proiettare i grandi film con le famose pellicole da trentacinque millimetri, abbiamo una collaborazione con il “James Dublin International Film Festival” e quindi supportiamo il festival che presenta un quantitativo di film italiani significativo, l’anno scorso ce ne sono stati otto, ad esempio, quest’anno siamo a sei film, nel 2011 è stata fatta una scelta di film più storici perché c’era l’anniversario dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia, quest’anno saranno film più contemporanei, del 2010-2011».
Le priorità dell’Istituto, in termini di comunicazione culturale, quali sono?
«Le priorità sono tutto ciò che mette in relazione le due culture, il riferimento del legame tra le due culture, se è possibile, deve esserci sempre, altrimenti si guarda alle eccellenze italiane, in ogni caso, la scelta della qualità è fondamentale».
La fase economica critica dell’Irlanda, a suo avviso, è in via di superamento, o le criticità sono tuttora preoccupanti?
«Su questo non le saprei dare risposta, non ho informazioni sufficienti, quello che le posso dire è che la popolazione irlandese ha reagito alla crisi rimboccandosi le maniche, chi non ha potuto trovare lavoro qui è emigrato, le persone che io incontro sono consapevoli che la crisi esiste, ma non stanno lì a lamentarsi, cercano soluzioni».
In quale misura l’Italia, con le sue problematiche, le sue vicende, è presente nellarealtà dell’Istituto?
«La crisi in Italia esiste, i tagli esistono, il ministero taglia anche i nostri fondi e le limitazioni ci costringono a non programmare a lungo termine, finché le risorse non sono state reperite».
L’Istituto collabora con il Trinity College?
«Sì, ci sono quattro dipartimenti di italianistica, noi abbiamo un’ottima collaborazione con tutti e quattro, moltissime iniziative le organizziamo insieme, grazie al dipartimento di italianistica di Galway, lo scorso anno abbiamo presentato due conferenze di filosofia e di estetica, grazie al Trinity College abbiamo ospitato qui il professor Kevin Binola che compie novanta anni, uno storico eccezionale, uno scrittore molto apprezzato».
Quale tipo di programmazione mostrano di gradire maggiormente i frequentatori dell’Istituto?
«Lo scorso anno abbiamo organizzato un corso di opera lirica che ha avuto molto seguito, un corso di conoscenza dell’opera in quanto tale, ma anche del “setting” in cui l’opera avviene, il paese, la regione in cui è ambientata e il cibo di quella regione, in modo da avere una conoscenza un po’ meno generica, cioè l’opera in relazione al territorio e al cibo tipico di quel territorio, una forma di promozione del luogo, non solo dell’opera».
Prima di Dublino, in quale altra sede ha lavorato?
«Vengo da Ankara dove sono stata sei anni, giustificati da un progetto europeo che ha ricevuto cinquecentomila euro di sovvenzione».
L’esperienza di Ankara è spendibile a Dublino?
«Sono realtà non comparabili, l’esperienza di management è ciò che rimane nella persona, non ci sono modelli preordinati che possono essere introdotti in un Paese o nell’altro, ogni Paese ha la sua realtà e quindi bisogna rapportarsi con quella realtà».
E’ una realtà composita quella turca?
«E’ una realtà interessante, da conoscere e da vivere, è un po’ come guardare l’Europa una volta dal basso, una volta dall’alto, sono differenti approcci, anche rispetto all’Italia e alla cultura italiana».
Si pensa che in Turchia si percepisca maggiormente a livello politico una condizione di incertezza e di precarietà, mentre a Dublino ci si può concentrare sulla cultura, ponendo in secondo piano altri aspetti. E’ così?
«Sono realtà assolutamente differenti, come può immaginare, per quanto mi riguarda, l’unico mio mestiere è la cultura, quindi mi devo concentrare solo su quella, non posso concentrarmi su altro, né mi interessa».