Prendete queste immagini. Togliete la macchina moderna col cofano alzato in sottofondo. Levate la bandiera colorata dei Bengals, alle sue spalle. E fate partire l’immaginazione. Non vi sembra di ascoltare un politico americano degli anni ’60? Uno di quelli che abbiamo visto in un documentario storico sulla Guerra Fredda, con le immagini in bianco e in nero e il tono di voce istituzionale?

Ecco, sì. La sensazione che ha dato Joe Kennedy III, Congressman 37enne del Massachussets che ha pronunciato il discorso di risposta allo Stato dell’Unione di Donald Trump, è stata quella. E se non è stato per la sensazione, il collegamento con il passato lo si può ristabilire nella sobrietà dei toni e nei valori espressi nelle sue parole, all’interno di uno speech durato 13 minuti scarsi. Perché sì, i Democratici per rispondere all’odiato presidente disruptive che ha spiazzato l’America, si sono affidati a un timido, ma deciso ritorno al passato. Si sono affidati a un Kennedy. E forse potrebbero nuovamente pensare di ri-affidarsi a lui nel 2020, per tornare alla conquista della Casa Bianca.

Joe Kennedy III è ultra-liberale. Progressista convinto, ma non spregiudicato. Bianco nativo di Boston, ma amato dalle comunità ispaniche e nere. Figlio di Joseph Kennedy, ex rappresentante del Massachussets. Nipote di Bob, assassinato nel 1968. Pronipote del Presidente John Fitzgerald, ucciso nella drammatica giornata di novembre del 1963 che cambiò la storia degli Stati Uniti. Joe Kennedy III si mostra al pubblico così da tempo. Ma prima del discorso del 30 gennaio 2018, non aveva mai avuto addosso i grandissimi riflettori dell’opinione pubblica e dei media. O almeno, non in questo modo.
È stata quindi una prima volta, per certi versi, per Joe Kennedy III. E il tono delle sue parole è stato pacato. Il discorso? Istituzionale. Con frasi brevi, ma decise e taglienti. Con un atteggiamento friendly, ma non troppo confidenziale. Niente giacca, solo camicia e cravatta. Nessun teleprompter, solo parole molto ragionate frutto di un discorso accuratamente pensato in collaborazione con il suo staff. Una ventina di tweet per raccontare proprio quel discorso al popolo del web. Il deputato Democratico si è presentato al pubblico con questo biglietto da visita. Un biglietto da visita da lui rivendicato con stile, sia per chi non lo conosceva, sia per chi invece lo segue silenziosamente da un po’ e sotto sotto spera che sia lui a togliere lo scranno ai Repubblicani e a Trump nel 2020.

Nel discorso di Kennedy non è mancato nulla. Il disprezzo educato nei confronti di un Presidente che non è presidenziale, Donald Trump: “Bullies may land a punch. They might leave a mark. But they have never, not once, in the history of our United States, managed to match the strength and spirit of a people united in defense of their future”. Tradotto: “I prepotenti possono anche tirare un pugno. Possono anche lasciare un segno. Ma non sono riusciti mai, nemmeno una volta, nella storia dei nostri Stati Uniti, a raggiungere la forza e lo spirito del popolo unito in difesa del suo futuro”. Il messaggio di speranza rivolto ai Dreamers, i ragazzi che rischiano di trovarsi senza Daca: “Lasciatemi essere assolutamente chiaro. Voi siete parte della nostra storia. Noi combatteremo per voi”. Un riferimento preciso alle campagne #Metoo (“Ditelo coraggiosamente”) e #BlackLivesMatter (“Ditelo fermamente”). Un passaggio pronunciato in uno spagnolo quasi perfetto, rivolto a quella comunità ispanica che appunto non lo vede di cattivo occhio. Un messaggio finale capace di richiamare i valori dei Democratici che lo stesso partito democratico sembra essersi dimenticato in questo anno e mezzo di confusione, successivo all’elezione di Trump: “Signore e signori, abbiate fiducia: lo stato della nostra unione è speranzoso, resiliente, duraturo”.
Joe Kennedy III è stato, insomma, presidenziale. Ha cercato di emulare in più di un passaggio Barack Obama, per la tipologia di parole scelte e per la cadenza delle pause tra una frase simbolica e l’altra, pur senza riuscirci sempre. Ha ricordato il portamento calmo di Emmanuel Macron, con cui condivide la generazione di politici e molte delle posizioni economiche (qui Joe Kennedy mentre esprime la sua condanna alla riforma sulle tasse di Trump). E si è presentato per quello che è, mostrandosi rispettoso della storia personale sua e del suo partito, e allo stesso tempo mostrando il potenziale che potrebbe avere da candidato Presidente. Un giovane all’antica, insomma: la capigliatura composta da uomo del Massachussets degli anni ’60, le mani congiunte per ringraziare, quasi intimidito, il suo pubblico fisico e virtuale alla fine del discorso. Ma allo stesso tempo una pagina Facebook fresca e piena di contenuti pensati intelligentemente, con piena sapienza degli algoritmi del social di Mark Zuckerberg. Un profilo Twitter aggiornatissimo, dove a volte compaiono le foto della sua famiglia. Un profilo Snapchat per intercettare il giovanissimo elettorato che si affaccerà al voto nel 2020.

La stoffa insomma c’è. Anche se la strada è lunghissima e ci vuole poco per bruciare un giovane con del potenziale, nella politica americana. Il passaggio alle Primarie, in particolare, potrebbe rivelarsi doloroso, viste anche le drammatiche condizioni politiche in cui si trova il Partito Democratico, a pezzi e privo di idee da almeno 18 mesi. Ma nonostante gli ostacoli davanti alla sua strada, i primi complimenti sono già arrivati. E sono arrivati da un candidato che potrebbe essere suo avversario proprio a quelle Primarie democratiche in vista del 2020: Joe Biden, il vice presidente di Barack Obama.

Che in un tweet, dopo il discorso, ha scritto: “Orgoglioso di esserti amico, Joe Kennedy. Hai catturato l’idealismo e l’ottimismo del nostro partito – e di questa nazione. Perché hai capito che tutti sono meritevoli di essere trattati con dignità. E che in questo Paese nessuno può essere lasciato indietro. Ben fatto”. Il primo passo per un endorsment o semplice cortesia? Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto, di certo, dalle ceneri dei Democratici è “nato” Joe Kennedy III, il giovane dal tono presidenziale, un po’ Obama e un po’ Macron, con ambizioni da Presidente.