In tutta questa faccenda di Fabrizio Miccoli, ormai ex capitano della squadra del Palermo, stupisce come al solito il conformismo e l'istintivo servilismo del giornalismo di casa nostra. Un coro di critiche al limite degli insulti lo ha costretto al pentimento in diretta tv e alle lacrime in streaming per una frase stupida e volgare (“…quel fango di Falcone”) detta però in una conversazione privata e priva di qualsiasi valore penale. Non è di questo però che voglio parlare, ma paradossalmente del suo opposto.
Di Miccoli infatti si sapeva già molto, ad iniziare delle sue compagnie pessime e invece pochissimi ne parlavano, un pezzo coraggioso però di non oltre 30 righe sul giornale, mai un cenno sui mille siti on line che parlano di pallone. C'è voluto il solito verbale sfuggito all'inquirente di turno, anzi questa volta non c'è nemmeno un verbale di mezzo ma solo una frase oscena intercettata e poi riferita, per seppellire l'ex giocatore simbolo del Palermo.
Ecco penso che dietro questa storia ci sia proprio questo "ex". Fin quando Miccoli segnava e portava il Palermo fino al quinto posto della serie A, la stampa ha preferito voltarsi dall'altra parte. Molti giornalisti, tutti quelli sportivi siciliani di sicuro, sapevano delle sue compagnie impresentabili però stavano zitti. A chi finissero i biglietti omaggio di tribuna centrale offerti dal giocatore, per tanti non era un mistero. Miccoli segnava, il Palermo vinceva, e pochissimi della categoria si mettono contro chi vince, contro chi ti consente trasferte pagate al seguito della squadra. Poi il giocattolo si è rotto, il Palermo prima ha arrancato e poi è finito in B, e allora molti hanno ritrovato coraggio. Ma neanche tanto.
C'è voluto l'intervento della magistratura per far ritrovare a tanti occhi e orecchie che prima non vedevano e non sentivano. Un copione già visto. Ricordate il caso Moggi? Il direttore sportivo maneggione della Juventus che secondo le sentenze di primo grado aveva costruito per anni e anni assieme a Giraudo e Bettega un sistema scientifico di vittorie pilotate grazie alle compiacenza di arbitri e dirigenti, è stato osannato e riverito fino al giorno in cui gli è arrivato il primo avviso di garanzia. La solita magistratura. Prima nessun giornalista aveva sentito puzza di marcio, neanche quelli che vivono di calcio 24 ore su 24, mai nessun sospetto, mai nessuna voce fuori dal coro.
Di paragone in paragone, possiamo arrivare al Copodanno di 6 o 7 anni fa, quando in casa di amici incontrai un collega di un importante quotidiano nazionale che per lavoro seguiva come un'ombra Silvio Berlusconi. Sapeva bene come il cavaliere trascorreva le serate. Talvolta amava riunirsi a tarda notte con i giornalisti iniziando la discussione sempre con la stessa frase: “Forza, parliamo di gnocca”. Già allora era chiaro che un presidente del Consiglio così poteva creare diversi problemi a se stesso e al paese e dunque domandai perché non parlasse sul giornale di questa abitudine dato che il suo lavoro era narrare Berlusconi minuto per minuto. Non mi ha mai risposto.