Per celebrare i quarant’anni di vita, il Teatro Argot, storico spazio “factory” romano, nel cuore di Trastevere, apre il cartellone, ricco di eventi e progetti speciali, con lo spettacolo tratto da un racconto dello scrittore boemo pubblicato nel 1917. Luogo simbolo della sperimentazione, spazio aperto alla possibilità di pensare il teatro e di farlo sul campo, il Teatro Argot non ha mai tradito la sua vocazione di osservatorio costante sulla drammaturgia italiana, registrando le istanze di rinnovamento del modo di fare teatro, continuando ad essere un punto di riferimento culturale non solo per il palcoscenico.
Una relazione per un’Accademia segna il ritorno a Roma di Tommaso Ragno, attore formatosi alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, che ha avuto un’intensa carriera anche cinematografica, televisiva e radiofonica. Nel racconto breve kafkiano, pubblicato su una rivista, Ragno dirige se stesso, lo sfondo è una scena spoglia da lui dominata sapientemente, dando corpo e voce alla scimmia che si fa uomo per sopravvivere, scegliendo di imitare molto bene gli uomini, come sa di saper e voler fare, perseguendo unicamente una via d’uscita, non per il piacere di imitare.
Il testo si presenta già con una forma teatrale, alla scimmia umanizzata viene chiesto di rendere conto, con una relazione tenuta al cospetto di antropologi membri di un’Accademia, sulla sua anteriore esistenza di scimmia, risalente a quasi cinque anni prima. Originario della Costa d’Oro, Pietro il Rosso apprese di essere stato catturato, durante una spedizione di caccia della società Hagenbeck, mentre era appostato, insieme al branco, tra i cespugli, lungo la riva del fiume. Due fucilate lo raggiunsero, unico ad essere colpito, una leggera alla guancia, che gli lasciò una brutta cicatrice rossa, da cui derivò l’appellativo con il quale veniva chiamato: Pietro il Rosso.
L’altro colpo, di maggiore entità, lo colse sotto l’anca e fu la causa della zoppia che lo affligge, la scimmia non ricorda altro se non di essersi svegliata in una gabbia situata sottocoperta sul piroscafo della società Hagenbeck, diretto in Europa. Non tardò a comprendere di non avere alcuna via d’uscita, riferisce con parole umane quel che allora provava in quanto scimmia, che non voleva la libertà, bensì soltanto una via d’uscita. La fuga non avrebbe rappresentato una soluzione, ma un’impresa disperata, sotto l’influenza dell’ambiente si comportava come se ragionasse umanamente, in realtà si limitava ad osservare con attenzione.
La scimmia-uomo Tommaso Ragno accompagna il pubblico in un viaggio intenso e singolare, sprigionando un racconto di trasformazione, una storia di metamorfosi, tema costitutivo in Kafka, che può essere letta come una favola sull’evoluzione umana. Gli spunti interpretativi non escludono il compromesso tra libertà e via di fuga, il confine tra uomo e animale, arbitrario per definizione. Quando capì che poteva imitare con destrezza e abilità gli uomini, gli si profilò all’orizzonte una forma di libertà che lo portò ad esibirsi nei teatri, con un impresario coordinatore della sua attività. La calma malinconica, a tratti ironica, in cui si alternano rabbia e riflessione, attraversa l’intero racconto dell’autore di Il processo, che non chiede nessun giudizio umano, desiderando solo diffondere cognizioni, limitandosi a riferire il percorso di apprendimento che ha permesso alla scimmia -uomo di sopravvivere e adattarsi perfettamente alla civiltà moderna.