PALERMO. Antonio Ingroia come (ex) magistrato ritiene di non avere colpe da espiare, né di doversi rimproverare nulla, come politico invece ammette di avere fatto qualche errore. «Per inesperienza e perchè il tempo ha giocato a sfavore. Ma farò tesoro degli sbagli». Appesa a un chiodo la toga, l'ex presunto capo ombra della procura di Palermo racconta il suo recente passato che nel bene e nel male, ognuno lo valuti come vuole, si identifica con quello della storia recente d’Italia. La VOCE di New York lo ha intervistato in esclusiva:
Allora era davvero tutto già scritto? Non appena è iniziato il processo sulla trattativa tra Stato e mafia, qualcuno ha pagato il conto. Lei lascia la magistratura, il procuratore Messineo rischia di essere impallinato dal Csm. È andata davvero così oppure anche lei ha sbagliato le mosse?
«Che io possa avere sbagliato è possibile, nessuno e infallibile. Ma non credo che questa sia la spiegazione di tutto. Ho portato avanti fino in fondo un’indagine nella quale credevo, ma non appena questa inchiesta è comparsa all’orizzonte è stato subito oggetto di critiche, se non di ironia. Poi il registro è cambiato, ci sono state alte grida sul ruolo svolto dai magistrati, secondo qualcuno stavano sconfindando dal loro ruolo giudiziario. Si dava per scontato che tutto sarebbe finito in una bolla di sapone e invece il rinvio a giudizio degli imputati è stato massiccio. Per la prima volta, alla sbarra ci saranno politici, assieme a mafiosi e uomini dello Stato. Qualcuno invece pensava che si trattava solo di un gioco…».
Tutto dunque nasce da questa inchiesta?
«Basta osservare un dato. Io agli attacchi sono abituato, ho processato Dell’Utri e mi ricordo ancora le critiche pesanti che ho dovuto subire. Ma per il procuratore Messineo è la prima volta, gli attacchi sono iniziati quando ha deciso di sedersi in aula alla prima udienza del processo sulla trattativa. Solo una coincidenza?»
Matteo Renzi dice che lei prima va in Guatemala, poi torna dopo tre giorni, fonda un partito, perde, il Csm la manda ad Aosta e lei si mette in ferie. Tutto questo, sostiene, è uno spot per il Pdl. Cosa risponde?
«Dico che purtroppo la politica italiana è diventata ormai avanspettacolo. Molti pensano solo a fare la battuta facile, la politica invece deve tornare una cosa seria, nella quale si parla di argomenti seri senza mistificare gli avvenimenti. Io posso accettare l’ironia di un comico che parla di politica come Crozza, non di un politico che fa battute da comico».
In questi giorni tutti i giornali d’Italia hanno titolato che la procura di Palermo è spaccata dopo la decisione del Csm di mettere sotto accusa Messineo. Anche quando c'era lei avvertiva frizioni così pesanti?
«La procura la conosco bene, ci ho passato gli ultimi vent’anni della mia vita. Armonia non ce n’è mai stata, tranne in un periodo preciso, gli anni del dopo-stragi, quando c’era Caselli e per così la situazione era pacificata. Ma prima, con Giammanco, e poi con Grasso, ci sono sempre state divisioni profonde, lacerazioni. Mi ricordo certe riunioni della Direzione distrettuale antimafia con Grasso, chiuse alle 3 di notte, con feroci contrapposizioni. Eppure il Csm non si sognò mai di intraprendere un procedimento per incompatibilità ambientale nei confronti del procuratore capo. Lo fa adesso improvvisamente con Messineo che stava per chiudere comunque la sua stagione. Tra poco doveva andare via e per questo mi domando se questa iniziativa fosse davvero necessaria, proprio quando è iniziato il processo sulla trattativa…»
Si aspettava una reazione così tiepida da parte dei suoi colleghi nei confronti del procuratore? Non è stato possibile firmare nemmeno un documento generico di solidarietà?
«So che le divisioni c'erano e ci sono per l'esperienza passata. E poi certe iniziative come quella adottata dal Csm, le spaccature le creano, certo non le sanano. No, non mi sorprende».
