“In una crisi emerge sempre con chiarezza il fatto che l’Unione europea non è una nazione”, ha affermato Jacob Kirkegaard, del centro studi German Marshall Fund, commentando i problemi iniziali di rifornimento dei vaccini. La Ue, dice, “non era attrezzata per uno scontro a fuoco”.
Le ragioni le conosciamo tutti: l’Europa non ha una guida politica forte, ma una somma di politiche statali spesso divergenti. E ciò non è avvenuto per caso.
Nel 2009 viene firmato il Trattato di Lisbona, ma è una riforma minore rispetto al progetto del 2004 bocciato da danesi e francesi e per l’Europa cominciano gli anni di un lento oblio. Che non sono ancora finiti. Dal 2005 in poi – nonostante da retorica di facciata di tutti i leader europei succedutisi – nessuno Stato vuole davvero cedere il potere a un’entità che non potrà controllare.
Forse merita ricordare ai lettori statunitensi che l’Unione Europea (composta da tutti gli Stati europei meno Svizzera, Regno Unito, Norvegia, Serbia, Islanda ed ovviamente Russia) si basa fondamentalmente su due istituzioni operative:
- il Consiglio europeo (composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri), che decide la politica di indirizzo
- la Commissione europea – guidata dalla tedesca Ursula Van der Leyden – è il governo esecutivo dell’Unione.
E su cosa può decidere l’Europa in modo autonomo? Su molto poco:
- l’UE ha competenza esclusiva su unione doganale, regole di concorrenza, politica monetaria, politica commerciale comune, accordi internazionali.
- Tutto il resto di fatto dietro alle definizioni di “competenza concorrente” o “competenza di sostegno” è in mano ai singoli Stati: fisco, trasporti, ambiente, energia, sanità, industria, cultura, istruzione, protezione civile.
Per semplificare molto si può dire che l’UE è un condominio dove ognuno è padrone a casa propria e l’Unione europea è l’amministratore del condominio. Da pochissimo, a fine giugno 2021, si aperta la Conferenza sul futuro dell’Europa che ha come obiettivo cambiare l’Europa dandole una nuova organizzazione, nuove politiche comuni più vicine ai cittadini e maggiore coesione.
“Questa conferenza è un esercizio unico” di democrazia ed è “come una staffetta” tra cittadini e politici europei, che si passeranno il testimone per presentare “proposte concrete di riforma” e arrivare in seguito alla loro attuazione, ha detto l’eurodeputato liberale belga Guy Verhofstadt, co-presidente del comitato esecutivo della Conferenza. L’Europa, è vero, ha una capitale politica, Bruxelles, una bandiera, un Inno e un Giorno dell’Europa, il 9 maggio. Ha tutto, ma non ha un’anima di fondo.
Alla domanda in cosa ti senti sei europeo, molto probabilmente un cittadino spagnolo, austriaco, greco o irlandese ci dovrebbe pensare. I pensatori, artisti, musicisti, sportivi, politici, scienziati europei hanno nella storia contaminato tutte le nostre culture europee e influenzato fortemente quelle extraeuropee, specialmente americane. Le lingue inglese, il francese, lo spagnolo e il portoghese sono le lingue del mondo. In Europa è nato il diritto, lo Stato sociale, le università.
Oltre all’unione politica, sarebbe necessario uno sforzo da parte di politici, artisti, sportivi, media con l’obiettivo della creazione di un vero “orgoglio europeo”: rubriche europee nei tg nazionali e nei giornali di tutta Europa, una tv europea, un’uniformazione dei sistemi e dei programmi scolastici, una narrazione comune di una storia europea che non vuol cancellare in sul colpo secoli di guerre e di odi, ma mettere in luce come Machiavelli è tedesco, quanto Goethe spagnolo, quanto Cervantes svedese, quanto Mozart greco, quanto Freud italiano e così migliaia di colonne portanti della storia europea.
Così come Massimo D’Azeglio disse “fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani” la stessa cosa ci vorrebbe per l’Europa. Senza un’unione politica (e non si vedono Cavour all’orizzonte) e la creazione di un “cittadino europeo” la costruzione europea sarà sempre artificiosa, debole ed attaccabile dal vento del nazionalismo.