Alle 12:00 AM della costa est, mentre Joe Biden finiva di prestare giuramento come 46esimo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump cessava di essere il Commander-in-Chief, sebbene a centinaia di miglia da Washington. Ma, nonostante la ferrea volontà della nuova amministrazione di cancellare con un colpo di spugna molti dei decreti di trumpiana memoria, è importante riflettere sull’eredità che resterà in dote alla politica americana, adesso che il Tycoon non è più alla Casa Bianca.
È freschissima la notizia del Wall Street Journal che vorrebbe Donald Trump all’opera su di un nuovo progetto politico. Alcuni suoi collaboratori parlano di un nuovo Partito che l’ormai ex Presidente vorrebbe chiamare “Patriot Party”, per convogliare su di sé tutti quegli elettori Repubblicani che è riuscito a mobilitare per il voto e che prima della sua candidatura non erano stati particolarmente attivi nella vita politica americana. Il nome è suggestivo e rimanderebbe al termine da lui usato per descrivere la folla che lo scorso 6 gennaio ha assaltato il Congresso. Già questo fatto basterebbe a comprendere come Trump punti a raccogliere il consenso di quegli elettori non necessariamente legati al GOP che hanno trovato una figura di riferimento nell’ex-Presidente, terroristi ed estremisti di destra inclusi.

Fondare un terzo partito non sarà comunque facile. Il GOP, a cui Trump faceva riferimento e della cui organizzazione ha goduto durante le sue due corse alla presidenza, è ben strutturato nel territorio e possiede una tradizione radicata nelle istituzioni politiche. Un nuovo soggetto, al contrario, potrebbe trovarsi ad affrontare grossi problemi organizzativi, almeno all’inizio. Poi c’è da considerare lo scontro con la storia: nessun terzo partito ha mai espresso un Presidente. Ci provò il texano Ross Perot nel 1992, conquistando in modo strabiliante più di 19 milioni di voti, ma anche il segregazionista George Wallace nel 1968, eleggendo ben 48 grandi elettori. E se i due esempi appena descritti non coinvolgevano sicuramente una figura illustre come quella di un ex-Presidente, le elezioni del 1912, in cui Theodore Roosevelt si presentò con il Partito Progressista ma si accontentò soltanto di “arrivare secondo”, offrono un ulteriore esempio emblematico.
Però, a ben pensarci, la mossa aleggia nell’aria da ormai alcuni giorni, sebbene ancora non confermata. Nel suo discorso di addio dalla Casa Bianca, Donald Trump ha affermato che il movimento fin qui costruito “è solo l’inizio” mentre da Andrews ha lanciato un monito: “we will be back in some form” . Le parole usate suggeriscono che Trump non abbia ancora pensato ad un progetto strutturato ma sarebbe ingenuo credere che l’ormai ex Presidente sia disposto a non capitalizzare sui larghissimi consensi raccolti durante le elezioni Presidenziali. Da Mar-a-Lago, assieme alla sua famiglia pianificherà le prossime mosse, magari arrivando addirittura a tentare di influenzare le prossime candidature all’interno del GOP. Perché il trumpismo vive ancora, nonostante i sondaggi Gallup abbiano descritto i gradimenti delle ultime settimane della presidenza Trump come i più bassi di sempre.

Le aspirazioni politiche del Tycoon per il 2024, sia che prendano la forma di un nuovo soggetto politico o di una lunga ombra sulle candidature del GOP, si scontreranno irrimediabilmente con la messa in stato di accusa e le eventuali indagini che potrebbero vederlo coinvolto, soprattutto per reati fiscali. Ma oltre al profilo legale della sua precaria situazione, la prossima settimana dovrebbe riunirsi il Senato per decidere sul secondo impeachment dell’ex Presidente.
A livello procedurale se ne sa ancora poco, non è ancora stato designato un difensore né la figura che supervisionerà il processo (solitamente un giudice della Corte Suprema), perché mai prima d’ora un ex-Presidente era stato soggetto ad impeachment. La soglia da raggiungere, comunque, sarà quella di 67 senatori favorevoli alla condanna. Trovare così tanti membri repubblicani disposti a scaricare Trump non sarà facile e si crede che Mitch MacConnell potrebbe spostare molti voti, qualora decidesse di votare assieme ai democratici. Per adesso, il leader del GOP ha usato parole molto forti contro l’ex Presidente, accusandolo di aver nutrito di bugie la folla che ha assaltato il Congresso.

I democratici, però, potrebbero non accontentarsi della sola condanna per impeachment, chiedendo anche l’interdizione per Trump, così da impedirgli di ricoprire altre cariche pubbliche. Per decretarla, potrebbe bastare anche solo la maggioranza dei voti al Senato, raggiungibile con il voto positivo di tutti i senatori dem e della Vicepresidente Kamala Harris. Il provvedimento, se votato, sarà destinato a dividere l’opinione pubblica. L’articolo II sezione 4 della Costituzione, infatti, prevede l’interdizione dagli “office of Honor, Trust and Profit” per coloro condannati con impeachment. Nessun Presidente, in carica o meno, è mai stato condannato o interdetto e quindi non esiste certezza giuridica che la Presidenza rientri nelle categorie espresse dall’articolo II.