La morte per asfissia dell’afrodiscendente George Floyd, avvenuta a Minneapolis lo scorso 25 maggio per mano di un agente di polizia, ha nuovamente fatto riemergere in tutto il mondo e in particolare negli USA e in Europa, la necessità di affrontare le ombre onnipresenti e preoccupanti dei razzismi, dell’odio e dei pregiudizi etnici. In Italia gli episodi di razzismo e di ostilità a sfondo etnico o religioso si sono acuiti negli ultimi anni, anche se non ci sono dati precisi e ufficiali che forniscano i numeri esatti dei cosiddetti crimini di odio e delle loro varie tipologie. Ciò che risulta evidente è che, più o meno ciclicamente, le questioni legate alle discriminazioni etniche continuano a riproporsi soprattutto in quelle società che non hanno ancora fatto i conti con il proprio passato (nel caso italiano ad esempio con il passato coloniale unitamente a quello di emigrazione), e in quelle in cui le componenti transculturali proseguono a essere marginalizzate o sono poco o per nulla rappresentate nei “luoghi” di crescita e di sviluppo sociale e culturale del paese.

Se è vero che dopo gli eventi del 25 maggio la solidarietà e il supporto nei confronti di chi è direttamente colpito da questi attacchi non hanno tardato a farsi sentire, emerge comunque che il solo appoggio, la sola denuncia non bastano, perlomeno non più. Un aspetto fondamentale di cui bisogna tener conto va quando si parla di razzismo è quello della comunicazione: nella variegata realtà sociale in cui viviamo le attività di comunicazione hanno un compito fondamentale nella lotta contro il cosiddetto “hate speech” ma sono centrali anche nell’evitare semplificazioni, mancati processi di consapevolezza o pietismi altrettanto dannosi.
Un anno fa, consapevoli di come in Italia ci fosse ancora molto da fare in termini di lotta al razzismo anche in questo campo, i giornalisti Sandro Medici e Luca De Simoni hanno deciso di dare vita a Black Post, un progetto giornalistico unico nel suo genere, nato per far sì che a parlare di immigrazione e di questioni legate alle discriminazioni fossero proprio i soggetti interessati. Black Post è l’unico giornale italiano su cui a scrivere sono donne e uomini nati in Italia da genitori stranieri, ma anche persone trasferitesi nel nostro paese per studio, per lavoro o per necessità. Sono loro a scrivere e a raccontare, senza bisogno di intermediari e di nessuno che prenda la parola per loro conto.
“Non è stato facile all’inizio – spiega Luca De Simone – trovare persone che volessero far parte del progetto e contribuire con i loro testi : c’era chi non si sentiva all’altezza ma anche chi era diffidente. Non ci conoscevamo personalmente quindi la nascita del giornale non è stata una cosa immediata: siamo andati a cercare i collaboratori all’interno delle comunità etniche di riferimento e pian piano siamo diventati una redazione. Oggi Black Post è portato avanti da dodici redattori che provengono da molti paesi : abbiamo una sostanziosa rappresentanza dai stati africani come Mali, Camerun, Burkina Faso, Etiopia, Egitto ma altri collaboratori provengono da Albania, Turchia, Messico e Brasile quindi il nostro è davvero un ambiente multiculturale. Il lavoro è prevalentemente organizzato da remoto, tanto più in questi mesi caratterizzati dall’epidemia.
In ogni caso abbiamo sempre organizzato incontri periodici di redazione e, poco prima che scoppiasse l’emergenza COVID-19, avevamo appena pubblicato con una piccola casa editrice il nostro primo volume con all’interno le testimonianze dei collaboratori. A distanza di un anno siamo felici di aver dato vita a Black Post perchè è giusto che si lavori per accrescere conoscenze e consapevolezze in termini multiculturali ed è importante che siano i diretti interessati a portare avanti questo progetto”.
La redazione di Black Post osserva la società in cui vive e ne narra ogni aspetto, raccontando un’Italia spesso inedita che di fatto sembra divisa in due: quella che abbiamo visto nelle piazze e che dimostra di aver accettato di essere un paese multietnico, in grado di rispettare e accogliere le diversità, e quella in cui permane un razzismo strutturale, sostenuto anche da alcune norme in vigore nelle quali trova, anche implicitamente, una giustificazione al proprio atteggiamento. Sembra infatti che una parte dell’Italia non voglia accorgersi di essere ormai a tutti gli effetti un paese multietnico.
