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Antonio Megalizzi non era un fanatico e sull’idea d’Europa lascia tanto buon senso

Sosteneva Megalizzi sulla UE: "Il sistema sarà anche malato, ma se invece di curarlo lo aggrediamo ancora di più, la guarigione si fa sempre più lontana”

Marco PontonibyMarco Pontoni
Antonio Megalizzi non era un fanatico e sull’idea d’Europa lascia tanto buon senso
Time: 3 mins read

Vivevamo e lavoravamo nella stessa piccola città, Trento. Facevamo lo stesso mestiere, i giornalisti. Ma non lo conoscevo. Sono gli scherzi che a volte ti fa la vita, ti perdi persone speciali, con cui avresti speso volentieri una serata o magari diviso un progetto.

Sto parlando di Antonio Megalizzi, naturalmente, il giovane italiano – 29 anni –  ucciso a Strasburgo dal terrorista Chérif Chekatt. Antonio si recava spesso a Strasburgo per raccontare i lavori del Parlamento Europeo per Europhonica, un network di radio universitarie. Quando il proiettile lo ha ucciso, aveva da poco terminato il lavoro, assieme a due colleghe, Caterina Moser e Rita Clara Stevanato. Oggi il rettore dell’università di Trento, Paolo Collini, ha annunciato la sua volontà di sostenere assieme ad altre università la creazione di una vera e propria radio multilingue europea. Una cosa buona e giusta, un progetto che lo stesso Antonio aveva accarezzato. Una radio non solo per il web, con redazioni a Bruxelles e Strasburgo, alimentata dai tanti giovani che percorrono le strade dell’Europa grazie all’Erasmus e da altri giornalisti come lui, appassionati di questa idea che negli ultimi tempi ha subito aggressioni da tutti i fronti, quella dell’Europa Unita.

Non conoscevo Megalizzi. Stranamente, perché conosco molte persone che hanno lavorato con lui, e conosco un po’ il padre della sua fidanzata, un ristoratore molto noto in Trentino. Quello che leggo in queste ore mi fa pensare che fosse un europeista convinto ma non un certamente un fanatico. Un tempo non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di una precisazione del genere: “fanatico” ed “europeista” erano due aggettivi non associabili, talmente buona, giusta e insindacabile sembrava essere l’idea dell’unità europea, quell’idea coltivata fra gli altri, nell’immediato secondo Dopoguerra, da un altro grande trentino, Alcide De Gasperi. Ultimamente si è diffusa una narrazione diversa, una narrazione “tossica”, per la quale l’Europa sarebbe l’origine di ogni male, sarebbe addirittura -. dicono alcuni – il frutto di un complotto di fantomatici poteri forti, per spogliare gli Stati della loro sovranità, per azzerare le identità nazionali, persino per favorire impropriamente le cosiddette “invasioni” di migranti. Quest’idea tossica ha prodotto anche qualche post imbecille, da parte di persone che non hanno di meglio da fare se non seminare odio in rete. Queste persone sosterrebbero addirittura che Antonio Megalizzi “se l’era andata a cercare”, perché amava l’Europa, appunto, perché la raccontava, perché non era rimasto a casa sua a coltivare qualche miserabile sognetto sovranista.

A queste persone accecate dal risentimento e dall’ignoranza sfugge probabilmente che in Europa, nell’Europa degli stati sovrani, si sono originate due guerre mondiali. Che in Europa e non in qualche paese musulmano si sono brevettate le macchine di sterminio finale, quelle che portavano i nomi di Auschwitz, Dachau, Treblinka. Che l’unità dell’Europa, per quanto difficile, per quanto contrastata, è la risposta a questi orrori.

Tuttavia va pur detto anche questo: Antonio Megalizzi non era un fanatico dell’Europa. Non si nascondeva che nella Unione Europea molte cose non vanno. Che la UE va riformata (dal suo punto di osservazione, ovviamente, partendo anche dalla comunicazione). Scriveva in un suo scritto pubblicato nel 2014 su una piattaforma di self-publishing, e ripreso da alcuni quotidiani nazionali: “Il sistema sarà anche malato, ma se invece di curarlo lo aggrediamo ancora di più, la guarigione si fa sempre più lontana”.

Parole piene di buon senso, anche alla luce dell’ormai palese fallimento della Brexit. L’Europa non la si migliora abbandonandola, ma facendola crescere. Il problema dell’Europa spesso è che è ancora troppo poco unita, che è ancora, troppo spesso, solo una unione di sovranità, ognuna gelosa delle proprie prerogative.

Fra qualche giorno Antonio tornerà a Trento. Sarà il suo ultimo viaggio. Della sua figura intanto si sono ormai “impadroniti” i media nazionali, ed è un bene, perché è come se, nella tragedia, ci si fosse improvvisamente resi conto che una figura così mancava nel nostro immaginario. Una figura che incarnasse tutti quei giovani che non si sono ancora fatti sedurre dalle sirene dei nazionalismi e dei populismi, giovani Erasmus, capaci di coniugare entusiasmo e pragmatismo, competenze professionali e slanci ideali. Peccato che ci si accorga di persone come loro perlopiù quando se ne vanno, ed in una maniera così schifosa. Speriamo di sentire in futuro, più forti, più squillanti ancora, le loro voci.

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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