C’era una volta un rospo vecchio vecchio, ma nessuno riusciva a farlo fuori. C’era un principe giovane, eppure talmente loquace e sciocco che tutte le donzelle preferivano il vecchio rospo anche perché, bisogna dirlo, portava una corona d’oro zecchino sulla testa. C’era un maniscalco, che aveva lavorato nel palazzo del re, ma, essendo riuscito a stringere stretti rapporti con i destrieri reali, si era montato la testa, pensando che avrebbe potuto montarli ben meglio del regale rospo. C’erano poi molti cortigiani, che si credevano onorabili cavalieri ma non avevano mai cavalcato nemmeno un mulo in vita loro e non avrebbero neanche saputo salirgli in groppa.
Un giorno molto lontano il rospo era stato un bellissimo re e aveva fatto man bassa di tutte le belle che gli capitavano a tiro. Molte anzi gli si avvicinavano apposta, certe che, se le avesse baciate, sarebbero diventate delle ricche principesse. Qualcuna mirò addirittura a diventare la regina rospa, perché allora una regina non appariva rospa tanto era ricoperta d’oro.
Si avvicendarono due o tre regine: il re era costretto a sostituirle quando, dopo qualche anno, le loro guance si trasformavano in un muso appiattito e verrucoso, mentre gli occhi cominciavano ad uscire dalle orbite e a spostarsi verso l’esterno del capo. Benignamente il sovrano aveva fatto installare nel palazzo degli specchi non veritieri, nel senso che, a chi vi si rimirava, rimandavano un’immagine migliore di quella che realmente aveva. Di conseguenza tutti coloro che vivevano all’interno del maniero erano convinti di essere bellissimi, giovanissimi e pure intelligentissimi. Sì, perché il re aveva scelto per cortigiani dei somari che non sapevano di esserlo, non potendo confrontarsi con dei loro simili intelligenti. Inoltre tutti si sentivano all’unisono persone perbene, benché si comportassero male essendo rospi e somari.
Il re rospo, per vivacizzare la sua vita che gli cominciava ad essere un po’ ripetitiva e noiosa, istituì un divertimento di corte a cui tutti dovevano partecipare: l’amplesso ascellare. Si era ispirato al rapporto coitale che i maschi anfibi hanno in natura: essi sono molto più piccoli delle femmine e per fecondarle sono costretti ad appendersi alle loro ascelle.
Successe che venne giù il palazzo perché i somari si appesero alle travi del tetto. I villici, che vivevano nelle casupole intorno al maniero, accorsero a vedere cosa succedeva e si sbellicarono dalle risa scoprendo che il castello non era popolato da uomini, come credevano, ma da buffi animali e cominciarono a gridare: “Bufo bufo!” Nel loro dialetto intendevano che lo spettacolo fosse buffo. Ma guarda caso il re si chiamava proprio Bufo di Bufonide. E guarda caso questa era proprio la specie di rospi a cui il re apparteneva, anche se non lo sapeva. Né i villici sapevano il suo nome, ma di una cosa erano certi: che fosse un rospo.
Quel gran frastuono fece accorrere sia il principe che il maniscalco. Entrambi, nonostante non fossero delle volpi, avendo però un alto concetto di se stessi, colsero l’opportunità di prendere il posto del re e si trasformarono immediatamente in iene. Il castello fu devastato dalle lotte che instaurarono quelle belve. Tutto venne addentato, lacerato, sbranato. Prima si cibarono delle carogne dei somari periti sotto le travi, poi iniziarono la caccia a tutti gli animali che abitavano il castello. Il re con pochi seguaci riuscì a fuggire, mentre i villici, schifati e spaventati di avere come signore una di quelle iene tanto abominevoli, intrapreso a loro volta la caccia.
I secoli sono passati: il re rospo non è più re ma è protetto dalla Convenzione di Berna per la sopravvivenza della fauna minore, quindi nessuno potrà regnare senza il suo beneplacito. Bufo vorrebbe riprendersi il trono di Bufonide, ma tutti ridono a cominciare dalle iene che fanno finta di essere una un principe e una un maniscalco. Le nuove generazioni di villici, che non conoscono la storia passata, gli credono e si sono divise in due fazioni. Una ama il principe perché è giovane e si professa onesto, l’altra adora il maniscalco per le sue doti di cavallerizzo e reputa che saprà condurre il regno. I villici non sanno che le casse sono vuote, sperano che il futuro re sopprima Bufo e restauri il castello per viverci tutti ricchi e contenti.
Storiella ispirata dall’affermazione di Debora Serracchiani, ex vice segretaria del Pd, lo scorso 12 aprile alla trasmissione Piazza Pulita: “Tu (Di Maio), lo vuoi ingoiare quel rospo (Berlusconi) o no? Noi al governo di rospi ne abbiamo ingoiati tanti…”
(Nota culturale: Bufo bufo è il nome del rospo comune, un anfibio anuro della famiglia Bufonidae, protetto dalla convenzione di Berna).
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