La fine del governo Conte ha creato un Big Bang nel panorama politico italiano. Il neo-governo Draghi ha tre missioni chiare – vaccinazioni, il Recovery Plan e avvio ripresa economica – e rappresenta un momento di decantazione nello scenario politico, un po’ come una safety car in F1, la macchina che entra quando c’è un incidente ed azzera le posizioni in pista, per poi farsi da parte e far ripartire la corsa. Ciò avverrà dopo l’uscita dell’emergenza e l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nel febbraio 2022. Le elezioni Politiche sono fissate per legge nel marzo 2023, anche se è sempre possibile un anticipo alla primavera 2022.
Dalle dimissioni di Conte, il 26 gennaio, solamente cinquanta giorni fa, abbiamo visto di tutto: la Lega che diventa europeista e di governo, il M5S che si spacca tra governisti e radicali, Forza Italia che resuscita e torna centrale con ministeri di peso e, last but not least, le dimissioni di Zingaretti da segretario del PD. In questo scenario c’è da tenere in conto un’altra variabile importante: la legge elettorale. Il sistema attuale impone andare alle urne con una robusta coalizione e, a meno di sorprese, nel 2023 i partiti si dovranno accorpare di nuovo.
Eccoci al dunque agli effetti del Big Bang. I partiti dicono di non guardare ai sondaggi, ma li guardano eccome. Dopo quanto successo il blocco di centro-destra è dato al 45%, il M5S con l’incoronazione di Conte come leader ha fatto un balzo fino al 20/21%, facendo al contempo precipitare il Pd senza più leader al 15%. Poi esiste una frastagliata area di centro – composta da sei o sette partiti – al 10/12% e l’estrema sinistra al 4%. Questo mini-terremoto ha provocato alcuni fatti importanti questa settimana: 1) il rinvio delle elezioni amministrative nelle grandi città che dà respiro ai partiti 2) la nomina di Conte come leader del M5S 3) l’elezione di Enrico Letta (55 anni) a nuovo segretario del PD 4) la nascita di un primo embrione dell’area centrista liberal-democratica.
Qui mi torna mente la famosa frase di Steve Jobs: “Non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire”. Proviamo a unire i puntini del passato, partendo però dalla cronaca.
Enrico Letta torna al PD per riorientare il timone del partito che con Zingaretti era diventato – a detta dei più – subalterno al M5S. Questo è il primo fatto. Il secondo, che è passato, a mio avviso, frettolosamente in sordina è il lancio il 10 marzo scorso di una nuova piattaforma liberaldemocratica “Programma per l’Italia” promossa da cinque partiti (tra cui Azione e Europa+) e guidata da Carlo Cottarelli (66 anni). Fin qui niente di particolarmente nuovo senonché i tre principali promotori di questa piattaforma sono stati esponenti di spicco del governo Letta nel 2013: Emma Bonino (+Europa) era Ministro degli Esteri, Carlo Calenda (Azione) era Viceministro dello Sviluppo economico e lo stesso Carlo Cottarelli era il commissario alla spending review chiamato (dal FMI a Roma) dallo stesso Enrico Letta.
Ecco che all’orizzonte si intravede la creazione in embrione un possibile polo su due assi – un PD riformista a guida Enrico Letta e un’area Liberaldemocratica a guida Carlo Cottarelli (supportato dal duo Bonino-Calenda) – polo che attualmente come somma algebrica nei sondaggi arriverebbe a mala pena al 25%, ma che se strutturato in un’offerta organica e bilanciata può essere un punto di attrazione per molti più elettori e “gonfiarsi” oltre il 30%. L’orizzonte ricordiamolo sono le elezioni Politiche del 2023. Resta capire il ruolo di Forza Italia nei prossimi due anni (una “dote” del 6/8%) e di Italia Viva (stima: 3%). Forza Italia? Il partito è riuscito a svincolarsi dalla morsa sovranista, nel governo Draghi si riallinea in un’ottica centro-liberale, fatto che da tutti gli osservatori è stato celebrato come una vittoria personale di Gianni Letta. Si, Gianni, lo zio di Enrico, l’uomo più ascoltato da Berlusconi. Enrico Letta potrebbe (come già fece nel 2013) riuscire a creare una asse anche con Forza Italia perché ha capacità di dialogo: nel 2002 fondò insieme all’allora forzista Maurizio Lupi l’”Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà” una specie di think thank sui temi dell’economia e della società a cui aderirono parlamentari di tutti gli schieramenti. Il Manifesto aggiornato del 2018 è stato firmato – tra gli altri – anche dalle attuali ministre di Forza Italia, Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna. Non fa parte della piattaforma liberaldemocratica Italia Viva di Matteo Renzi, che è stimata adesso ad un 3% di voti. Non sfugge agli osservatori più attenti che Enrico Letta (ed il gruppo dirigente del PD.), Carlo Cottarelli e Carlo Calenda abbiano polemizzato con forza con il senatore fiorentino e che ci siano qualcosa di più di ruggini provenienti dal passato. Ed ecco che i puntini iniziano a unirsi…
In tutto ciò quale ruolo giocano Mario Draghi (in pole position per il Quirinale) e l’Unione Europea (che vuole essere sicura che i soldi del Recovery Plan verranno spesi bene e l’Italia farà le riforme)? Enrico Letta è stato al Ministero del Tesoro nel 1996 quando Mario Draghi era Direttore Generale dello stesso; ambedue sono stati “portati in politica” dall’economista democristiano Beniamino Andreatta (Mario Draghi al Tesoro nel 1982 ed Enrico Letta nel 1992-1993 alla Farnesina). Carlo Cottarelli e Mario Draghi coincisero entrambi a Washington per quattro anni tra il 1984 ed il 1988, il primo al FMI ed il secondo alla Banca Mondiale, due edifici distanti duecento metri l’uno dall’altro. In Europa ci sono Paolo Gentiloni Commissario all’Economia – che nel 2001 fondò la Margherita di cui Enrico Letta ne fu responsabile economico – e David Sassoli al Parlamento europeo, cattolico-democratico portato in politica attiva da Dario Franceschini, anche lui ministro nel Governo Letta nel 2013 (Rapporti con Parlamento). Carlo Cottarelli è stato al FMI per molti anni durante il mandato di Christine Lagarde (Presidente FMI dal 2011 al 2019), quella Lagarde che ha sostituito Mario Draghi alla guida della BCE. Enrico Letta – presidente dal 2015 dell’APSIA che ha sede anche questa a Washington – applaudì pubblicamente la scelta di Christine Lagarde alla BCE come una vittoria di Emmanuel Macron – Letta è membro del Comité Action Publique 2022 voluto dallo stesso Macron- di fronte alla possibile soluzione di Jens Weidman alla presidenza della BCE.
Ancora è presto ma sembra comporsi per il prossimo biennio un quadro fatto di tanti puntini che – da un non lontano passato di matrice “romana”, europeista e atlantista – iniziano a unirsi per la creazione di un’area liberal-democratico-riformista alternativa al centro-destra a trazione Meloni-Salvini ed il M5S a guida Giuseppe Conte.