Com’era inevitabile, i terribili fatti di Orlando sono entrati prepotentemente nella campagna elettorale americana. E mentre in questi giorni affiorano agghiaccianti particolari sulle circostanze e sul movente della strage, gli effetti politici non hanno tardato a manifestarsi.
In queste ore, a scontrarsi non sono solo due candidati alla presidenza o due partiti politici, ma due visioni opposte di America, due modi diversi modi di reagire a una tragedia nazionale e di proporre soluzioni concrete alle emergenze che il massacro della Florida ha drammaticamente portato alla luce.
Nella giornata di lunedì, durante una seduta della Camera è esplosa la rabbia dei deputati della minoranza democratica, che hanno protestato contro l’inerzia del Congresso repubblicano colpevole di aver ignorato tutte le proposte sui limiti all’acquisto di armi avanzate ben prima dell’ultima carneficina. Un esempio eclatante è stato quello del disegno di legge presentato all’indomani della strage di San Bernardino per vietare ai sospetti terroristi l’accesso facile ad armamenti ed esplosivi, vergognosamente bocciato dalla quasi totalità dei senatori repubblicani, tra cui Marco Rubio e Ted Cruz, ex avversari di Trump alle primarie del GOP.
Discorsi opposti. Sempre lunedì, Donald Trump e Hillary Clinton hanno tenuto sul tema discorsi dal tenore decisamente contrapposto.
Intervenendo al Saint Anselm College di Manchester, in South Hampshire, il tycoon newyorkese ha ribadito la sua proposta di imporre un divieto di accesso ai musulmani negli Stati Uniti lanciando una serie di accuse che hanno oscurato la vacuità e l’inesattezza di molte delle sue affermazioni. Dopo aver fatto un “appello all’unità” chiedendo un momento di raccoglimento per ricordare le vittime dell’attentato, Trump ha messo da parte qualsiasi pudore strumentalizzando gli eventi di Orlando per attaccare direttamente Hillary Clinton e l’amministrazione Obama, descritti come deboli, incompetenti e incapaci di gestire la sfida terrorista, favorendo ondate di immigrazione incontrollata. “Hillary incoraggia politiche che portano la minaccia del radicalismo islamico in America e gli permettono di proliferare all’estero” ha affermato il milionario, rimproverando al presidente e alla Clinton di avere danneggiato l’apparato di sicurezza indebolendo le forze di intelligence. Prima di pronunciare il discorso in New Hampshire, Trump si era spinto ancora più in là, ipotizzando in una delirante intervista telefonica che la presunta debolezza del presidente nascondesse “qualcos’altro”. In altri termini, insinuando un legame, quantomeno morale, tra Obama e il terrorismo stragista.
Sulle armi, invece, a Manchester il tycoon ha ribadito orgogliosamente il suo legame con l’NRA invocando la necessità di armare gli americani (sic!) in modo da permettergli di rispondere direttamente agli attacchi. Ma non era Omar Mateen (l’attentatore di Orlando) un cittadino americano, addirittura segnalato dall’FBI e ciò nonostante libero di comprare un devastante strumento di morte senza essere sottoposto a controlli? Ovviamente, nella retorica trumpiana, zeppa di generalizzazioni demagogiche, la realtà diventa un optional. In un gioco al ribasso in cui tutto viene banalizzato, non c’è seria riflessione che tenga di fronte alla spregiudicatezza con cui il magnate ha piegato una tragedia al suo tornaconto elettorale.
A poche ore di distanza dall’intervento di Trump in New Hampshire, Hillary Clinton parlava a Cleveland, tenendo un discorso decisamente più istituzionale. La ex First Lady ha infatti evitato di nominare direttamente il suo avversario, mettendo da parte le beghe politiche e soffermandosi la strategia da adottare contro il terrore jihadista. Quest’ultima, nella sua visione, deve prevedere da un lato la definitiva eliminazione di Daesh dai territori della Siria e dell’Iraq in cui è stanziato, dall’altro l’intensificazione degli strumenti di sicurezza interna volti a prevenire le azioni dei cosiddetti “lupi solitari” sul suolo americano, siano essi coordinati o meno con i vertici dell’organizzazione dello stato islamico. A tal proposito, Hillary ha messo l’accento sulla necessità di “essere adattabili e flessibili come lo sono i nostri nemici”, smantellando, anche con l’aiuto dei privati e delle comunità musulmane d’America, la rete di propaganda (che spesso utilizza i media e i social network) e i flussi di denaro e di uomini che alimentano la rete terroristica internazionale. Non è mancata una precisa accusa a paesi come il Kuwait e l’Arabia Saudita, colpevoli di finanziare anche al di fuori dei propri confini scuole coraniche da cui escono individui radicalizzati.
“Anche se ci assicuriamo che le nostre forze di sicurezza abbiano gli strumenti necessari a prevenire gli attacchi” – ha aggiunto la candidata democratica – “è essenziale evitare che i terroristi possano acquisire gli strumenti con cui portano avanti gli attacchi”. Il riferimento è alla circolazione facile delle armi, condannata senza mezzi termini dalla Clinton: “non c’è posto per le armi da guerra nelle nostre strade […] se l’FBI ti sta monitorando per sospetti legami terroristici non dovresti essere in grado di comprare un’arma senza che ti siano fatte delle domande. E non dovresti essere in grado di approfittare delle lacune e di eludere il controllo sui precedenti penali acquistandola on-line o in una fiera. Sì, se sei troppo pericoloso per salire su un aereo, allora sei anche troppo pericoloso per comprare un’arma in America”.