“È difficile che l’Italia se ne accorga – afferma Kante Bangaly Fode, collaboratore del Mali – anche se gli italiani sono a loro volta un popolo di emigranti; purtroppo gran parte della popolazione ignora molti aspetti del proprio presente e del proprio passato ed è nazionalista. Molte persone hanno una mentalità che impedisce loro di vedere la realtà del mondo in cui viviamo, che è un mondo davvero vario e ricco di diversità. L’Italia è un paese che ha conosciuto ultimamente l’immigrazione, soprattutto quella degli africani che molti si ostinano erroneamente a chiamare uomini di colore. Il popolo è diviso su questi argomenti quindi per loro non è facile accettare la diversità. I governi si trovano un po’ nel mezzo, ovvero sono condannati tra il coraggio di cambiare le cose e la paura di perdere l’elettorato. Non so come potranno cambiare le cose perché finché non ci sarà una volontà politica sarà difficile. Osservando la situazione del paese e l’atteggiamento verso gli immigrati, si vede che non soltanto molti italiani (non tutti) sono razzisti ma è chiaro che ci sono leggi razziste che impediscono gli immigrati e i figli che sono nati qui di potersi integrare. I figli nati qui devono avere gli stessi diritti dei figli italiani, così avrebbero la possibilità di lavorare in tutti i settori senza nemmeno avere bisogno di una cittadinanza ( anche questo dovrebbe essere un diritto di nascita, quindi il cosiddetto Ius Soli)”.
Il ruolo dell’informazione secondo Kante è fondamentale, ma gran parte del cambiamento dovrebbe iniziare dall’istruzione, ovvero dall’insegnare la storia nella sua globalità, facendo conoscere tutto ciò che per anni è stato volutamente omesso. “Il presente è ricco di lezioni – continua Kante – il futuro è preoccupante, quindi l’informazione avrà un ruolo decisivo per poter combattere il razzismo e dare elementi a chi ne ignora cause e conseguenze. Questo è quello che cerchiamo di fare con Black Post. La morte di Floyd è l’ultimo di una serie di episodi del genere che si ripetono da secoli in America. Se la civiltà ci porta alla morte, la rivolta è l’unica decisione legittima. Sono rimasto sconvolto quando, in occasione delle manifestazioni per George Floyd qui in Italia ho visto che la maggior parte delle persone presenti erano tutti giovani tra 18 e 30 anni: ciò significa che c’è qualcosa che sta muovendo, malgrado ci siano ancora molto cose da combattere, io mi fido a questa gioventù”.
Anche l’Italia dunque è scesa in piazza dopo la morte di George Floyd, mostrandosi sensibile alla questione delle discriminazioni e dell’odio sociale. Sullo stivale però, nel corso degli anni, si sono verificati episodi razzisti molto gravi, alcuni di essi legati allo sfruttamento del lavoro e alle condizioni disagiate in cui sono costretti a vivere migliaia di immigrati (è di qualche settimana fa, ad esempio, la morte del bracciante agricolo senegalese Mohamed Ben Alì, causata da un incendio diramatosi nella baracca in cui abitava, nel ghetto di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia); secondo i collaboratori di Black Post dunque, gli italiani dovrebbero guardare con attenzione anche ai numerosi e preoccupanti episodi di discriminazione e di diseguaglianza che avvengono di frequente nei propri territori. Le disparità etniche però in Italia si avvertono anche in situazioni in cui il disagio economico non è contemplato: la presenza stessa dello Ius sanguinis ad esempio, fa sì che le centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi appartenenti alle cosiddette seconde generazioni, vengano sempre trattati alla stregua di ospiti nel paese che invece per loro è casa propria.
“Il razzismo e le disparità sono stati sempre denunciati – racconta Daouda Sare, collaboratore originario del Burkina Faso e da poco divenuto cittadino italiano – ma parlando d’Italia la situazione è difficile. In Italia, purtroppo esiste anche una classe di persone e di politici con ideologie che suonano così: ‘conservare la razza pura, la cultura Italiana e stop all’immigrazione’ . Da parte di queste categorie di persone è ovvio che la multietnicità del paese venga negata o semplicemente ignorata per paura del cambiamento della società Italiana. Con il nostro lavoro su Black Post noi testimoniamo che questo cambiamento è iniziato da tempo ed è ora di prenderne atto.
La vera svolta può partire però solo dalle istituzioni, a cominciare dalla decisione di dare la cittadinanza a tutti i bambini i nati nel paese da genitori stranieri. Questi bambini sono pienamente italiani, fanno la loro vita in Italia e spesso non conoscono nemmeno il paese di origine dei loro genitori. Anche nello sport in Italia è difficile accettare gli atleti di origine diverse. I dirigenti devono lavorare tanto per dare possibilità a tutti senza distinzione. Inoltre credo che un altro modo per combattere il razzismo dovrebbe arrivare dalle amministrazioni politiche: le autorità dovrebbero imporre sanzioni esemplari a tutti quelli che manifestano segno di odio o razzismo nei confronti degli altri. Anche i media devono fare la loro parte, lavorando in modo trasparente e senza essere influenzati dai politici o interessi economici di turno. Il ruolo di chi comunica è importante per lottare contro il razzismo, fenomeno che non sembra fermarsi. Le informazioni devono essere date ai cittadini senza essere manipolate. Io comunque sono fiducioso per l’Italia : durante le manifestazioni delle ultime settimane ho constatato una immensa partecipazione da parte dei giovani ‘bianchi’ che protestavano con rabbia per denunciare gli atti crudeli subiti dai ‘neri’ , solo per il fatto di essere neri. Sono certo che le future generazioni faranno meglio di questa classe dirigente vecchia che ha paura del cambiamento”.