L’unico vento che spira è quello di guerra. Una guerra che “passa” anche sopra le teste degli italiani, con l’ancora-presidente-del-Consiglio Paolo Gentiloni che rinnova l’impegno a fornire supporto logistico alle forze alleate pericolosamente in fibrillazione sullo scacchiere siriano. Ma nel Paese l’aria è ferma, “in stallo” per dirla a modo loro. E il cambiamento annunciato a gran voce il 4 marzo parrebbe essersi fermato alla ics della cabina elettorale. Dopo un primo tempo fatto di proclami, strette di mano, rassicurazioni su obiettivi comuni e una dichiarata fiducia nella possibilità di un’intesa votata al “bene degli italiani”, di rientro dal salotto di Mattarella, il secondo tempo delle consultazioni si esaurisce con un nuovo nulla di fatto.
“Nessuna evoluzione politica”, chiarisce stancamente il capo dello Stato al termine del secondo giro, che anche questa settimana ha visto salire al Colle l’emerito Giorgio Napolitano, stavolta premuratosi di esprimere pubblicamente solidarietà al suo successore.

Per ben due volte, nel suo discorso a margine del nuovo round di consultazioni, Sergio Mattarella ha sottolineato la “urgenza di un governo nella pienezza delle sue funzioni”, che possa far fronte alle “attese dei cittadini”. Specie in un momento tanto delicato sul fronte estero, ricorda, con “i contrasti legati al commercio internazionale, le scadenze importanti e imminenti in Unione europea e l’acuirsi delle tensioni internazionali in aree non lontane dall’Italia”.
Che a smuovere le acque (e a sparigliare le carte) possano arrivare i missili o i dazi di Trump, dove non riescono dialettica e democrazia? Le chiacchiere a questo punto stanno a zero. E Mattarella, pur mantenendo il suo solito aplomb, tra le righe lancia un “ultimatum” alle forze politiche: “Mi prenderò alcuni giorni, trascorsi i quali valuterò come procedere per uscire dallo stallo”, dice. Il weekend di mezzo e un suo impegno istituzionale, fissato per lunedì, rimanderebbero almeno a martedì ulteriori sviluppi. Anche se Salvini e Di Maio la domenica la passeranno entrambi al Vinitaly di Verona e chissà che, complice un buon bicchiere di vino, tra i due non possa scoppiare finalmente quell’amore auspicato da – ancora – gran parte degli italiani.
Settimana di ulteriori allontanamenti quella appena conclusa, con il Movimento 5 stelle fermo sulla posizione di escludere Silvio Berlusconi da ogni possibile alleanza con il centrodestra, mentre Luigi Di Maio continua a tenere aperti i “due forni”, cercando il confronto con il Partito Democratico, il quale però chiede che chi ha prevalso alle elezioni si faccia carico di una proposta di governo e ribadisce di voler svolgere il ruolo di minoranza parlamentare.

Ma torniamo al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, sul quale si consuma il braccio di ferro tra Di Maio e Matteo Salvini, deciso a non mollare quella che il M5s definisce una “zavorra”, ancoraggio a un passato da lasciarsi alle spalle. L’ex cavaliere, soltanto ieri, è stato anche protagonista di video e articoli canzonatori che lo vedono intento a cercare di rubare la scena al designato premier del centrodestra Matteo Salvini. In settimana, l’altro a balzare agli onori delle cronache italiane è stato l’impettito neopresidente della Camera Roberto Fico che, dopo il polverone sollevato dal suo primo viaggio in autobus per recarsi a Montecitorio, stavolta ha fatto notizia per essere andato in soccorso di una poliziotta sentitasi male nel mezzo di un evento istituzionale. Un gesto che subito gli è valso l’hashtag #robertoficosantosubito.
Dicevamo, l’ex cavaliere. Silvio Berlusconi è andato su tutte le furie di fronte al “veto dei veti” (ovvero la sua esclusione) imposto dai pentastellati al leader del Carroccio: “Nessuno può dire a me o ai miei elettori che cosa fare. Sono un leader politico. Nessuno può dire ‘tu sì o tu no’: in democrazia è una cosa inaccettabile”. Da Salvini, invece, l’avvertimento a Di Maio: “Basta veti o si torna alle urne”.

Il famoso “contratto”, diventato la parola chiave di questi ultimi mesi, a sostituire ogni forma superata di “alleanza” o “inciucio”, e paventato dal M5s come la “formula magica” per poter compiere l’incantesimo, al momento rimane senza sottoscrittori. Ancor prima di essere stilato, sono le premesse a non trovare ratifica. E a Mattarella, nel frattempo, non resta che certificare le distanze.
Mentre prendono campo le ipotesi circa le alternative cui il capo dello Stato potrebbe approdare se la strada dell’accordo dovesse terminare con un vicolo cieco. Una delle mosse possibili potrebbe essere l’affidamento di un pre-incarico a una figura politica, e il nome che circola nelle ultime ore è quello di Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini, ma Mattarella potrebbe anche decidere di darlo proprio a Salvini o Di Maio. L’altra mossa sarebbe invece quella di conferire un incarico esplorativo a una figura istituzionale: la scelta potrebbe così orientarsi verso il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, o il presidente della Camera, Roberto Fico.

Il vero fatto concreto del giorno, però, con tanto di prove fotografiche a testimoniarlo, è un nuovo murales, realizzato a Roma dopo quello del bacio Salvini-Di Maio. Protagonista dell’opera firmata Sirante, stavolta, è il trio composto dai leader di Lega e Movimento 5 stelle, tra i quali si insinua l’ombra dell’intramontabile Silvio Berlusconi, intento a giocare a carte in abiti d’epoca come nel celebre quadro di Caravaggio, “I Bari”.
“Il quadro rappresenta una truffa. Un anziano ‘ingenuo’ sta giocando a carte con un suo oppositore il quale in complotto con un suo avversario trucca il gioco della politica”, recita la didascalia a corredo dell’opera di street art comparsa oggi a due passi dal Quirinale. Oltre alla data, “2018”, e alla tecnica utilizzata, “stampa grafica su carta”, l’autore ha aggiunto ance una spiegazione: “Questa scena, così teatrale, descrittiva e realistica contiene un monito morale, una condanna del malcostume, in particolare delle strategie dei politici”.
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