Lei è accusato di averlo manipolato, ispirato l’azione del procuratore…
«Francamente non capisco, bisognere chiedere al Csm il significato di questo concetto. Per me è un’analisi bizzarra e stravagante, stento a capire. Le cose sono due. O il procuratore seguiva le indicazioni dei suoi collaboratori e allora questo significa che è un procuratore democratico, che accettava di confrontarsi con il sostituto, cioè io, con la storia giudiziaria più lunga alle spalle. Oppure significa che il procuratore faceva tutto quello che gli dicevo io e questo non è vero. Perchè allora avrebbe sottoscritto l'avviso conclusioni indagini sulla trattativa e invece non l'ha fatto. Aveva qualche posizioni di dissenso su alcune scelte, e le ha mantenute».
Il Csm sostiene anche che lei ha tenuto in un cassetto per cinque mesi le intercettazioni di Messineo sul caso Maiolini, le ha tirate fuori solo quando ha preso l’aereo per il Guatemala. È vero?
«È falso. È vero invece che siamo riusciti a tenere il segreto sulle intercettazioni e va ascritto così il merito di non avere bruciato e indagini. La verità è che la polizia giudiziaria mi aveva anticipato a voce il contenuto delle intercettazioni, poi quando sono state materialmente depositate in procura, le ho subito trasmesse a Caltanissetta. Una scelta di correttezza, dato che non volevo che altri si occupassero, dopo la mia partenza, di una simile patata bollente».
Tutti i suoi guai nascono dall’inchiesta sulla trattativa o dalla sua attività politica?
«Nascono da intolleranza nei miei confronti. Nei confronti di un modello di magistrato che non guarda in faccia nessuno e manda avanti, senza temere ripercussioni sia da destra che da sinistra, indagini che ritiene doverose».
Perché fa così paura questa indagine?
«Perchè cerca di fare luce su quello che non deve essere svelato, quello che non va detto mai agli italiani. È come se qualcuno si fosse alzato e avesse detto “il re è nudo”. Di un patto sciagurato tra istituzioni e mafia, potranno forse parlare gli storici tra qualche anno. Ma se porti questa vicenda in tribunale e individui mandanti morali ed esecutori della trattativa, vincolandoli alle loro reponsabilità penali, allora tutto questo deve essere impedito, ostacolato, denigrato».
Il suo partito non ha superato la soglia per entrare in parlamento. Non è arrivato al 3 per cento. Dove ha sbagliato?
«Potrei dire che ci ha penalizzato un pessimo sistema elettorale. Ma non è solo questo. Ammetto che ho pagato anche l’inesperienza, sottovalutando i rischi dell’operazione. Da parte nostra inoltre abbiamo sbagliato a riproporre qualche nome che poco c’entrava con l’idea di novità che volevamo dare all’elettorato. Ma anche all’esterno, il mancato accordo con altre forze poliche ci ha senza dubbio penalizzato. Il Pd ha rifiutato qualsiasi dialogo, e lo abbiamo pagato. Infine c’è stato lo tsunami Grillo, che come tutti gli tsunami arrivano violenti e poi spariscono. Quel movimento si sta già bruciando per l’incapacità di Grillo che non vuole confrontarsi su temi concreti e non accetta la dialettica politica».
Adesso da dove ricomincia, lavorerà con il presidente della Regione Siciliana Crocetta, si dedicherà ad un nuovo partito?
«Mi sto dedicando al nuovo momimento, “Azione Civile”, il 22 giugno presenteremo un documento per una rivoluzione democratica».
Da «Rivoluzione Civile» è passato ad «Azione Civile», ha ridotto gli obiettivi?
«Faremo lo stesso percorso, misurando i passi. Prima l’azione, poi la rivoluzione. Puntiamo ad un profondo cambiamento, da realizzare con strumenti democratici, contando su un ampio fronte che va dalla sinistra del Pd a Sel. Certo, Crocetta sarà un nostro interlocutore».
Per concludere, troveranno mai Matteo Messina Denaro (il boss della mafia, latitante da un quarto di secolo, ndr)?
«Ma si, prima o poi tutti vengono trovati. Bisogna solo assicurare le condizioni operative».
Che significa? Adesso non ci sono? Qualcuno lo protegge?
«Spero di no».