Il mese scorso, Michael Cohen – ex avvocato di Trump – aveva confessato di aver comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels con i fondi elettorali per la campagna presidenziale, mentendo sulle ricevute e insinuando che il tycoon fosse il mandante. La notizia, arrivata insieme alla condanna di Paul Manafort – responsabile della campagna elettorale di Trump – per otto capi di accusa inerenti alla frode fiscale, aveva fatto il giro del mondo mettendo in imbarazzo il Presidente che, a colpi di tweet, aveva accusato Cohen di essere un traditore e si era detto orgoglioso di Manafort, mai piegato e mai spezzato. Fino a quel momento.
Nella giornata di venerdì, la narrazione sul Russiagate si è arricchita di un nuovo tassello. Paul Manafort, a processo a Washington con le accuse di riciclaggio di denaro e attività illegale di lobbying, ha scelto di collaborare con il procuratore speciale Robert Mueller, dichiarandosi colpevole di cospirazione contro gli Stati Uniti ed intralcio alla giustizia, per un massimo di 10 anni di reclusione. Manafort, già sessantanovenne ed imputato per otto capi di accusa in Virginia, ha accettato la riduzione della pena offerta da Mueller per salvaguardare la sua famiglia ed evitare il carcere a vita. In cambio, il lobbista ha promesso di collaborare con il procuratore speciale nell’ambito delle indagini sul Russiagate, rivelando informazioni sulle influenze estere nelle elezioni del 2016 e consegnando cinque immobili di sua proprietà, uno dei quali nella Trump Tower.
Come rivela l’accusa, i legami di Manafort con la Russia sarebbero molto stretti. Per i giudici, il lobbista avrebbe lavorato illegalmente per Viktor Yanukovych – ex presidente Ucraino – e da lui si sarebbe fatto depositare almeno $10 milioni in una conto nascosto a Cipro. Inoltre, nei suoi periodi da collaboratore di Yanukovych, Manafort avrebbe stretto solidi rapporti con alcuni oligarchi russi vicini a Putin che, nel 2016, avrebbe aggiornato sull’andamento della campagna elettorale di Trump.

Ma l’attività di lobbying di Manafort non si sarebbe limitata al solo Est Europa. Secondo alcuni documenti, nel 2013 il lobbista avrebbe tentato di convincere l’amministrazione Obama a supportare Yanukovych durante le proteste che portarono alla sua fuga in Russia. Non riuscendo nel suo intento per via delle pressioni internazionali contro il premier filorusso, Manafort avrebbe architettato una congiura per far apparire l’opposizione Ucraina come anti-semita in modo da spingere la grande comunità degli ebrei americani a minacciare Obama in caso di appoggio a Yulia Timoshenko o ai leader di Euromaidan.
L’obbiettivo di Mueller, però, è quello di acquisire una testimonianza sui contenuti del “Trump Tower meeting” a pochi mesi dalle elezioni del 2016. In quella occasione, Paul Manafort, Jared Kushner e Donald Trump Jr si incontrarono con due lobbisti russi per il passaggio di alcune informazioni che avrebbero potuto ostacolare la campagna elettorale di Hillary Clinton. Nel ciclone del Russiagate, quello sarebbe stato un momento topico in cui, probabilmente, vi sono state forti ingerenze russe nelle elezioni presidenziali.
L’accordo di Manafort è l’ennesimo scacco a Trump che si sta avvicinando alle midterm di Novembre sempre più sfibrato e delegittimato dalle sue opposizioni. Ma la sua disponibilità a collaborare, oltre ad avere effetti potenzialmente devastanti per il Presidente, legittima per la prima volta le indagini di Mueller che, fino a questo momento, si erano basate solo su supposizioni ed erano state additate da Trump come parte di una grande “caccia alle streghe”. Adesso, il procuratore speciale ha fra le mani il primo vero “pesce grosso”, capace di rivelare molti retroscena sulla campagna elettorale del Presidente repubblicano.
Per il momento, Trump ha preferito non commentare l’accaduto su Twitter. L’unico a parlare è stato il suo avvocato che, in una nota, ha ribadito l’estraneità del Presidente alle indagini in corso. Restano dubbi sull’intenzione del tycoon di concedere o meno la grazia a Manafort, leale alleato ormai caduto in disgrazia. Il gesto, nel caso le indagini prendessero una piega spiacevole, potrebbe creare un fortissimo scontro istituzionale. Pare che, per adesso, Mueller sia riuscito a mettere sotto scatto Trump, costringendolo a pensare alle sue prossime mosse e a non fare gesti avventati, nell’attesa che qualche nuovo elemento venga aggiunto al grande puzzle chiamato Russiagate.