“Oggi si segna la peggiore strage nella storia dell’America […] è stato un atto di terrore e di odio”. Sono queste alcune delle parole pronunciate dal Presidente Obama a poche ore dal massacro di Orlando, che nella notte di domenica ha lasciato sul terreno cinquanta morti e altrettanti feriti, vittime della furia omicida di una guardia giurata legata, dicono le indagini in corso, ad ambienti del radicalismo islamico. L’attentatore, munito di un fucile d’assalto e di un “altro tipo di ordigno” ha fatto irruzione in un locale gay della città sparando all’impazzata, prima di essere ucciso a sua volta dalle forze di sicurezza.
Nelle prossime ore avremo un quadro completo dei fatti; per ora sappiamo che la strage, pur essendo già rivendicata dall’ISIS, è stata commessa da un cittadino americano di origini afgane di nome Omar Mateen, il quale potrebbe avere agito da solo o con il supporto di una rete terroristica.
Ma al di là del movente, una cosa è certa: ancora una volta, di fronte a una brutale carneficina l’America si ritrova divisa sul tema della circolazione delle armi, la cui diffusione (che non ha eguali nel mondo civilizzato) presenta ogni anno un bollettino di morti e feriti pari a quello di una vera e propria guerra. Negli Stati Uniti è addirittura possibile l’acquisto di armi d’assalto dal potenziale offensivo devastante, come quella usata dall’attentatore di Orlando, il quale a quanto pare era formalmente autorizzato a trasportarla.
Leggendo i numeri, non si può che rimanere inorriditi dalla quantità impressionante di omicidi, suicidi e stragi commesse negli USA.
Durante i suoi due mandati alla Casa Bianca Obama ha tentato diverse volte di introdurre una legislazione più dura per contenere il fenomeno, scontrandosi con un Congresso pesantemente condizionato dallo strapotere delle lobby delle armi. Una guerra persa quella di Obama, e di molti dei suoi predecessori, che mette in luce una delle più tragiche contraddizioni dell’America.
La strage, ovviamente, ha scatenato la polemica politica. E Donald Trump si è subito scagliato contro il Presidente, utilizzando la matrice islamica dell’attentato come una clava per colpire i suoi avversari, facendo leva sulla paura e sulla rabbia che inevitabilmente seguiranno il dolore e le lacrime dopo i fatti di Orlando, travolgendo l’opinione pubblica.
Donald Trump. L’uomo che pochissimo tempo fa riceveva l’endorsement ufficiale dell’NRA, l’organizzazione diventata l’emblema degli spregiudicati interessi dell’industria delle armi, dichiarando di voler eliminare persino le cosiddette “free gun zones”, ovvero le zone situate in prossimità di scuole in cui è vietato l’accesso armato a individui non autorizzati per evidenti ragioni di sicurezza. Donald Trump, proprio lui, che non perde occasione per invocare il pugno di ferro contro il terrorismo facendo la voce grossa, e poi come se niente fosse pretende di eliminare qualsiasi controllo sulla fedina penale di chi compra un’arma, spalancando gli arsenali ai terroristi stessi.
Purtroppo però, il magnate non è il solo a incarnare questa demenziale contraddizione. Anzi, è l’intero partito repubblicano a dichiarare con orgoglio il proprio legame con l’NRA, sbandierando la difesa del secondo emendamento della Costituzione (che consente a tutti i cittadini di portare armi), scritto in un’epoca talmente lontana nel tempo da risultare oggi palesemente anacronistico.
E pensare che la National Rifle Association, nata nel 1871 con l’intento di educare a un uso responsabile delle armi da fuoco, fu per decenni una delle organizzazioni più impegnate nel promuovere e supportare le prime leggi sul controllo delle armi, soprattutto negli anni ’20 e ’30, quando in seguito all’introduzione del proibizionismo il paese fu travolto da un’ondata di cieca violenza scatenata da bande di gangster dediti al commercio illegale di alcool.
Durante le audizioni che precedettero l’approvazione del National Firearms Act del 1934, la prima legge a regolamentare il porto d’armi, l’allora presidente dell’NRA Karl T. Frederick si esprimeva in modo cristallino riguardo al secondo emendamento, considerato oggi una sorta di totem dai conservatori. “Non ho mai creduto nella pratica generalizzata del trasportare armi […] penso che (il trasporto delle armi ndr) dovrebbe essere fortemente limitato e permesso solo dietro il rilascio di licenze” diceva, tracciando un percorso coerente con gli scopi dell’organizzazione che presiedeva.
Questa linea continuò a essere seguita dall’NRA fino a quando, alla fine degli anni ’60, non emerse una nuova corrente legata ai produttori di armi che invece voleva eliminare qualsiasi legislazione di controllo, la quale finì per prevalere in modo definitivo durante il meeting annuale tenutosi a Cincinnati nel 1977. Con una sorta di golpe che cambiò per sempre la struttura dell’associazione, la National Rifle Association si trasformò in ciò che è attualmente: un’associazione manipolata dalle industrie armiere in grado di bloccare qualsiasi proposta politica di buon senso sul tema e capace finanche di “comprare” il consenso dell’intero Congresso.
Da allora, nonostante i bagni di sangue che puntualmente si ripetono negli USA, nessun presidente di buona volontà è riuscito a imporsi. E la vittoria di questa estenuante battaglia per la civiltà sembra, dopo Orlando, sempre più lontana.