Da oggi si cominciano a discutere, e poi a votare, nei circoli del Partito Democratico i documenti politici di ciascuno dei 4 candidati a succedere a Enrico Letta come segretario del partito. È la fase che porterà al voto finale delle primarie e alla scelta del prossimo segretario.
Scorrendo i documenti contenenti le proposte politiche di ciascuno dei 4 candidati alla segreteria – Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli – manca quello che dovrebbe essere il punto di partenza di questa fase congressuale, che qualcuno ha definito di rifondazione del partito.
La risposta a questa domanda: perché il PD ha perduto quasi 7 milioni di voti negli ultimi 15 anni? Nel 2008, prima tornata elettorale con il Partito Democratico sulla scheda (era nato dalla fusione tra i Democratici di sinistra e la Margherita) raccolse oltre 12 milioni di voti (il 31,1 per cento), mentre nel settembre 2022, ultime elezioni politiche, il conteggio si è fermato a 5 milioni e 355 mila (19,07 per cento).
Senza affrontare questo tema, come si fa a scegliere la strada del futuro? L’intero gruppo dirigente del PD, sempre eguale a se stesso dalla fondazione, al massimo integrato da cooptazioni decise dai diversi segretari (se ne sono alternati 9 in soli 15 anni) e dai capi corrente, si è soffermato su temi generali – il lavoro, i diritti, l’Europa – evitando di mettere a fuoco quale strada percorrere e in compagnia di chi. Si è molto messo l’accento sul Manifesto dei Valori che comincia con una ovvietà: «Noi, i democratici, amiamo l’Italia». Ci mancherebbe che non fosse così!

Forse c’è ancora tempo, ma chi ha visto una franca discussione sulla batosta elettorale delle ultime politiche? Ovviamente, non per trovare il colpevole (il segretario Enrico Letta si è dimesso dopo la sconfitta), quanto per capire il percorso fatto e non ripetere più quel tipo di errore. Certo, la fine del governo Draghi ha visto nel cupio dissolvi la destra di Forza Italia e della Lega andare a braccetto con i 5Stelle che erano alleati del Pd.
Ma una volta indette le elezioni come hanno fatto i piddini a dimenticare che la legge elettorale (votata anche da loro) obbliga a formare una coalizione, pena la sconfitta sicura? Rottura con i 5Stelle da una parte, rottura con Carlo Calenda e il suo movimentino dall’altra, i piddini sono rimasti soli. E sono stati bastonati.
In un PD dove il gioco politico si basa sull’equilibrio delle correnti e dei suoi capi, anche il dibattitto precongressuale ha tenuto conto di questo assetto. I vari capi corrente si sono semplicemente riposizionati intorno ai 4 candidati alla segreteria, due dei quali – Gianni Cuperlo e Paola De Micheli – sembrano candidati di bandiera di sotto correnti per aiutare il riposizionamento del futuro gruppo dirigente.
Qualcuno ha provato a inserire nel dibattito anche la questione del nome del partito da cambiare. Come se fosse il nome a indicare automaticamente la linea politica e non viceversa le scelte strategiche a dire di che partito di tratta, e dunque il suo nome. Possibile, allora, che in queste settimane non ci sia stato dibattito per rispondere (e dunque proporre soluzioni) a come invertire il trend secondo il quale i salari/stipendi e la produttività in Italia sono agli ultimi posti della classifica dell’Unione Europea in termini di crescita? È mai possibile che il dibattito su scuola e università come fattore di sviluppo del paese in tutti i sensi sia relegato alle varie ed eventuali? Privilegiare le parole d’ordine sull’ambiente da proteggere, senza dire su chi devono ricadere i costi, è come fare solo una lista di buoni propositi. Un mondo più verde costa, non basta stare attenti a non buttare la carta per terra.
Il PD ha ignorato totalmente in questo dibattitto il fatto di aver partecipato al governo comunque ed in ogni caso, anche senza aver vinto in modo chiaro e netto le elezioni, visto il succedersi di governi di grande coalizione o di unità nazionale. Questo fatto ha probabilmente convinto i suoi leader di essere comunque destinati a gestire il potere e ad ottenere comunque un posto a tavola.
Vi ricordate quel gioco che si faceva da bambini? Mettere una sedia in meno dei presenti al gioco e poi vedere alla fine della filastrocca chi restava in piedi? Beh, il PD ha rifatto le regole del gioco: Non c’è più una sedia in meno dei presenti, così alla fine tutti trovano un posto a sedere.
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