Schede bianche, fumata nera. E nel mezzo scintille di fuoco. Il venerdì del “nulla di fatto”, lapalissiano già nella notte che precede l’inaugurazione della diciottesima legislatura della Repubblica alla Camera e al Senato e le votazioni per eleggere i due rispettivi presidenti, comincia e prosegue con il solito vecchio pantano. Ma sul più bello riserva un clamoroso colpo di scena. Che scardina gli schemi dietro ai quali pareva compattarsi il centrodestra. E che potrebbe aprire scenari interessanti, con le nuove forze uscite vincitrici dal voto del 4 marzo potenzialmente pronte a superare le rigide posizioni su cui sembrava arroccarsi la coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Regista dell’operazione che segna un brutto strappo con il leader di Forza Italia, è Matteo Salvini. A scandire un venerdì lungo e difficile è anche qualche nota di colore, o piccolo diversivo, che sebbene non sposti di una virgola il risultato provvisorio, potrebbe essere letta come profetica degli eventi concretizzatisi in serata. Eventi che, se da un lato segnano una rottura, dall’altro parrebbero preludere a un possibile accordo tra M5s e Lega. Almeno per quanto riguarda i presidenti di Camera e Senato, dei quali non si conosce ancora il nome. Domani si ricomincia. Intanto, per chi volesse capirci qualcosa, riavvolgiamo il nastro su questa lunga e – almeno sul tabellone – infruttuosa giornata.
Tra Montecitorio e Palazzo Madama, di primo mattino, ecco far capolino i primi deputati e senatori, pronti a occupare gli scranni dei due rami del Parlamento: tante le facce nuove, molte di veri e propri esordienti delle stanze del potere. Nicola Morra, già senatore del Movimento 5 stelle, non si sottrae ai microfoni: “Non siamo disposti a sederci al tavolo con mister B., né ad accettare un condannato quale Paolo Romani quale presidente del Senato – chiarisce alla stampa – è una questione di metodo. Vogliamo ridare dignità alle istituzioni”.

L’accordo dei pentastellati con il centrodestra per ottenere i primi un loro candidato alla Camera, i secondi un loro candidato al Senato, si sfalda ancor prima di solidificarsi: e lo fa su un nome, sul quale nelle ore precedenti era arrivata la forzatura del “redivivo” Silvio Berlusconi: l’ex cavaliere aveva infatti proposto il nome di Paolo Romani – capo gruppo uscente di Forza Italia in Senato, condannato per peculato – per ricoprire il ruolo di seconda carica dello Stato. Un nome respinto però in blocco dal M5s che non ha accettato nemmeno l’altra – cruciale – condizione, ossia la presenza del leader di Fi al vertice della vigilia tra centrodestra e pentastellati. “Il leader della coalizione è Matteo Salvini”, hanno detto più volte, non riconoscendo a Berlusconi il ruolo di interlocutore. Fuori dai giochi lo “psiconano”, per dirlo con le parole di Grillo, che affida a un cinguettio musicale il messaggio del giorno, postando su Twitter un video del celeberrimo Libertango del maestro Astor Piazzolla accompagnato dalla frase: “Il tango si balla in due. È basato sull’improvvisazione, caratterizzato da eleganza e signoria. Se non lo si balla bene si risulta sgraziati e fuori luogo. Il passo base del tango è il passo verso di sé”.
Il leader della Lega Matteo Salvini, in mattinata, viene beccato a fare shopping per le vie del centro della Capitale: è in cerca di una camicia bianca. “Prove per il ruolo di premier?”, lo incalza qualcuno. Poi accetta di buon grado di farsi condurre dai giornalisti in via del Collegio Capranica, una delle stradine che congiungono Montecitorio a Palazzo Madama, dove è comparso un curioso murale: quello che ritrae un bacio appassionato fra Luigi di Maio e Matteo Salvini. “De gustibus… ho altre preferenze – commenta il leader leghista – La storia d’amore noi ce l’abbiamo con gli italiani e pur di dar loro risposte sarei disposto ad abbracciarmi con chiunque”. Ai cronisti che gli fanno notare che nell’opera non è presente Silvio Berlusconi, il leader della Lega risponde: “Più gente si vuole bene e meglio è, mi sembra restrittivo questo volersi bene a due, meglio a tre, a quattro a cinque”. Piccola nota a margine: il murale viene rimosso a tempo di record dagli operatori del Decoro Urbano capitolino: otto minuti appena per cancellarne ogni traccia, mentre la città sprofonda fra buche, problemi idrici e degrado che si protraggono per mesi senza interventi.
A palazzo Madama, nel frattempo, si apre la prima seduta del nuovo Senato, presieduta dal 92enne ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, che ritroviamo energico e risoluto, in un intervento che poco si confà a un momento istituzionale come quello che solitamente inaugura la nuova legislatura, diversamente da quanto avviene invece alla Camera, dove a presiedere i lavori è Roberto Giachetti.

“Gli elettori hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale contestazione – dichiara il presidente emerito della Repubblica – di vera e propria rottura rispetto al passato. La contestazione è scaturita da forti motivi sociali: disuguaglianze, ingiustizie, impoverimenti e arretramenti nella condizione di vasti ceti. E in modo particolare – aggiunge – ha pesato il senso di un cronico, intollerabile squilibrio tra Nord e Sud tale da generare una dilagante ribellione nelle regioni meridionali”. Quindi l’affondo alle forze che hanno guidato il Paese: “Sono stati condannati in blocco, anche per i troppi esempi da essi dati di clientelismo e corruzione, i circoli dirigenti e i gruppi da tempo stancamente governanti in quelle Regioni”. Un’analisi politica da alcuni giudicata fuori luogo.
Ad applaudirlo in aula c’è anche Matteo Renzi, che i media definiscono “osservato speciale” in questa sua prima giornata da senatore: proprio lui che quel ramo del Parlamento avrebbe voluto abolirlo nel referendum del 4 dicembre 2016. E proprio al Pd pare rivolto l’affondo di Re Giorgio, che evidenzia come il risultato del 4 marzo abbia “mostrato quanto poco avesse convinto l’auto-esaltazione dei risultati ottenuti negli ultimi anni da governi e da partiti di maggioranza”, sottolineando ancora come il voto abbia “determinato un netto spartiacque”.