In ultimo, Hillary ha rievocato lo “spirito del 12 settembre”, che permise agli Stati Uniti di superare il dramma delle Twin Towers anche attraverso una collaborazione trasversale tra le forze politiche, evitando di confondere il contrasto al terrorismo con lo scontro di civiltà dichiarando guerra a un’intera comunità religiosa.

Un aspetto, quest’ultimo, ribadito martedì dal Presidente Batack Obama, il quale ha risposto con durezza alle affermazioni di Trump, sottolineando l’inadeguatezza del tycoon a ricoprire la carica di presidente e giudicando estremamente pericolose la sua retorica e le sue proposte. “Cominceremo a trattare in modo differente tutti i musulmani – americani? Cominceremo a metterli sotto sorveglianza speciale? Inizieremo a discriminarli solo a causa della loro fede?” ha esclamato il presidente, trattenendo a stento la rabbia in una delle rare occasioni in cui nel corso di questi otto anni di mandato stava per perdere la proverbiale calma che lo ha sempre contraddistinto. Non è mancata una stilettata al GOP, colpevole di non prendere le distanze dal suo nuovo dominus: “I repubblicani sono d’accordo con questo (atteggiamento ndr)? Perché non è questa l’America che vogliamo e ciò non rappresenta i nostri ideali democratici” ha aggiunto.
Strategia efficace? Se è indubbio che Hillary abbia mostrato un approccio più responsabile e “presidenziale” del proprio rivale repubblicano, gli analisti si dividono sugli effetti della cinica tattica di Trump in termini di consenso elettorale. È ancora presto per valutarne le conseguenze, ma nell’attesa dei primi sondaggi attendibili in merito, è già possibile fare delle valutazioni, basandoci sui dati in nostro possesso. All’indomani degli attacchi di Parigi e San Bernardino, quando durante le primarie propose per la prima volta di vietare l’ingresso ai musulmani negli States, Trump guadagnò un grande vantaggio rispetto agli avversari portando dalla sua buona parte della base repubblicana, ma le elezioni presidenziali potrebbero non riproporre gli stessi meccanismi. Persino nel sondaggio commissionato da ABC News e Washington Post in cui il milionario è arrivato a sorpassare la Clinton, i dati indicaano una maggiore fiducia dell’elettorato verso la ex First lady su temi come l’immigrazione (51% Clinton, 42% Trump) e la capacità di affrontare una crisi internazionale (55% contro il 36%).
C’è poi un’altra variabile da monitorare, che riguarda gli equilibri interni al partito democratico dopo le recenti vittorie elettorali della Clinton nelle primarie. Dopo aver trionfato nelle elezioni del 7 giugno e nell’ultimo contesto tenutosi martedì nel District of Columbia Hillary ha chiuso di fatto i giochi, ricevendo nei giorni scorsi l’endorsement ufficiale di Obama, Biden e di personaggi dell’ala progressista del partito fino a poco prima neutrali, come la senatrice Elisabeth Warren. Ma deve ancora completare l’unificazione l’elettorato democratico.
Dal canto suo, pur non avendo ancora appoggiato formalmente la Clinton, Bernie Sanders ha dato dei segnali positivi in proposito.
L’incontro tra il senatore del Vermont e il presidente Obama, avvenuto il 9 giugno scorso, è stato un primo importante passo verso una riconciliazione tra le diverse anime democratiche, mentre è significativo, per esempio, il fatto che Bernie non parli più di portare dalla sua i superdelegati, come aveva fatto con insistenza in precedenza, smorzando così i toni del dibattito.
Il senatore del Vermont sembra insomma deciso a concordare una piattaforma politica comune, spingendo per ottenere alcuni dei punti programmatici su cui ha basato la propria campagna, come l’aumento del salario minimo, un piano di investimenti in opere pubbliche e la riforma delle regole partitiche che regolano le primarie. Tutti temi su cui Hillary pare intenzionata a discutere e che potrebbero aiutarla a convincere una parte della base fedele a Bernie.
Martedì sera i due avversari si sono parlati a porte chiuse a Washington, in un meeting di 90 minuti che entrambi hanno definito “positivo”, mentre Sanders ha annunciato che giovedì parlerà direttamente ai suoi sostenitori. È dunque probabile che provi a dissuaderli dal tirare troppo la corda, in vista di una convention che alcuni tra i supporters più intransigenti hanno già annunciato di voler contestare con manifestazioni di piazza.
I fatti di Orlando hanno forse accelerato il “processo di pace” tra i contendenti democratici, la cui riuscita risulta fondamentale per sconfiggere Trump a novembre. Un obiettivo, questo, che lo stesso Sanders ha più volte definito come una priorità.
Spetterà poi agli americani decidere a quale presidente, e in generale a quale tra le due idee di America, affidare il proprio incerto destino.
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