La data di oggi rischia di restare storica. Dopo ventuno anni l’euro è sotto il dollaro. Nel momento in cui scriviamo è a 0,98 sul biglietto verde. Solo nel 2001 si arrivò a 0,83.
Bei tempi quando si veniva a far shopping nella Quinta Avenue con l’euro che quotava a 1,40. Ne soffrivano le aziende italiane, ma per noi turisti era una manna. Ora il Brunello costerà meno per il consumatore americano e tutta la filiera italiana dell’agroalimentare ne potrà beneficiare.
Sembra lontanissimo quel 2008, anno in cui fu registrato il massimo storico del cambio con l’euro che valeva 1,60 dollari. Pazzesco, a ripensarci oggi.
Francoforte aveva messo in conto una risposta americana alla nuova moneta, ma non con una svalutazione del dollaro così forte. Di sicuro il contributo maggiore a questo rafforzamento del dollaro l’hanno dato la Fed con il rialzo dei tassi di interesse e la guerra. La mossa della banca centrale Usa è tutta volta, come si sa, al raffreddamento di un’inflazione da consumi in presenza di un’economia che, contrariamente a quella europea, viaggia ancora abbastanza bene.
Allo stesso tempo il prezzo delle materie prime, da sempre commerciate in dollari, è esploso a causa della guerra in Ucraina. L’aumento di gas e petrolio deteriora il clima di fiducia, peggiora le stime del Pil europeo ma va a rafforzare la valuta americana. Il che ingrossa anche il canale della liquidità europea verso i mercati finanziari statunitensi che già da anni trova nella Grande Mela rendimenti più alti. Tutti i fondi sono espressi in dollari e sono a cambio aperto, il che vuol dire che il piccolo azionista italiano o francese che ha investito euro per comprare fondi in dollari ci sta guadagnando. Per cui invece di sostenere l’economia europea sosterrà quella americana. Il dollaro, insomma, torna ad essere il più classico dei beni rifugio.

L’euro debole sicuramente favorisce l’export italiano negli Usa che sono il terzo mercato di sbocco del Made in Italy dopo Germania e Francia e primo mercato extra Ue. Il saldo positivo della bilancia commerciale italiana però sarà fortemente ridimensionato dal forte aumento del valore delle importazioni (materie prime).
La parità euro/dollaro, secondo l’economista Gianni Pecci, sarebbe altamente “strategica” favorendo una maggiore facilità di scambio tra l’economia europea e quella americana. Attribuendo a quell’aggettivo una valenza politica conseguenza diretta della guerra in Ucraina. “L’unico timore – aggiunge Pecci – è un’eventuale svalutazione dello yuan”.
Di diverso parere Alberto Forchielli, profondo conoscitore di entrambe le economie: “Non credo che la parità euro/dollaro sia un obiettivo strategico”. E allora? “Tutto dipende dai tassi d’interesse – spiega Forchielli – La Fed li aumenta, la Bce è restia. Se per bloccare l’inflazione si strangola la ripresa, si rischia un’uscita dell’Italia dalla Ue. Una rovina”. E quindi? “Non so con quale alchimia finanziaria ma bisognerebbe ridurre lo spread dei vari Paesi in modo differenziato”.
Il nodo è sempre quello dell’inflazione. “La scommessa di Putin si sta realizzando – conclude Forchielli – sta sconquassando l’Europa”.