Già nelle prime ore del mattino M5s e Pd annunciano scheda bianca, una decisione poi confermata nella sostanza da tutte le forze politiche. La trattativa fra partiti è nel caos, mentre alle prime votazioni le schede bianche sono 592 alla Camera e 312 al Senato.
I 5s non sono disposti a contrattare su Paolo Romani e ai giornalisti che chiedono quale potrebbe essere un’alternativa dicono di non volere un “toto nomi”, anche se qualche nome serpeggia come quello di Luigi Zanda o di Emma Bonino (Pd).
“E’ un errore porre veti, ma sbaglia anche chi si arrocca su un solo nome. Ognuno di noi deve parlare con tutti e mettersi di lato di qualche centimetro. Noi della Lega ci siamo messi di lato di un chilometro”, commenta il leader del Carroccio Matteo Salvini lasciando Palazzo Madama. Dopo un pranzo di lavoro tra Silvio Berlusconi, Renato Brunetta e Paolo Romani a palazzo Grazioli, residenza romana dell’ex cavaliere, le condizioni poste da Forza Italia rimangono immutate, mentre le posizioni si irrigidiscono.
Il senatore Brunetta, davanti alle telecamere, assicura che il centrodestra è compatto nel sostenere la candidatura di Romani, “come da accordi presi” alla vigilia. E di fronte alle dichiarazioni di Giorgia Meloni che con Fratelli d’Italia si riserverebbe la decisione al giorno dopo – fa intuire chiaramente che la posta in gioco è il futuro politico di Silvio Berlusconi e che il venir meno alle indicazioni date si tradurrebbe nella messa in discussione della sua stessa leadership. Benché a Salvini sia stato riconosciuto da tutte le forze di coalizione il ruolo di presidente del Consiglio.
Ma è proprio Salvini a sparigliare i giochi nella seconda votazione a Palazzo Madama, dove a sorpresa la Lega quasi all’unanimità – 57 su 58 voti – dà la sua preferenza ad Anna Maria Bernini, senatrice di Forza Italia: “L’unico modo per evitare l’abbraccio Pd-5Stelle per eleggere il presidente del Senato è scegliere un candidato del centrodestra che abbia il maggior gradimento possibile”, dice il leader leghista a margine dello spoglio. “La scelta della Lega, che ha rinunciato ad ogni presidenza e ha indicato la senatrice Bernini di Forza Italia – spiega – rappresenta un coraggioso e generoso aiuto alla coalizione per evitare brutti scherzi ed uscire dallo stallo, e un segnale all’Italia perché il Parlamento cominci a lavorare il prima possibile”. L’unico voto nullo, perché sulla scheda è stato scritto “Ermini” parrebbe appartenere al Senatur Bossi, critico nei confronti di Salvini e contrario a un governo Lega-M5s.
Una mossa unilaterale, quella della Lega, che avviene senza avvertire Silvio Berlusconi, messo a parte della decisione solo a cose fatte. Un colpo di scena che il leader del Carroccio annuncia davanti alle telecamere e al quale segue un comunicato stampa del leader di Forza Italia che ha il sapore di una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti dell’alleato: “I voti al Senato ad Anna Maria Bernini, strumentalmente utilizzata, sono da considerarsi un atto di ostilità a freddo della Lega che da un lato rompe l’unità della coalizione di centrodestra e dall’altro smaschera il progetto per un governo Lega/M5s”, è la nota al vetriolo di Berlusconi con cui adesso si configura uno scenario ben diverso da quello atteso. E che prelude, forse, all’avvicendarsi di una nuova era all’interno della coalizione guidata dall’ex cavaliere, che i suoi fedelissimi descrivono come stupito, amareggiato, ma combattivo dopo la notizia ricevuta.
Mentre la Camera decide di procedere alla terza votazione nella serata di venerdì, il Senato annuncia il rinvio della propria alle 10.30 di sabato mattina, salvo slittamenti. E nelle prossime ore è proprio a Palazzo Madama che si gioca la sfida cruciale, dal momento che il meccanismo per l’elezione in questo ramo del Parlamento, diversamente dalla Camera, consente di avere un presidente entro la quarta votazione: se al primo e secondo scrutinio non viene raggiunta la maggioranza assoluta dei voti dei componenti, infatti, al terzo basta la maggioranza assoluta dei voti dei presenti e vengono computate anche le schede bianche. Se nemmeno in questo caso si riporta la maggioranza, lo stesso giorno si va al ballottaggio fra i due candidati con il maggior numero di voti.
Intanto a Palazzo Grazioli è in corso il vertice di Forza Italia. Chissà se la notte porterà consiglio e se si riuscirà a scongiurare una frattura che pare ormai difficile da sanare. Se la Lega dovesse confermare la propria decisione di virare su un altro nome e il M5s convergere su quello stesso nome, si concretizzerebbe quanto meno un cambiamento nei rapporti di forza, con i nuovi partiti che nei fatti travolgono le forze tradizionali. Sebbene la strada per la presidenza sia lunga e ben più difficile e accidentata, ci si troverebbe di fronte a un primo effetto dell’onda del 4 marzo.
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